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Inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che discute della “non inerenza” dell’operazione impugnando sentenza che non è incentrata sulla “non inerenza” (bensì sull’insussistenza di un abuso del diritto). Agenzia rimborserà 15.000€ di spese

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Estratto: “Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi. Infatti, il giudice di appello ha accolto il gravame della contribuente non già in ragione della ritenuta inerenza dell'operazione in esame all'attività di impresa della medesima, quanto in considerazione del mancato rinvenimento degli estremi della contestata condotta elusiva o, comunque, abusiva del diritto”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 14617 del 29 maggio 2019

FATTI DI CAUSA

1. L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 26 maggio 2015, che, in accoglimento dell'appello proposto dalla C. s.r.l. e in reiezione di quello incidentale dell'Ufficio, ha dichiarato l'illegittimità dell'avviso di accertamento con era stata recuperata, per l'anno 2010, la maggiore Iva asseritamente dovuta dalla società, previo disconoscimento di un credito Iva - di minor importo - chiesto a rimborso dalla contribuente ai sensi dell'articolo 30, terzo comma, lett. c), d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e irrogata la relativa sanzione, nonché del silenzio rifiuto opposto all'istanza di rimborso avente ad oggetto il predetto credito i.v.a. Dall'esame della sentenza impugnata si evince che con l'atto impositivo l'Ufficio aveva contestato l'indebita detrazione dell'i.v.a. assolta dalla C. s.r.l. sull'esecuzione di opere edili finalizzate alla costruzione di un centro polivalente per anziani, allegando che tale esecuzione era stata affidata alla GN. S.r.l., detentrice del 99% del suo capitale sociale, e che, ultimati i lavori, quest'ultima aveva ceduto la sua partecipazione sociale alla G. s.p.a., detentrice del residuo 1%, cui era stato affidato in concessione l'esercizio dell'attività sociosanitaria presso la struttura realizzata. Secondo la tesi dell'Ufficio ivi esposta la C. s.r.l. si sarebbe fittiziamente interposta tra la G. spa e l'associazione temporanea di imprese costituita tra quest'ultima e la GN S.r.l. e, per effetto delle diverse operazioni societarie succedutesi nel tempo, si sarebbe venuta a creare una perfetta identificazione tra la stessa e la G. S.p.A., la quale effettua prestazioni quasi completamente esenti da Iva, divenuta titolare del 100% del suo capitale sociale.

2. Il giudice di appello ha ritenuto che ricorressero le condizioni per la detrazione dell'Iva assolta sugli acquisti, non avendo la contribuente svolto l'attività sociosanitaria alla quale gli acquisti erano destinati e, dunque, operazioni attive esenti da i.v.a., e non ravvisando nella contestata mancanza di autonomia amministrativo-decisionale e finanziarie della contribuente rispetto alle società che l'avevano costituita ovvero nella concessione dell'esercizio dell'attività sociosanitaria alla G. s.p.a. elementi idonei ad integrare la fattispecie dell'abuso del diritto. Ha, altresì, ritenuto sussistente il diritto della contribuente al rimborso chiesto, previa reiezione dell'appello incidentale dell'Amministrazione finanziaria vertente sulla inammissibilità del ricorso originario.

3. Il ricorso è affidato ad un unico motivo.

4. Resiste con controricorso la C. s.r.l.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo proposto l'agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 19, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per aver la sentenza impugnata ritenuto che spettasse alla C. s.r.l. il diritto alla detrazione dell'Iva assolta sugli acquisti benché la società non avesse svolto alcun esercizio dell'impresa e, dunque, fosse carente il requisito dell'inerenza. Evidenzia, in particolare, che l'operazione in esame è stata posta in essere con l'unico intento di procurare alla contribuente un indebito vantaggio fiscale, consistente nel diritto alla detrazione dell'Iva, in quanto se l'opera fosse stata realizzata direttamente dall'utilizzatrice, ossia la G. s.p.A., tale detrazione non sarebbe stata consentita.

1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi. Infatti, il giudice di appello ha accolto il gravame della contribuente non già in ragione della ritenuta inerenza dell'operazione in esame all'attività di impresa della medesima, quanto in considerazione del mancato rinvenimento degli estremi della contestata condotta elusiva o, comunque, abusiva del diritto. Giova, in proposito, rilevare che dall'esame degli atti - e in particolare, dal contenuto del ricorso dell'Amministrazione finanziaria - emerge che la ripresa operata dall'Ufficio è motivata con la ricorrenza della fattispecie dell'«elusione o abuso del diritto», ossia di un'operazione avente quale elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco e, dunque, priva di una giustificazione economica apprezzabile differente dall'intento di conseguire un risparmio di imposta (cfr. Cass., ord., 20 giugno 2018, n. 16217; Cass. 28 febbraio 2017, n. 5090). In relazione alla giustificazione posta dall'Ufficio a fondamento della ripresa fiscale la contribuente ha spiegato le proprie difese con l'articolazione dei motivi di impugnazione dell'atto impositivo e con riferimento alla pretesa erariale, così come determinata nei fatti costitutivi ivi rappresentati, si è pronunciato il giudice tributario di primo e secondo grado, giungendo alla conclusione dell'insussistenza della fattispecie abusiva. Il tema di indagine relativo alla non inerenza dell'operazione - oggetto del motivo di ricorso in esame - risulta, dunque, estraneo al percorso argomentativo utilizzato per la decisione della causa, oltre che, più in generale, al thema decidendum del presente giudizio, circoscritto alla legittimità della pretesa erariale effettivamente avanzata con l'atto impugnato (cfr. Cass. 20 aprile 2016, n. 7927). 2. Le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 15.000,00, oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

 

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