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Annullato avviso di accertamento motivato con il solo richiamo dei dati del c.d. “Spesometro”. L’Agenzia delle Entrate, letto il reclamo, procede all’annullamento totale.

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In questo articolo, esaminiamo, in luogo di una sentenza, le argomentazioni processuali sviluppate dal nostro studio all’interno di un reclamo avverso un avviso di accertamento fondato sui dati del c.d. “spesometro”, che riteniamo meritevoli di nota perché hanno permesso di ottenere l’immediato integrale annullamento dell’avviso di accertamento notificato al contribuente a seguito della mera proposizione del ricorso-reclamo (e quindi a distanza di appena 3 mesi), senza necessità di difendere ulteriormente le ragioni del contribuente davanti alla Commissione Tributaria (all’interno di un contenzioso che avrebbe avuto una durata decisamente più ampia).

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ACCERTAMENTO DA SPESOMETRO - RICORSO CONTRO ACCERTAMENTO DA SPESOMETRO

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Per esaminare alcuni dei risultati (e delle sentenze) ottenuti per i nostri clienti nell’ultimo biennio clicca qui

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Spesometro 

L’Agenzia delle entrate confronta i dati comunicati dai contribuenti con quelli comunicati dai loro clienti all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’articolo 21 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78.

Ove ritrovi possibili incongruenze od anomalie, da cui sembra risultare che i contribuenti abbiano omesso, in tutto o in parte, di dichiarare il volume d’affari conseguito, informa i contribuenti, trasmettendo la comunicazione all’indirizzo di Posta Elettronica Certificata attivato dai contribuenti. 

A questo punto, a mente, del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate Prot. 221446 (Attuazione dell’articolo 1, commi da 634 a 636, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – Comunicazione per la promozione dell’adempimento spontaneo nei confronti dei soggetti titolari di partita IVA per i quali emergono delle differenze tra il volume d’affari dichiarato e l’importo delle operazioni comunicate dai loro clienti all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’articolo 21 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78) il contribuente può fornire elementi, fatti e circostanze non conosciuti dall’Agenzia in grado di giustificare la presunta anomalia. 

Il contribuente può altresì regolarizzare gli errori od omissioni e beneficiare della riduzione sanzionatoria previste per le violazioni di cui trattasi.

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FATTO E DIRITTO 

“Il XXX il ricorrente, esercente commercio ambulante di tessuti, riceveva un questionario (documento n. X) da parte dell’Agenzia delle Entrate, ed in tale sede apprendeva che terzi soggetti avevano registrato nella propria contabilità costi (relativi ai periodi di imposta 2013 e 2014), indicando il contribuente stesso quale fornitore, sebbene quest’ultimo non abbia mai emesso fatture nei confronti di questi signori né tantomeno incassato alcunché. 

Peraltro: 

- il contribuente è un ambulante che vende al dettaglio tessuti, emettendo scontrini, non un commerciante che vende all’ingrosso con l’emissione di fattura; 

- i costi che il terzo si è dedotto nel 2013, anno in discussione, sono relativi ad una operazione da 32.000,00 euro, e sono quindi del tutto incompatibili con l’attività del ricorrente (ambulante che vende tessuti al dettaglio); 

- i costi che il terzo si è dedotto nel 2013 sono pari a quanto incassato dal contribuente in un anno intero di attività; 

- come riscontrato già in sede di risposta al questionario il contribuente non ha neanche operato acquisti tali da giustificare simili vendite, e se le stesse esistessero il contribuente risulterebbe applicare una percentuale di ricarico del 766%, che certamente non può dirsi realistica. 

