Nella fattispecie esaminata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia era stato contestato ad una serie di contribuenti l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con ogni conseguente riflesso in termini impositivi e sanzionatori.
La ragione che ha determinato l’annullamento degli avvisi in esito al procedimento di appello è, in tale ipotesi, unicamente formale: era invalida, a monte, la delega del funzionario firmatario. Inoltre le ulteriori deleghe rivendicate dall'Erario non erano state depositate in giudizio da parte dell’Agenzia delle Entrate (gravata di tale onere).
Pertanto, la fattispecie in esame costituisce un chiaro esempio dei casi in cui l’invalidità nel procedimento di formazione di un atto, da un lato, ed il contegno processuale dell'Agenzia delle Entrate, dall’altro lato, possano giustificare l’annullamento di un avviso di accertamento.
Il filone giurisprudenziale che sarà esaminato all'interno di questo breve commento riconosce che l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente si applica anche ai costi sostenuti per fideiussioni richieste per ottenere i rimborsi IVA in via accelerata. Il contribuente, specificano le pronunce in esame, anche in tal caso ha il diritto di ottenere il rimborso dei costi.
Nel caso in discussione un costruttore veniva sottoposto a verifica fiscale in considerazione del fatto che i suoi ricavi si mostravano inferiori rispetto a quanto risultante dallo studio di settore. Ricostruito un nuovo reddito da ascrivere al costruttore, l’Ufficio demandava il pagamento di maggiori imposte sulla base di tale ricostruzione, oltre a sanzioni ed interessi.
Nondimeno tale ricostruzione era racchiusa in un prospetto contenente i dati contabili ed extracontabili che l’Agenzia aveva ritenuto di utilizzare per rideterminare il reddito del contribuente.
Orbene, prima la Commissione Tributaria Provinciale e dappoi la Commissione Tributaria Regionale hanno ritenuto necessaria, a pena di nullità dell’avviso, l’allegazione di tale prospetto, e l’atto è stato dichiarato nullo. Il costruttore non dovrà corrispondere le somme.
Nel caso in discussione l'Agenzia delle Entrate contestava l'inesistenza soggettiva delle operazioni ma non allegava puntualmente le ragioni di fatto per le quali le fatture medesime dovevano considerarsi “soggettivamente inesistenti”, come invero asserito (ma evidentemente non provato).
Tale onere probatorio spettava all'Erario.
La contestazione pertanto è stata ritenuta non provata.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate.
Estratto: “A ben vedere dunque lo sviluppo della censura in realtà non configura il vizio di legittimità dedotto, bensì critiche, anche a-specifiche, alle valutazioni di merito della sentenza impugnata, così ponendosi tuttavia in chiaro contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “In tema di ricorso per Cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015).Per altro verso va ancora osservato il difetto di autosufficienza del mezzo dedotto dall'agenzia fiscale, poiché al di la delle ragioni di diritto addotte in astratto, non vi è la puntuale allegazione delle ragioni di fatto per le quali le fatture in contestazione debbano considerarsi “soggettivamente inesistenti”. Il ricorso va dunque rigettato”.
La Corte di Cassazione, all'interno della pronuncia in esame, ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate che si doleva dell'annullamento dell'avviso di accertamento da parte della Commissione Tributaria.
Nel caso in discussione il soggetto che aveva emesso le fatture aveva dappoi dichiarato che le stesse erano false e da tale dichiarazione aveva preso avvio la verifica nei confronti del contribuente, il quale aveva ovviamente utilizzato tali costi in diminuzione del reddito imponibile. Queste sole dichiarazioni, tuttavia, sono state ritenute dai Giudici insufficienti a dimostrare, da sole, l'utilizzo di false fatture.
L'annullamento è stato confermato anche dalla Cassazione e le somme di cui all'avviso non devono essere corrisposte.
