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Insegnanti e doppio lavoro: quando le attività extrascoltastiche diventano sospette per il Fisco

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Insegnanti e doppio lavoro: quando le attività extrascoltastiche diventano sospette per il Fisco

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Considerata da sempre categoria professionale privilegiata il personale docente che opera a scuola, accanto alla mansione scolastica potrebbe – in linea di principio – esercitare anche la libera professione.

Svolgere un doppio lavoro è una prassi diffusa presso gli insegnanti, specie quelli part-time, che hanno necessità di integrare lo stipendio da dipendente pubblico con ulteriori introiti.

In tal caso, però è necessaria la relativa autorizzazione da parte dell’Amministrazione e sempre a condizione che l’attività libero professionale sia compatibile con l’orario di servizio e non arrechi pregiudizio alla funzione di docenza.

In particolare, per libera professione si intende l’attività economica, anche in forma organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata attraverso il ricorso al lavoro intellettuale.

Sono generalmente incompatibili quelle attività che richiedono un impegno di tempo continuativo ed assiduo che potrebbero pregiudicare l’attività scolastica.

Oltre a darne notizia all’Amministrazione il docente che intende esercitare un’attività extrascolastica, deve inoltre sincerarsi che non vi sia alcuna incompatibilità.

Certamente alcune attività sono consentite senza alcuna limitazione o incompatibilità come quelle che sono espressione della libera manifestazione di pensiero (ad esempio l’attività di giornalista, letteraria ecc.), o di capacità artistiche quali la pittura, la musica ed, ovviamente, le attività legate all’ambito solidaristico o al volontariato e quindi svolte senza finalità di lucro.

Quando però, l’attività extracurricolare è consentita ed è svolta dall’insegnante, quest’ultimo deve fare in modo di esercitarla rispettando tutti gli adempimenti, anche fiscali/tributari, previsti dalla legge. Insomma, tutte le attività che l’insegnante svolge legittimamente fuori dall’orario di lavoro devono essere dichiarate e possono essere oggetto di verifica e contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In particolare, gli accertamenti derivanti dalle indagini svolte dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia delle Entrate in alcuni casi partono dalle verifiche bancarie le quali rilevano movimenti di denaro non giustificati in alcun modo. Si teme, in tali casi, che si tratti di proventi derivanti dall’esercizio occulto di un’attività diversa da quella scolastica.

A queste verifiche possono seguire eventuali riscontri derivanti da indagini da cui, per esempio, derivino contestazioni in riferimento al presunto svolgimento, da parte dell’insegnante, di lezioni private senza rilasciare ricevuta fiscale oppure l’esercizio addirittura di una vera e propria attività di impresa senza tenere alcuna contabilità e quindi in nero, ove si riscontri ad esempio il possesso di macchinari, attrezzature, strumenti idonei.

Il dubbio, in tali casi, è che l’insegnante percepisca da queste attività dei ricavi non contabilizzati e sottratti al fisco.

La difficoltà, però, sta nel fatto che a queste risposte l’Agenzia delle Entrate potrebbe arrivare in maniera quasi automatica, senza effettuare ulteriori approfondimenti (ed avere la massima sicurezza di quello che e successo) e senza ricercare ulteriori elementi di riscontro.

Ecco allora che l’Amministrazione Finanziaria, prima di supporre lo svolgimento di attività extra-scolastiche svolte da un insegnante e non dichiarate al Fisco, dovrebbe magari prefiggersi di raggiungere una prova che sia certa, incontrovertibile e non solamente presunta.

Di seguito alcuni esempi di casi in cui l’insegnante è stato accusato di svolgere attività economica non dichiarata, ma ha presentato ricorso ed ha vinto contro l’Agenzia delle Entrate.