Il contribuente procedeva immediatamente a recarsi presso la Questura di XXX esponendo l’accaduto (documento n. X): “L’anno X, il giorno X del mese di X, alle ore X negli Uffici in intestazione, dinanzi a me sottoscritto Ufficiale di P.G. X in forza al suindicato Ufficio, è presente la persona in oggetto generalizzata, la quale, per ogni effetto di legge, riferisce quanto segue: “In data X a seguito di una lettera da parte dell’agenzia delle entrate, accertavo tramite il mio commercialista di fiducia che erano state emesse delle fatture a favore di persone che non conosco. Una riferita all’anno 2013 dell’importo di euro X a favore di X e due fatture riferite all’anno 2014, una di euro X a favore di X e una di euro X a favore di X. Pertanto sottolineo il fatto che io con la mia società individuale con codice fiscale X emetto solo scontrino fiscale e non ho mai emesso nessuna fattura da quanto ho iniziato a lavorare dall’anno X. Ritengo che IGNOTI hanno usati i miei dati a mia insaputa”. 

La denuncia veniva prodotta in sede di risposta al questionario, con specifica illustrazione di quanto accaduto, e produzione di tutta la documentazione in possesso del contribuente. Veniva anche evidenziato come, dati gli acquisti operati e le risultanze di magazzino, fosse difficilmente ipotizzabile l’esistenza delle vendite di cui trattasi (documento n. X). 

Orbene, a questo punto l’Ufficio non avrebbe forse dovuto – in virtù del principio di leale collaborazione – sentire il terzo ed approfondire la vicenda per comprendere cosa in realtà fosse successo? 

Nulla di tutto ciò. 

Invero l’Agenzia delle Entrate pur resa edotta di quanto sopra, come se ciò non le fosse stato comunicato, notificava l’avviso di accertamento di cui in epigrafe, intimando il pagamento entro 60 giorni. 

Peraltro, analizzata la motivazione dell’atto notiamo che l’Ufficio si limita a richiamare lo Spesometro Integrato, che ovviamente ripropone il dato – non corrispondente al vero – indicato in contabilità dai soggetti che il contribuente aveva già proceduto a denunciare, ma non menziona in alcun modo la denuncia di cui era pienamente a conoscenza, né le circostanze di cui era stata resa puntualmente edotta (documento n. X). 

Rappresentando così in motivazione una dinamica degli eventi e dei dati (di cui era in possesso) del tutto incompleta. 

*** 

Orbene, il contribuente, da ultimo, dava incarico alla presente difesa al fine di attivarsi per far valere le proprie ragioni. 

Ampiamente fiduciosi del fatto che l’equivoco fosse agevolmente risolvibile in sede di accertamento con adesione, veniva depositata apposita istanza (documento n. X). 

In seno al procedimento di accertamento con adesione, veniva evidenziata ancora una volta la reale dinamica dei fatti e richiamata la denuncia, precisando che il contribuente non ha “emesso alcuna fattura (1) per l’anno 2013 e di non aver emesso fattura nei confronti della ditta X. Cosi come già esposto nella denuncia querela presentata il X e prodotta in sede di risposta al questionario” (documento n. X). 

Orbene, senza neanche replicare rispetto a tutto quanto evidenziato (circostanze di cui l’Agenzia era ben consapevole sin dall’invio del questionario), l’Ufficio si è rifiutato di operare annullamenti di sorta, ed ha chiuso negativamente il procedimento di accertamento con adesione, senza mai neanche spiegare per quale motivo insiste nonostante quanto emerso (la dicitura dell’Agenzia non offre spiegazioni di sorta: “L’Ufficio analizzati i documenti già prodotti in questa sede ritiene concluso il procedimento di adesione con esito negativo”: documento n. X). 

*** 

L’avviso di cui trattasi è senza alcun dubbio infondato ed illegittimo, per i seguenti motivi: 

- primo motivo: la pretesa erariale è indimostrata. 

La pretesa dell’Agenzia delle Entrate è del tutto indimostrata, in quanto l’unico elemento indicato dall’Ufficio per dimostrare l’esistenza di maggiori ricavi è il mero richiamo dei dati di cui allo Spesometro Integrato, richiamo del tutto insufficiente a sostenere, senza riscontri di alcun tipo o natura, la pretesa di cui trattasi. 