Massima: “La CTR ha infatti ritenuto che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, le dichiarazioni del terzo fossero di per se, in assenza di ulteriori riscontri, inidonee a fondare la prova dell'utilizzazione da parte della contribuente di fatture per operazioni inesistenti anche in considerazione delle risultanze contabili e bancarie e degli assegni emessi in favore del terzo (presunto emittente delle fatture fittizie) che risultano personalmente riscossi dal beneficiario. Tale valutazione di fatto, fondato sull'esame delle risultanze istruttorie, è riservata al giudice di merito e non appare sindacabile nel presente giudizio”.
La Commissione Tributaria Regionale della Liguria ha confermato la sentenza di prime cure che aveva annullato due avvisi emessi dall’Agenzia delle Dogane a carico di una società che, all’atto di importazione di pannelli fotovoltaici aveva ritenuto applicabile l’aliquota IVA agevolata del 10%. A parere delle Dogane l’aliquota da applicare era quella ordinaria. Di contrario avviso i giudici di merito che hanno per l’appunto dato ragione alla società contribuente.
Massima: "I moduli solari cablati costituiscono, di per se stessi, impianti idonei alla produzione di energia elettrica continua e non alternata. Ne deriva che, in presenza di questa circostanza di carattere oggettivo, risulta possibile l'applicazione dell'aliquota IVA agevolata di cui al numero 127-quinquies della parte III - Tabella A allegata al d.p.r. n. 633/72, sia nei confronti di utilizzatori finali, sia nell'ipotesi di cessione effettuata ad altri operatori commerciali quali, ad esempio, grossisti o rivenditori".
Esaminiamo le tesi sostenute all'interno di un processo tributario in tema di imposta di registro, da noi patrocinato, che si è concluso con una sentenza particolarmente garantista dei diritti del contribuente. In tale sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, i Giudici hanno confermato l’annullamento integrale (già ottenuto in primo grado) di un atto emesso dall’Agenzia delle Entrate, che non esplicitava al suo interno - in maniera sufficiente ed adeguata - le motivazioni alla base della pretesa di pagamento.
Un contenzioso significativo non solo perché la sentenza abbraccia un’interpretazione particolarmente garantista delle disposizioni di legge, ma anche perché costituisce un esempio di quei casi in cui l’Agenzia delle Entrate, nella sostanza, ha perso il diritto di percepire delle imposte (per ipotesi astrattamente dovute) perché ha formato l’atto in violazione di uno degli obblighi previsti dalla legge (ovvero, sotto un correlato profilo, perché ha violato uno dei diritti spettanti al contribuente).
Una società, per tentare di contrastare gli effetti della crisi, aveva investito nell'adeguamento tecnologico e l'aggiornamento tecnico. Tale scelta veniva contestata dal Fisco, che, vedendo il reddito diminuire in dipendenza della crisi e dei costi di adeguamento tecnocologico, decideva di non credere al contribuente e di rideterminarne i redditi notificando un avviso di accertamento e chiedendo per l'effetto maggiori imposte, interessi e sanzioni. Ma la società contribuente decise di presentare ricorso ottenendo una doppia vittoria in primo e secondo grado.
Massima: Non trovando l'autonomia dell'impresa altro limite fiscale se non quello dell'abuso di diritto, sono insindacabili le scelte imprenditoriali della società che, nel tentativo di arginare la crisi, investa nell'adeguamento tecnologico e nell'aggiornamento tecnico, con conseguente aumento di beni strumentali.
La Corte di Cassazione ha definitivamente confermato l'annullamento dell'avviso di accertamento emesso nei confronti di un ristoratore, all'interno del quale si procedeva a rettificare in aumento i ricavi del ristorante ipotizzando maggiori coperti sulla base dei litri di vino acquistati, senza prendere in considerazione, tuttavia, che non sempre il vino è indice di coperti (così, esemplificando, il vino è usato in cucina per la preparazione di numerose pietanze, può essere rifiutato dai clienti, può essere venduto da asporto, ed infine il vino sfuso è soggetto a deterioramento in tempi molto brevi). Il ricorso per cassazione dell'Agenzia delle Entrate, già soccombente nei gradi di merito, è stato dunque ritenuto infondato.
