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Comunicazione per avvocati. Articolo di Michele Bresciani. “La bellezza ci influenza sempre… Anche in tribunale” Featured

Scritto da Avv. Federico Pau e Michele Bresciani
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Nel corso del ciclo di interviste agli studiosi di comunicazione e persuasione ho avuto modo di conoscere Michele Bresciani, autore di libri dedicati alla comunicazione e docente in corsi riguardanti l’ambito della comunicazione persuasiva. Dai tanti spunti affiorati nel corso delle chiacchierate con Michele, che mi hanno incuriosito oltre che colpito, emerge questa serie di articoli, in cui Michele, pensando proprio a noi avvocati, ci racconterà degli aneddoti e condividerà alcune riflessioni, che possono spingerci ad osservare meglio degli aspetti comunicativi utili per gli avvocati. L'articolo di oggi è intitolato: "La bellezza ci influenza sempre… Anche in tribunale".

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Prima di esaminare nel concreto il testo del contributo, se è la tua prima volta qui, ecco

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Prima di lasciarvi all’articolo, farò alcune osservazioni consapevole del fatto che, forse, l’articolo di Michele potrebbe far torcere il naso a qualcuno, tutti noi conosciamo infatti avvocati straordinari che non sono esattamente avvenenti e che a volte si mostrano finanche un pò trasandati; può essere utile leggere l’articolo e gli studi scientifici citati da Michele: 1) tenendo a mente che si tratta di considerazioni statistiche (vi sarà quindi sempre l’eccezione); 2) nell’ottica delle sole udienze e specialmente di quelle in esito alle quali viene immediatamente presa una decisione (quindi parliamo più dell’ambito penale), nei processi prevalentemente c.d. cartolari (ossia la maggior parte) è evidente che il c.d. effetto alone avrà rilevanza trascurabile; 3) a volte, quando “percepiamo” il bell’aspetto di qualcuno non stiamo tanto "percependo" i tratti somatici che compongono un aspetto gradevole quanto la gradevolezza di trovarci di fronte ad una persona di aspetto “ordinato” e “curato” (ma di questo leggerete nell’articolo).

Detto ciò la parola a Michele:

“Siamo in Pennsylvania, nel 1978, e i ricercatori stanno valutando le qualità fisiche di 74 imputati all’inizio dei rispettivi processi.

Anni dopo, ricontrollano l’esito dei procedimenti e la sorpresa è evidente: gli imputati più belli avevano una probabilità doppia rispetto agli altri di evitare il carcere.

Questa cosa li lasciò a dir poco perplessi.

In un’altra ricerca Kulka e Kessler valutarono invece le cause afferenti al reato di lesioni colpose: se l’imputato era più bello della vittima l’indennizzo medio era di 5.623 dollari, mentre se la vittima era più bella dell’imputato (…. ahi ahi siamo di fronte a un mostro !) …. L’indennizzo medio era pari a 10.051 dollari.

Pare proprio che la bellezza fisica influenzi la percezione anche di aspetti differenti del nostro “essere umani” e… ahimè… i belli hanno una posizione favorevole.

Stiamo parlando di automatismi cognitivi, cioè di reazioni istintive e primordiali del nostro cervello, non sempre riconosciute (o tantomeno sbandierate… sarebbe politicamente scorretto privilegiare una persona di bell’aspetto, no ?)

Eppure, nonostante sia difficile da ammettere, tendiamo ad associare alle persone esteticamente gradevoli anche qualità lontane dalla semplice fortuna di essere nati con un bel faccino.

Quindi, cosa possiamo fare nel nostro lavoro per sfruttare questo bias? Ci iscriviamo ad un corso per diventare top model? Piantiamo una tenda nello studio del chirurgo plastico?

Basta in effetti molto meno: quello che percepiamo normalmente come “bello” è in realtà un equilibrio di molti fattori: la regolarità dei tratti somatici (e su questo possiamo fare poco) ma anche segnali di attenzione e rispetto per la propria gradevolezza. Qualche esempio?

Un aspetto curato, capelli pettinati, assenza di odori sgradevoli, mani pulite, asciutte e curate, vestiti coerenti con il nostro ruolo, sorriso, denti puliti e bianchi, assenza di peli superflui… e potremmo andare avanti ancora con una carrellata di “servizi da centro estetico “. Ma non si tratta solo di estetica, si tratta proprio di segnali. Le persone che ancora non ci conoscono, ci percepiscono attraverso questi segnali e in qualche modo ci classificano ed etichettano ancora prima che noi abbiamo avuto la possibilità di farci conoscere.

In altre parole, i nostri segnali ci precedono.

Quindi… tutti in fila ordinata, puliti, lavati e profumati, tanto da sembrare deumanizzati, proprio per l’ipertrofia delle attenzioni estetiche ?

Macchè, basta molto meno, basta la consapevolezza che se anche non siamo nati come George Clooney o come Manuela Arcuri, possiamo ancora sfruttare quelle attenzioni verso noi stessi che vengono recepite dagli altri come indizi di rispetto e attenzione. Verso noi stessi e verso la collettività.

Basta per vincere una causa? No, ovviamente. Magari fosse così facile… certamente però utilizzare con attenzione questi elementi può aumentare la nostra capacità persuasiva. La nostra armonia, anche estetica, è qualcosa di più di un vezzo: è un modo per definire un “effetto alone”, una sorta di aura positiva nella quale vengono associati altri elementi di valore, benessere e autorevolezza.

Dispiace dirlo, ma chi nasce bello ha migliori chance di successo. Dispiace a me. Ma forse è solo invidia.

A presto con un altro spunto di riflessione su comunicazione e persuasione nel lavoro forense! Michele Bresciani”

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Ringrazio Michele per questo interessante contributo, che ci permette di ribadire per l’ennesima volta una regola che abbiamo ritrovato in molte occasioni prima di oggi: la comunicazione va ben oltre “cosa” diciamo, e riguarda anche “chi” lo dice e il “come” lo dice.

 

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