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L’Agenzia delle Entrate deve rispettare il termine di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto a pena di nullità a prescindere dall’imminente scadenza dei termini o dal deposito di una memoria difensiva. Avviso annullato integralmente. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “per giurisprudenza di legittimità consolidata, confortata anche da una decisione delle sezioni unite, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso "ante tempus", poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. (…) la scadenza del termine di decadenza dell'azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell'inosservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (…) Pertanto, anche la predisposizione di una memoria difensiva da parte della contribuente nel minore termine concesso, non può eliminare l'illegittimità del provvedimento”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Ordinanza n. 2917 del 31 gennaio 2019

RITENUTO IN FATTO

1. L'Agenzia delle entrate, a seguito di processo verbale di constatazione del 21-11-2008, emetteva in data 1-12-2008 avviso di accertamento nei confronti della E. s.r.l. (E. s.r.I.), per l'anno 2003, ai fini Irpeg, Iva ed Irap, senza il rispetto dei sessanta giorni di cui all'art. 12 comma 7 legge 212/2000, con la giustificazione per cui l'avviso si riferiva "ad annualità per le quali sono previsti i termini decadenziali di cui agli artt. 43 d.p.r. 600/1973 e 57 d.p.r. 633/1972". Con l'avviso suddetto si reputavano indeducibili, per carenza del requisito della inerenza, i costi sostenuti dalla contribuente per spese erogate in favore della E.A. s.p.a., a titolo di "corrispettivo per arricchimento testata". In particolare, la E. aveva stipulato il 19-11-2001 un contratto di affitto di ramo azienda, avente ad oggetto, il giornale "XXX", con la E.A. s.p.a. (C.), affittuaria, per un corrispettivo quantificato in una percentuale dei futuri ricavi di quest'ultima, rivelatisi nel corso dei primi anni di scarsa rilevanza. Pochi giorni dopo, il 3-12-2001 l'affittante E. aveva stipulato altro accordo con la affittuaria C., in base al quale la contribuente riconosceva alla C. la somma di € 200.000, oltre iva, per l'anno 2002, a titolo di corrispettivo per l'attività di valorizzazione della testata. Tale scrittura era stata successivamente integrata con la previsione di ulteriori somme in favore della affittuaria anche per gli anni 2003 e 2004, da determinarsi sulla base di una apposita "scaletta" basata sull'incremento della diffusione della testata rispetto all'esercizio precedente. Tali somme in totale avevano raggiunto in tre anni la somma complessiva di € 800.000,00, sicchè secondo l'Agenzia delle entrate, tali versamenti erano indeducibili per difetto di inerenza, in quanto del tutto sproporzionati rispetto alla effettività attività svolta dalla C. nel corso dei tre anni, anche dovendosi tenere conto dei modestissimi ricavi della affittuaria, con altrettanti modesti ricavi della affittante in relazione al contratto di affitto di azienda. Con l'avviso si ritenevano, poi, indeducibili anche i costi di consulenza sostenuti nell'anno 2003 dalla contribuente per le spese relative allo studio di fattibilità ed alla successiva realizzazione di un concorso a premi finalizzato alla promozione del giornale "XXX" per complessivi € 170.000,00, quindi in favore del quotidiano "XXX", stante l'arbitrarietà di tale operazione in quanto afferente alla sfera decisionale dell'affittuaria del ramo di azienda.