L’avviso (pag. X, documento n. X) richiama gli artt. 39, comma 2, D.P.R. 600/1973 e 55 D.P.R. n. 633/1972, rivendicando per sé stesso la facoltà di “procedere all’accertamento del reddito in via induttiva, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili, avvalendosi anche di presunzioni”. Tuttavia, i dati dello spesometro non fondano, da soli e senza riscontri, una presunzione, trattandosi di un elemento “singolo”, mentre un ragionamento presuntivo richiede una pluralità di elementi che congiuntamente considerati depongano nel senso invocato dall’Ufficio. 

Sotto correlato profilo questo stesso dato, proveniente dal terzo, non è sufficiente da solo a sostenere la pretesa tributaria così come in generale non lo sono le sole dichiarazioni di terzo (sul punto la giurisprudenza è copiosa (2)). 

L’Ufficio non offre alcuna prova concreta e specifica dell’esistenza dell’operazione contestata, non assolvendo il proprio onere probatorio. 

- secondo motivo: la pretesa erariale è infondata. 

L’accertamento è infondato, non vi è alcuna omessa registrazione di ricavi, ed il contribuente non ha emesso le fatture di cui trattasi. Tutte le circostanze ut supra evidenziate confutano il rilievo erariale (3). 

Il contribuente ha fatto tutto ciò che era in suo potere, ha avvisato per tempo l’Ufficio, ha sporto denuncia, ha instaurato il procedimento di accertamento con adesione ed ulteriormente sollecitato l’Ufficio a far chiarezza sulla vicenda. 

Per l’opposto l’Ufficio ha rifiutato di informare il proprio operato a qualsiasi spirito collaborativo, ed insistito senza ulteriormente soffermarsi in spiegazioni, nel voler incassare le somme – non dovute – di cui trattasi. 

- terzo motivo: negazione del diritto al contraddittorio; violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della l. 212 del 2000; violazione e falsa applicazione dell’art. 41 della carta dei diritti dell’unione europea. 

(NON SI RIPORTA NEL PRESENTE ARTICOLO IL TESTO DEL MOTIVO IN QUANTO NON DETERMINANTE AI FINI DELL’OTTENUTO ANNULLAMENTO)

 

- quarto motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 212 del 2000.

(NON SI RIPORTA NEL PRESENTE ARTICOLO IL TESTO DEL MOTIVO IN QUANTO NON DETERMINANTE AI FINI DELL’OTTENUTO ANNULLAMENTO) 

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In relazione al terzo motivo si precisa altresì quanto segue: - precisazioni in ordine alla violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del diritti del contribuente – mancata redazione e consegna del p.v.c. – negato contraddittorio procedimentale – mancato rispetto del termine a difesa per presentare osservazioni – mancato rispetto del diritto del contribuente di veder le proprie osservazioni valutate in sede di avviso di accertamento – violazione e falsa applicazione dell’art. 41 della carta dei diritti dell’unione europea.

(NON SI RIPORTA NEL PRESENTE ARTICOLO IL TESTO DEL MOTIVO IN QUANTO NON DETERMINANTE AI FINI DELL’OTTENUTO ANNULLAMENTO) 

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Sulla responsabilità risarcitoria della direzione provinciale ai sensi dell'art. 96 c.p.c. 

Esaminando la vicenda dalla prospettiva del contribuente appare rinvenibile una significativa responsabilità erariale ai sensi dell’art. 96 c.p.c. 

Il contribuente riceve il questionario e, non appena appresa la notizia che un terzo aveva indicato operazioni passive rispetto alle quali egli è del tutto estraneo, si reca in Questura, denuncia l’accaduto e ne dà notizia all’Agenzia delle Entrate. 

Spiega inoltre all’Agenzia delle Entrate che è impossibile l’esistenza delle vendite se sol si considera l’ammontare degli acquisti e le risultanze di magazzino. 

Era più che ragionevole immaginare che da questo momento l’Agenzia delle Entrate si attivasse per far luce sulla vicenda, ed invece, il contribuente riceve l’avviso di cui discutiamo, all’interno del quale gli si intima il pagamento entro il termine di 60 giorni. 