Comm. Trib. Prov. di Asti, sentenza 100/1/14, del 22 maggio 2014

In questo primo caso la Guardia di Finanza, nel corso di un’ispezione, aveva appurato che il contribuente, un insegnante di arte presso un liceo artistico, svolgeva contemporaneamente ed in maniera abusiva l'attività di restauratore in un garage annesso alla sua abitazione. Nel corso della verifica erano stati individuati dei macchinari da lavoro e constatata la presenza di alcuni mobili, alcuni di essi in fase di lavoro, altri ultimati, altri in procinto di essere restaurati.

Inoltre, durante i controlli non era emersa la presenza di alcuna documentazione contabile mentre erano stati individuati alcuni file sul pc dove vi erano dichiarazione di vendita di mobili con relativi assegni bancari.

Dalle indagini bancarie condotte sul conto corrente dell’insegnate   erano poi stati individuate operazioni di accreditamento e prelevamento senza indicazione del beneficiario.

Il contribuente, tuttavia, forte delle sue ragioni, contestava le presunzioni a cui era arrivata l'Amministrazione finanziaria, non corrette e prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Infatti, non si poteva determinare l’esistenza di un’attività di impresa dalla sola presenza dei macchinari per la lavorazione del legno. Inoltre, il verbale ARPA, l’esiguo consumo di energia elettrica, erano dimostrazione che gli stessi non erano in funzione. Non vi erano, poi, delle scorte relative ai materiali di consumo. La presenza dei mobili e dei materiali era solo sinonimo di un’attività hobbistica e non di tipo imprenditoriale. Oltre a ciò il contribuente, in qualità di insegnante aveva dimostrato di essere spesso impegnato nei progetti di supporto all’attività scolastica afferente l’arte e quindi di preparare modelli e campioni necessari a questa attività. La CTP, attese, queste argomentazioni, ha dato ragione all’insegnante accogliendo il suo ricorso a precisando che l’accertamento si era fondato solo su presunzioni semplici in quanto e il contribuente aveva provato di percepire unicamente redditi derivanti dallo svolgimento dell’attività di insegnante a tempo pieno.

Comm. Trib. II grado di Trento, sentenza n. 107 del 23 ottobre 2017

Questa vicenda ha tratto origine da un avviso di accertamento notificato ad un’insegnante per omesso versamento di IRPEF a seguito dell'accertamento di un presunto maggior reddito non dichiarato. Tale maggior reddito sarebbe stato desunto dal tenore di vita avuto dalla contribuente in quel periodo, caratterizzato da ingenti spese incompatibili con la capacità contributiva dell’insegnante di scuola media secondaria. Dalle verifiche era emerso che sul conto corrente bancario intestato alla contribuente vi erano operazioni di accredito ritenute “sospette” e ritenute non giustificate.

Tuttavia i giudici hanno dato ragione alla contribuente che ha presentato ricorso in quanto si è trattato di accertamento a tavolino, non supportate da idonea documentazione probatoria e senza garanzia di contraddittorio. Ed infatti, l'Amministrazione non è riuscita a dare prova delle eventuali ulteriori attività svolte dall'interessata oltre alla sua mansione di insegnante, idonee a giustificare la corresponsione di possibili redditi occultati.

Corte di Cassazione, sentenza n. 16440 del 05 agosto 2016

Il terzo caso ha riguardato infine un professore universitario esercente anche la professione legale a cui era stato notificato un avviso di accertamento per maggiori imposte ai fini IRPEF, IRAP, IVA dovute.

In particolare, l’Amministrazione finanziaria, a seguito di verifica contestava alcuni movimenti bancari (anche prelevamenti) sui conti correnti intestati al professore considerando ingiustificati alcuni movimenti, sia in uscita che in entrata.

I giudici della Suprema Corte, tuttavia, hanno fatto presente il principio per cui non vi è alcuna presunzione di imputazione sia dei prelevamenti sia dei versamenti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività di libero professionista.

Cosicché è l’Amministrazione finanziaria a dover provare i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti relativi alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi.

 

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