2. Avverso tale avviso proponeva ricorso la E. s.r.I., evidenziando che l'affitto del ramo di azienda alla C. era stato giustificato dalla entrata in vigore della legge n. 62 del 7-3-2001, con cui erano state emanate nuove norme sulla spettanza delle provvidenze ministeriali all'editoria, con la richiesta di vari requisiti che la affittante non possedeva, che la E. negli anni precedenti aveva conseguito solo modesti utili (€ 1.743,89 nel 1999, € 1,31 nel 2000, € 8.470,00 nel 2001), che il canone di affitto era pari al 5 % dei ricavi della affittuaria, che questa aveva conseguito modesti utili negli anni successivi (€ 28.182, nel 2001 ed € 33.590,00 nel 2002), a fronte però di una fortissima "perdita operativa" di € 612.122, che la E., mantenendo la proprietà della testata, aveva potuto beneficiare della attività della affittuaria per aumentare il numero di tiratura della rivista, divenuta da settimanale (XXX) un quotidiano (XXX), seppure a prezzo di vendita modesto (circa C 0,10; oltre 100.000 lettori a copia; prima solo 4000 a copia), con un "arricchimento patrimoniale" della E., che il costo storico di acquisizione della rivista era stato di € 43.000,00 era arrivato alla somma di € 4.205.726, come da stima redatta dal rag. XXX il 31-12-2007 (XXX.it), che quindi era stato stipulato l'accordo del 3-12-2001, con le successive integrazioni, per la corresponsione della somma di € 200.000, per il 2002, a titolo di equo corrispettivo per l'attività di valorizzazione della testata, che in caso di successiva vendita della testata a terzi si genererebbe in capo alla E. s.r.l. una plusvalenza di oltre 4.200.000,00, da assoggettare a tassazione, che quindi i rapporti commerciali erano due, quello di affitto di ramo di azienda e quello relativo al riconoscimento alla C. di un corrispettivo per l'incremento di valore della testata, che con una seconda perizia redatta dal dott. XXX il valore della testata era stato valutato in € 6.821.269,00, passando da una tiratura media copie di 19.219 nel 2002 ad una tiratura media di copie di 62.129 nel 2005, con un incremento superiore al 300 %, che anche le spese per lo studio di fattibilità e la successiva realizzazione del concorso a premi, in relazione al contratto del 14-11-2003 con la I. s.r.I., aveva comportato l'aumento delle copie vendute, che quindi l'interesse per la Editor era rinvenibile nell'incremento di valore della testata.

3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso della società, non avendo chiarito l'Agenzia delle entrate le ragioni di particolare urgenza che avevano determinato la compressione del diritto di difesa della contribuente.

4. La Commissione tributaria regionale accoglieva l'appello dell'Agenzia delle entrate, rilevando che l'Agenzia aveva fornito una adeguata giustificazione dell'urgenza, consistita nell'approssimarsi del termine di decadenza, che, quanto al merito, l'accordo contrattuale integrava una ipotesi di abuso del diritto, in assenza di valide ragioni economiche, che ci si trovava dinanzi ad una "situazione completamente sbilanciata" a favore della C., la quale non solo pagava un canone di affitto modesto, ma otteneva nel 2002 il versamento della somma di € 200.000,00, quale corrispettivo per la valorizzazione della testata, non essendo peraltro comprensibile la ragione per cui la affittante aveva preso a suo carico le spese per l'attività promozionale del quotidiano, quindi inserendosi nella sfera decisionale dell'affittuaria del ramo di azienda. 5. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società.