Peraltro, quest’atto neanche menziona tutto quanto dal contribuente puntualmente comunicato e documentato all’Agenzia delle Entrate. 

Il contribuente conferisce dunque mandato a questa difesa, e confida ragionevolmente in un annullamento in seno all’instaurato procedimento di accertamento con adesione. 

Invece, l’Ufficio insiste nella propria pretesa senza ulteriormente soffermarsi in spiegazioni neanche innanzi al difensore ex art. 63 D.P.R. 600/1973, rifiutando di operare annullamenti di sorta, sulla base di una motivazione del tutto muta ed incomprensibile “L’Ufficio analizzati i documenti già prodotti in questa sede ritiene concluso il procedimento di adesione con esito negativo”. 

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Di fronte ad una simile dinamica degli eventi, interrogativi sorgerebbero spontanei nella mente di qualsiasi contribuente, che dal canto suo ha fatto qualsiasi cosa in proprio potere, fare la denuncia, spiegare puntualmente all’Agenzia quanto a sua conoscenza, conferire un incarico al difensore per rappresentare la reale dinamica degli eventi in sede di accertamento con adesione. 

Com’è possibile che l’Ufficio si rifiuti di valutare l’accaduto? 

È virtuoso e collaborativo il comportamento dell’Ufficio, che reso edotto della situazione, prima in risposta al questionario, e dappoi in sede di procedimento di accertamento con adesione, si rifiuta di approfondire la vicenda senza offrire spiegazioni di sorta? 

Costringendo nel contempo il contribuente ad instaurare un contenzioso ed a sostenerne i costi. 

Sulla base di quanto ora brevemente riassunto, e sulla base di tutto quanto detto sopra, si ritiene emergano incisivi profili di responsabilità in capo all'Agenzia delle Entrate. 

Quest'ultima tuttavia può anticipare i disagi ed i costi, per la parte e per la collettività, del contenzioso tributario, intervenendo tempestivamente e annullando il proprio atto impositivo. 

Infatti, risulta applicabile al caso di cui trattasi la procedura di reclamo di cui all'art. 17-bis del D.lgs. n. 546/1992. 

Quindi, la Direzione Provinciale può ancora arginare, intervenendo prontamente, le possibili conseguente negative per l'odierno contribuente connesse alla necessità di instaurare il contenzioso. 

Vien da sé che, in caso contrario, si paleserà con ancor maggiore nitidezza la responsabilità della Direzione Provinciale ai sensi dell'art. 96 c.p.c., con la conseguente maturazione di ulteriori pretese del contribuente, quali, a titolo meramente esemplificativo: 

- il risarcimento per ingiusta perdita di tempo; 

- il risarcimento per i costi diretti ed indiretti di assistenza e difesa tecnica; 

- il risarcimento per lo stress e le tensioni determinate dal comportamento erariale. 

Infatti, come espressamente riconosciuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione tutte queste voci (nonché ulteriori) devono essere risarcite in applicazione dell'art. 96 c.p.c. (Cass. civ. Sez. Unite Ordinanza, 03/06/2013, n. 13899: “Le domande risarcitorie proposte nel processo tributario, a titolo di ingiusta perdita di tempo, sottratto alla propria attività lavorativa, di accollo di spese per spostamenti ed impiego di collaboratori e per la difesa tecnica nonché di stress e tensioni anche in ambito familiare, vanno ricondotte a pieno titolo nell'ambito applicativo dell'art. 96 c.p.c., in tema di responsabilità processuale aggravata, il quale: a) è applicabile al processo tributario, in virtù del generale rinvio di cui all'art. 1, secondo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; b) regola tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, ponendosi con carattere di specialità rispetto all'art. 2043 c.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità; c) non detta tanto una regola sulla competenza, ma disciplina piuttosto un fenomeno endoprocessuale, prevedendo che la domanda è proponibile solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l'insorgenza della detta responsabilità, non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume per l'appunto temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati”. 