Grazie per la Vostra Fiducia
Rassegna di alcune sentenze e massime giurisprudenziali derivanti da alcune delle cause patrocinate da DLP Studio Tributario, limitandoci a sentenze depositate e risultati ottenuti nel corso solamente degli ultimi 2 anni.
Ringraziamo tutti i clienti per la fiducia riposta nel nostro studio e nel nostro lavoro.
Nel caso deciso dalla CTR Liguria è stato ritenuto meritevole di annullamento un avviso di accertamento all'interno del quale, sulla base di una verifica di due ore effettuata in un dato giorno del mese di luglio, si sosteneva che la percentuale di ricarico riscontrata in quelle ore dovesse essere estesa alle vendite intervenute in corso d'anno (ed addirittura in anni diversi), e che quindi la percentuale di ricarico “minore” risultante dalla contabilità dovesse essere rettificata in aumento. Il ragionamento non è stato condiviso dai Giudici che hanno annullato l'avviso di accertamento.
Massima: “L'esercizio di una pescheria costituisce attività fortemente influenzata dalla stagionalità, con marcata differenziazione circa la tipologia e la qualità del pescato e conseguenti oscillazioni del prezzo al dettaglio. Le percentuali di ricarico riscontrate in una verifica effettuata in una località turistica durante la stagione estiva, in poche ore di un solo giorno, non possono essere evidentemente estese all'intero arco dell'anno e neppure ritenute rappresentative ai fini dell'accertamento di annualità diverse”.
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CTR per la Liguria Sezione/Collegio 6
Sentenza del 28/03/2017 n. 433
FATTO
La presente vicenda contenziosa trae origine da una verifica fiscale eseguita presso l'esercizio commerciale all'insegna "Pescheria xxxxx" che svolge attività di rivendita al dettaglio di pesce fresco nel Comune di Arenzano.
Nel corso del controllo, protrattosi dalle ore 10.00 alle ore 12.00 circa dell' 8 luglio 2005, era stato rilevato il prezzo di acquisto di alcune specie di pesce e il prezzo di vendita delle stesse risultante dai cartellini esposti al pubblico.
E' stata calcolata, quindi, una percentuale di ricarico pari al 62,01%, a fronte del ricarico del 24% complessivamente dichiarato per il 2003.
L'Agenzia delle Entrate ha conseguentemente rideterminato il reddito ascrivibile alla Pescheria xxxxx di xxxxxxx xxxxx e C. s.a.s., applicando al costo della merce venduta un ricarico pari al 62%, ed ha emesso distinti avvisi di accertamento a carico della società e dei soci per il ricupero della maggiore imposta sui redditi relativa al 2003, delle maggiori somme dovute ai fini lva e Irap e per l'applicazione delle pertinenti sanzioni.
Sulla base delle risultanze delle medesima verifica fiscale, sono stati emessi analoghi atti impositivi anche per il 2001 e per il 2002.
La società e i soci hanno distintamente impugnato gli avvisi di accertamento relativi al 2003 dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Genova che, senza disporne la riunione, ha accolto i ricorsi con numerose sentenze depositate nel 2006 e nel 2007.
Questa Commissione, con sentenza della prima Sezione n. 69 del 10 aprile 2008, depositata il successivo 11 giugno, ha accolto l'appello dell'Ufficio avverso la pronuncia di primo grado di annullamento dell'atto impositivo emesso nei confronti della società (avviso di accertamento n. xxxxxxxxx).
Infine, la Corte di Cassazione, con sentenza della quinta Sezione n. 6876 del 15 gennaio 2016, depositata il successivo 8 aprile, ha riunito i ricorsi separatamente proposti dalla società e dai soci ed ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio a questa Commissione che dovrà pronunciarsi anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Il giudice di legittimità ha accolto la censura relativa al difetto di motivazione della sentenza, rilevando "la mancata considerazione, da parte dei giudici d'appello, della circostanza che la percentuale di ricarico era stata determinata sulla base degli elementi raccolti in una giornata estiva in località balneare a forte vocazione turistica".