6. Resisteva con controricorso l'Agenzia delle entrate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce "carenza di motivazione su un fatto fondamentale e decisivo della controversia con riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c.", in quanto la Commissione regionale ha ritenuto che la mera previsione della prossima scadenza del termine di decadenza di cui all'art. 43 d.p.r. 600/1973 per la notifica dell'avviso di accertamento da parte dell'Agenzia costituiva un caso di "particolare urgenza" ai sensi dell'art. 12 comma 7 legge 212/2000. Al contrario, la verifica era iniziata il 13-12-2006 ed era stata sospesa sino al 26-9-2008, sicchè i verificatori avevano avuto tutto il tempo per procedere agli accertamenti necessari. La notifica dell'avviso era avvenuta il 21-11-2008, quando non era più possibile osservare il termine di cui all'art. 12 comma 7 legge 212/2000.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la società si duole della "violazione dell'art. 12 comma 7, della legge 212/2000", in quanto la Commissione regionale ha affermato che "...la necessità di evitare ...la decadenza non può non costituire ...motivo di ricorso alla accelerazione dei termini...". La violazione della norma si desume dalla compressione del diritto di difesa della contribuente, sottoposta a verifica dal 13-12-2006, con una istruttoria della durata di due anni, sino alla notifica dell'avviso di accertamento in data 21-11- 2008. La ricorrente rilevava, quindi, che la violazione del termine di sessanta giorni non poteva essere giustificata con la generica allegazione della necessità di evitare la decadenza dal potere di accertamento dell'Ufficio.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la "contraddittoria motivazione su un fatto fondamentale e decisivo della controversia e con riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c.", in quanto la Commissione regionale, mentre, nell'incipit del motivo ha sostenuto di ritenere corrette, in linea di principio, le affermazioni della società per cui l'economicità di una operazione può essere riconosciuta anche in mancanza di un profitto immediato, se è ravvisabile un evidente futuro notevole incremento patrimoniale, successivamente ha contraddittoriamente ritenuto che, nel caso concreto, gli accordi stipulati evidenziavano una "situazione assolutamente sbilanciata a favore della C., la quale non solo è tenuta al versamento di un canone di affitto estremamente ridotto, agganciato oltretutto ai soli ricavi netti di vendita del quotidiano.. .ma ottenne, in virtù di accordo stipulato in data 3-12-2001, dalla società E. il versamento della somma di 200.000,00 euro quale corrispettivo per la valorizzazione della testata nell'anno 2002, al quale fecero seguito, in virtù di ulteriori accordi, altri versamenti a titolo di corrispettivo per l'attività di valorizzazione della testata negli anni 2003 e 2004". Per la ricorrente l'incremento patrimoniale prodottosi in capo alla E. è dimostrato da vari elementi: La E. ha incrementato le vendite dal giornale da 333.943 copie nel 2001 a 2.411.899 copie nel 2002; il valore della testata è giunto ad € 4.205.726, dal valore iniziale di € 43.000,00; è errato il volume di affari come ricostruito dall'Ufficio nel 2001 pari ad € 3.682.603,60 relativo a 322 giorni sì da giungere per 365 giorni del 2001 alla somma di € 4.174.379,86, non dovendosi tenere conto dei contributi governativi per € 300.046,00 e dovendosi considerare che il fatturato non è costante nel tempo.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce "omessa motivazione su un fatto fondamentale e decisivo della controversia con riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c.", in quanto la Commissione regionale afferma apoditticamente che ci si trova in presenza "di una situazione assolutamente sbilanciata a favore della C.", mentre per la ricorrente, non sono indicati i parametri in base ai quali è stato valutato tale "sbilanciamento", senza, quindi, procedere all'esame di circostanze fattuali, quali l'aumento esponenziale della tiratura del giornale, il valore patrimoniali della testata come accertato in perizia, l'incremento del fatturato nel 2002 pari al 10 °/(:).

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta "carente motivazione su un fatto fondamentale e decisivo della controversia con riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c.", avendo la Commissione regionale confuso la determinazione del canone di affitto con il corrispettivo per la valorizzazione della testata, mentre i due rapporti contrattuali si sono svolti su piani del tutto autonomi e diversi.

6. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta "carente motivazione su un fatto fondamentale e decisivo della controversia con riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c.", in quanto, con riferimento alla deducibilità delle spese per lo studio di fattibilità e l'organizzazione di un concorso a premi al fine di promuovere il giornale, la Commissione ha ritenuto "difficilmente comprensibile" che la E. si "sobbarcasse" una parte consistente delle spese relative a tale iniziativa, afferente, invece, alla "sfera decisionale dell'affittuario del ramo di azienda". La Commissione, quindi, non ha considerato che la manifestazione a premi ha comportato un investimento che ha incrementato automaticamente il valore della testata.