Inoltre, si nota che le voci di danno configurabile ai sensi dell'art. 96 c.p.c. risultano due: danni risarcibili ai sensi del primo comma e danni risarcibili ai sensi del terzo comma. 

Orbene, tali voci di danno sono cumulative ed il contribuente ha titolo per richiedere la liquidazione di entrambe le voci (Cass. civ. Sez. V, 27/02/2013, n. 4925 ”Non vi è alternatività, ma cumulabilità, tra il primo comma dell'art. 96 c.p.c. (inerente alla condanna al risarcimento dei danni della parte totalmente soccombente che abbia agito o resistito con mala fede o colpa grave), e il terzo comma (sulla condanna ex officio, "altresì", al pagamento di una somma determinata equitativamente), potendo, astrattamente, il giudice pronunciare, se ne sussistano le rispettive condizioni, la condanna in forza di entrambe le disposizioni di legge, applicate cumulativamente: parzialmente diversi sono, infatti, i presupposti delle due condanne”). 

Quanto alla quantificazione di siffatto danno è rimessa a codesto Ecc.mo Giudicante una valutazione in via equitativa (cfr. CTR Puglia Bari Sez. VIII, 12/04/2010, n. 36: “Laddove l'Amministrazione finanziaria mantenga un contegno caratterizzato da mancanza assoluta di avvedutezza e di minima consapevolezza della legittimità o meno del proprio agire e delle conseguenze dei propri atti, compie un abuso del proprio potere, esercitato in modo evidentemente illecito. Ricorre dunque l'elemento soggettivo per l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno ex art. 96 del c.p.c. quantificabile in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c.”). 

Liquidazione che secondo quanto riconosciuto in giurisprudenza può essere estesa finanche ai danni morali (CTR Puglia Bari Sez. VIII, 12/04/2010, n. 36: Il risarcimento del danno ex art. 96, primo e secondo comma, c.p.c. può essere attribuito anche in assenza di prova circa il quantum del pregiudizio subito dall'intimato, spettando a quest'ultimo il ristoro del "danno morale" derivante dall'irresponsabile condotta del creditore, liquidabile quindi in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c.”), ed anche in considerazione del grado di rimproverabilità della condotta all’Agenzia delle Entrate. 

Pertanto, ove l'odierno contribuente, persona fisica con redditi del tutto esigui, dovesse essere costretto da codesta Direzione Provinciale ad instaurare un contenzioso tributario, si chiede espressamente la condanna dell'Amministrazione Finanziaria, che poteva facilmente intervenire per evitare i danni causati (sin dalla semplice lettura del presente ricorso-reclamo) e non vi ha provveduto, resistendo temerariamente in giudizio, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., primo comma, nonché ai sensi dell'art. 96 c.p.c., terzo comma”. 

 

“1. Il contribuente vende al dettaglio, emettendo scontrini. 

2. Sul punto Cass. 7271/2017, Cass. 13366/2016, Cass. n. 7707/2013, Cass. n. 22413/2016; Cass. n. 7707/2013, Cass. n. 8369/2013, Cass. 11785/2010. 

3. Come già evidenziato: 

- il contribuente è un ambulante che vende al dettaglio tessuti, emettendo scontrini, non un commerciante che vende all’ingrosso con l’emissione di fattura; 

- i costi che il terzo si è dedotto nel 2013, anno in discussione, sono relativi ad una singola operazione da 32.000 euro, e sono quindi del tutto incompatibili con l’attività del ricorrente (ambulante che vende tessuti al dettaglio); 

- i costi che si è dedotto il terzo nel 2013 sono pari a quanto incassato dal contribuente in un anno intero di attività; 

- come riscontrato già in sede di risposta al questionario il contribuente non ha operato acquisti tali da giustificare le vendite, e se le stesse esistessero il contribuente risulterebbe applicare una percentuale di ricarico del 766%, che certamente non può dirsi realistica”. 

 

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