La società (pur cessata nelle more dei giudizio) e due dei tre soci originari (i signori xxxxxx e xxxxxxx) hanno riassunto il giudizio, essenzialmente riproponendo le censure intese a dimostrare che gli elementi rilevati nel corso di una verifica eseguita in piena stagione estiva nonché concentrata in un ristretto arco temporale non sarebbero validamente riferibili all'intero periodo d imposta in quanto, nei periodi privi di afflusso turistico, risulta significativamente ridotta la percentuale di ricarico applicata ai prodotti venduti.
Nelle proprie controdeduzioni, l'Ufficio pone una questione preliminare relativa all'oggetto del giudizio d'appello che, a suo avviso, sarebbe circoscritto alla sentenza avente ad oggetto l'atto impositivo emesso nei confronti della società, poich6 gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci avevano formato oggetto di altre sentenze dei giudice d'appello che, non essendo comprese nel ricorso per cassazione, sono divenute intangibili.
Nel merito, l'Ufficio sottolinea che il vizio di motivazione rilevato dal giudice di legittimità riguarda la sentenza impugnata, non l'avviso di accertamento che, invece, deve essere riconosciuto legittimo in quanto le variazioni stagionali del volume della merce venduta non si rifletterebbero sui prezzi applicati alla clientela.
I contribuenti hanno depositato una memoria con cui controdeducono in rito e nel merito ai rilievi della controparte.
Il ricorso, quindi, è stato chiamato alla pubblica udienza del 27 gennaio 2017 e, previa trattazione orale, è stato ritenuto in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente rilevare, d'ufficio, che la Pescheria xxxxx di xxxxx e C. s.a.s., la quale ha cessato l'attività ed è stata cancellata dal registro delle imprese nelle more del giudizio, è chiaramente priva di legittimazione attiva.
Tale circostanza non comporta, tuttavia, l'inammissibilità dei ricorso, essendo incontestata la legittimazione degli ex soci in qualità di successori della società predetta.
Per quanto concerne, in secondo luogo, la questione preliminare sollevata dall'Agenzia delle Entrate, concernente la delimitazione dell'oggetto dei presente giudizio, va precisato che, nonostante le indicazioni contenute nell'epigrafe dei ricorso in riassunzione, esso deve ritenersi circoscritto all'impugnazione della sentenza n. 299/16/2006 del 25 ottobre 2006, depositata il 28 novembre 2006, con cui la sedicesima Sezione della Commissione tributaria provinciale di Genova ha annullato l'avviso di accertamento n. xxxxxxxx emesso nei confronti della Società.
Ne deriva che, contrariamente a quanto prospettato dai contribuenti, il definitivo annullamento di tale atto impositivo non si rifletterebbe sull'efficacia degli avvisi di accertamento dei redditi di partecipazione attribuibili ai singoli soci, oggetto di altre pronunce del giudice d'appello non gravate in sede di legittimità.
In tema di accertamento del maggior reddito nei confronti di una società di persone e dei relativi soci, infatti, vale il principio secondo cui il giudicato favorevole formatosi sull'impugnazione proposta dalla prima non si estende ai secondi il cui rapporto tributario sia stato definito con altro giudicato di contenuto contrario, atteso che la decisione favorevole è stata pronunciata in una causa fra parti diverse e, dunque, non idonea a travolgere il giudicato formatosi nei confronti di questi ultimi (Cass., sez. trib., 21 maggio 2014, n. 11149).
Nel merito, non si ravvisano ragioni per discostarsi dai principi affermati con la sentenza della seconda Sezione di questa Commissione n. 484 del 18 novembre 2014, depositata il 22 aprile 2015, pronunciata nel giudizio d'appello relativo agli avvisi di accertamento emessi, all'esito della medesima verifica fiscale, per il 2001 e per il 2002.