7. Il secondo motivo di impugnazione, che va esaminato prioritariamente perché pregiudiziale, è fondato. Invero, la Commissione regionale ha ritenuto che l'avviso di accertamento era legittimo, pur in assenza del rispetto del termine di sessanta giorni tra il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni e la notifica dell'avviso di accertamento, in quanto recava la motivazione per cui stavano per decorrere i termini di decadenza di cui all'art. 43 d.p.r. 600/1973. Peraltro, per la Commissione è stato in tal modo tutelato il diritto di difesa della contribuente, comunque in grado di depositare una memoria scritta. Per la Commissione "contrariamente a quanto sostenuto da una parte della giurisprudenza, la necessità di evitare la predetta decadenza non può non costituire, qualora compiutamente giustificata, motivo di ricorso all'accelerazione dei termini, autorizzato dalla normativa in esame, costituendo anzi un'ipotesi paradigmatica di utilizzo di tale meccanismo acceleratorio". Tuttavia, si rileva che, per giurisprudenza di legittimità consolidata, confortata anche da una decisione delle sezioni unite, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso "ante tempus", poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione anticipata, bensì nell'effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'ufficio (Cass.Civ., Sez.Un., 29 luglio 2013, n. 18184). Inoltre, va considerato che, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la scadenza del termine di decadenza dell'azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell'inosservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (Cass.Civ., 10 aprile 2018, n. 8749), ben potendo, invece, l'amministrazione offrire la come giustificazione dell'urgenza la prova che l'esercizio nell'imminenza della scadenza del termine sia dipeso da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso sull'attività accertativa fino al punto da rendere comunque necessaria l'attivazione dell'accertamento, a pena di vedere dissolta la finalità di recupero delle imposte ritenute non versate dal contribuente. Non è, quindi, l'imminenza della scadenza del termine ad integrare l'urgenza, ma, semmai, l'insorgenza di fatti concreti e precisi che possono rendere giustificata l'attivazione dell'ufficio quando non può più essere rispettato il termine dilatorio a pena di vedere decaduta l'amministrazione (per esempio in caso di reiterate violazioni delle leggi tributarie aventi rilevanza penale oppure per la partecipazione del contribuente ad una frode fiscale come da Cass.Civ., sez. 6-5, 2 luglio 2018, n. 17211). Né la sanzione della illegittimità dell'avviso per il mancato rispetto del termine dilatorio dei sessanta giorni può essere irrogata solo qualora il contribuente dimostri che il minor termine gli ha precluso di predisporre una adeguata e specifica linea difensiva. Tale termine deve essere, infatti, rispettato a prescindere dalla allegazione da parte del contribuente di avere subito uno specifico nocumento alla propria difesa, non avendo potuto produrre nel ristretto lasso temporale concesso, osservazioni, memorie e documenti. Il termine è infatti stabilito a presidio del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, espressione dei principi di collaborazione e di buona fede. L'art. 12 comma 7 della legge 212/2000, dunque, non prevede, per le verifiche svolte nei locali del contribuente, la c.d. prova di resistenza al fine di rendere operante l'invalidità dell'atto emesso senza il rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni (Cass.Civ., 30 ottobre 2018, n. 27623). Né tale interpretazione contrasta con il diritto comunitario, in quanto il maggior grado di tutela previsto a livello interno per i tributi non armonizzati dalla legge 212/2000, articolo 12, comma 7, per come interpretato dal diritto vivente di questa Corte, si muove in armonia piena con il principio di massimizzazione delle tutele, che consente ad un singolo ordinamento di apprestare livelli di protezione più ampi rispetto a quelli garantiti dal sistema eurounitario per i tributi non armonizzati. Pertanto, anche la predisposizione di una memoria difensiva da parte della contribuente nel minore termine concesso, non può eliminare l'illegittimità del provvedimento. La Commissione regionale non ha indicato in alcun modo i fatti ad essa Agenzia non imputabili che avrebbero determinato l'urgenza di adottare l'avviso di accertamento, senza il rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni.

8.1 motivi primo, terzo, quarto, quinto e sesto, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono assorbiti, in ragione dell'accoglimento del secondo motivo, relativo al mancato rispetto del termine di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento, ai sensi dell'art. 12 comma 7 legge 212/2000.

9. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al secondo motivo, ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., con l'accoglimento del ricorso originario della contribuente.

10. In base al principio della soccombenza le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della Agenzia delle entrate e si liquidano come da dispositivo. Le spese dei gradi di merito devono essere interamente compensate tra le parti, stante la peculiarità della fattispecie.

P.Q.M.

In accoglimento del secondo motivo, assorbiti il primo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei gradi di merito. Condanna l'Agenzia delle entrate a rimborsare in favore della contribuente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 5.600,00, oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura forfettaria del 15 %. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 14 dicembre 2018

 

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