Merita riprodurre la parte rilevante della motivazione di tale sentenza: "... la Commissione ritiene inattendibile il risultato della verifica operata dall'Agenzia delle Entrate poiché le modalità con cui è stata determinata la percentuale di ricarico non consentono di ritenere la stessa rappresentativa della realtà economica dell'impresa.
E' infatti da tenere presente che l'attività di pescheria è fortemente influenzata dalla stagionalità, con conseguente differenziazione in merito alla quantità ed alla qualità di pesce ed al prezzo di mercato.
La verifica effettuata in poche ore di un solo giorno estivo in una località turistica come Arenzano e su un campione limitato di pesce non può essere rappresentativa dell'andamento economico di diverse annualità in quanto il risultato del riscontro non può essere ritenuto valido per tutti i giorni dell'anno e per anni diversi da quello verificato, dal momento che i prezzi che nei mesi estivi si possono praticare ai turisti sono ben più elevati di quelli che abitualmente si possono realizzare per il resto dell'anno, consentendo cosi a chi svolge un'attività commerciale di realizzare maggiori profitti rispetto ai periodi in cui l'affluenza di turisti è insignificante".
Il riferito iter motivazionale, consonante con i rilievi formulati dai contribuenti e con le argomentazioni del giudice di prime cure, si dipana logicamente sulla base della legge di mercato della domanda e dell'offerta, sicché non può risultare scalfito dalle contrarie considerazioni dell'Ufficio, secondo cui l'incremento della domanda per stagionalità inciderebbe solo sulla quantità di merce venduta e non sul livello dei prezzi praticati al pubblico.
Stante l'identità dei presupposti, pertanto, tale impianto argomentativo deve trovare applicazione anche nella presente controversia, determinando la conferma della sentenza impugnata e, per l'effetto, la declaratoria di illegittimità del contestato avviso di accertamento.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono equitativamente liquidate, anche per quanto concerne la fase di legittimità, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale di Genova, sezione 6, decidendo a seguito dei rinvio della Corte di Cassazione, respinge l'appello dell'Agenzia delle Entrate e, per l'effetto, conferma la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Genova n. 299/16/06, depositata il 28/11/2006.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 1.500,00 per il ricorso in cassazione ed in euro 500,00 per il presente grado, oltre gli accessori di legge per ciascuno ditali importi.
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La Commissione Tributaria di secondo grado, così come già avvenuto in primo grado, ha ritenuto che i servizi wellness offerti da un albergatore ai suoi clienti siano prestazioni accessorie rispetto a quella principale dell’albergatore, rigettando la tesi dell’Agenzia delle Entrate che riteneva applicabile a tali prestazioni l’IVA ordinaria (e che, pertanto, chiedeva la differenza in pagamento all’albergatore). L’erroneità della tesi dell’Agenzia delle Entrate, che aveva già perso in primo grado, è stata dunque confermata in tale significativo contenzioso. Gli avvisi di accertamento formati erano e rimangono nulli, e nessuna ulteriore somma è dovuta dall’albergatore.
Nel caso deciso dalla CTR della Lombardia un esercente si era visto notificare un avviso di accertamento all’interno del quale si procedeva a rideterminare il margine di ricarico del bar. Il contribuente tuttavia è riuscito a dimostrare che i criteri utilizzati dall’Ufficio non rispondevano a canoni di coerenza logica e congruità. I Giudici con la sentenza in discussone hanno quindi totalmente annullato l’avviso di accertamento. L’esercente non sarà tenuto al pagamento di alcuna somma.
Massima: “L'Amministrazione finanziaria può, attraverso la determinazione delle percentuali di ricarico, ricostruire gli effettivi margini di guadagno applicati dai contribuenti sulle merci vendute, ma la scelta del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve rispondere a canoni di coerenza logica e congruità, essendo consentito il ricorso al criterio della media aritmetica semplice, in luogo della media ponderata, soltanto quando risulti l'omogeneità della merce e non quando fra i vari tipi di merce esista una notevole differenza di valore e quelle più vendute presentino una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio.”