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Costituzione di servitù prediali su terreni agricoli. Agenzia delle Entrate tenta di tassarla al 15% piuttosto che all’8%, ma viene fermata dalle sentenze dei giudici. L’interpretazione dell’Agenzia "non può essere condivisa". Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “non può essere condivisa la tesi sostenuta dall'Agenzia delle Entrate secondo cui agli atti costitutivi di servitù sui terreni agricoli si applica l'imposta di registro nella misura del 15% anzicchè dell'8%, tenuto conto che il legislatore ha utilizzato i termini "costituzione" e "trasferimento" in ragione della natura giuridica degli atti negoziali che le parti hanno posto in essere, con la conseguenza che il termine "trasferimento" non può essere riferito ad una accezione più ampia”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 22198 del 5 settembre 2019

FATTI DI CAUSA

La società E., parte contraente di tre contratti costitutivi di servitù di posa e mantenimento di una linea elettrica, di linea dati e tubi vuoti, su terreni agricoli, impugnava tre avvisi di liquidazione per imposta di registro, relativa all'anno 2013, innanzi alla Commissione Tributaria di Primo grado di Bolzano, chiedendone l'annullamento, ritenendo di non essere tenuta al pagamento dell'imposta di registro nella misura del 15%, ma nella misura dell'8%. L'Ufficio deduceva, invece, che alla fattispecie fosse applicabile l'aliquota del 15%, ai sensi dell'art. 1, comma 3, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, posto che la costituzione di una servitù prediale su un fondo agricolo in realtà consisteva in un trasferimento di facoltà.

L'adita Commissione, con sentenza n. 14/02/15 del 2015, accoglieva il ricorso, ravvisando la correttezza della interpretazione dell'art. 1, comma terzo, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, offerta dalla contribuente. L'Ufficio proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano, eccependo che la sentenza appellata avesse deciso sulla base dell'unica pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, la n. 16495 del 2003, senza offrire ulteriori argomentazioni. La Commissione Tributaria di II grado, con sentenza n. 19/2016 del 1 marzo 2016, respingeva il gravame, ritenendo applicabile alla costituzione di servitù reale l'aliquota fiscale dell'8%, in quanto il comma 3 dell'art. 1 del D.P.R. n. 131 del 1986 si riferiva esclusivamente alla cessione di immobili, ed il fatto che il legislatore avesse distinto chiaramente la cessione della proprietà dalla costituzione di servitù reale escludeva che l'espressione "trasmissione", utilizzata nel terzo comma, potesse essere riferita anche alla costituzione di servitù. L'Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo un solo motivo. E. si è costituita con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 1, periodi 1 e 3 della Tariffa parte I allegata al d.P.R. 26.4.1986, n. 131, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. tenuto conto che la pronuncia della CT di II grado di Bolzano derogherebbe a quanto statuito dall'art. 1, comma 1, della tariffa parte I allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, nel senso di istituire la più elevata aliquota dal 15% rispetto a quella generale dell'8%, solo per quel che riguarda gli atti di trasferimento inerenti terreni agricoli, tra i quali non potrebbero essere annoverate le costituzioni di servitù di elettrodotto.

L'interpretazione offerta dalla adita Commissione non sarebbe corretta, in quanto fino all'entrata in vigore del d.P.R. n. 131 del 1986 non vi era nessun dubbio in ordine alla assoggettabilità all'aliquota del 15% degli atti costitutivi di servitù su terreni agricoli. Tale interpretazione venne pacificamente ritenuta applicabile anche alla nuova normativa introdotta con il citato decreto, che aveva riprodotto le disposizioni già contenute nell'articolo 1 della Tariffa allegata al previgente d.P.R. n. 634 del 1972. Pertanto, le conclusioni offerte dai giudici di appello, secondo parte ricorrente, non potrebbero essere condivise, limitandosi a dare una valutazione meramente letterale del termine "trasferimento" contenuto in tutti i periodi successivi al primo del citato art. 1, comma 1, della tariffa. Tale termine, secondo la CT di II grado, non riguarderebbe gli atti costitutivi di diritti reali di godimento, in quanto non si verificherebbe alcun effetto traslativo.

1.1. Il motivo è infondato per le considerazioni che seguono. a) L'esame della questione impone una breve riflessione sulla natura giuridica dell'istituto delle servitù prediali. Ai sensi dell'art. 1027 c.c. la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente ad un diverso proprietario. Il diritto di servitù è un diritto reale di godimento e, come tale, non si sottrae al principio della cosiddetta immediatezza del potere sulla cosa, che consente al relativo titolare di trarre direttamente utilità dalla cosa stessa, ossia il fondo servente, senza che a tal fine sia necessaria l'intermediazione attiva di un altro soggetto, ossia del proprietario del fondo servente. Al vantaggio del fondo dominante corrisponde una restrizione per il fondo servente. Il contenuto delle servitù non è predeterminato, come avviene per gli altri diritti reali di godimento su cosa altrui, ma l'autonomia privata gode di ampi margini, con il solo limite dell'utilità per il fondo dominante, oltre il limite, naturalmente, relativo ad ogni negozio giuridico. La legge accoglie una nozione volutamente ampia di utilità: essa infatti - precisa l'art. 1028, prima parte - può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Il concetto di utilitas è talmente esteso da comprendere "qualsiasi vantaggio, anche non economico, che migliori l'utilizzazione del fondo dominante" (Cass. n. 835 del 1980; Cass. n. 2628 del 1984, Cass. n. 434 del 1985). Il concetto di utilità è collegato con quello di predialità, con la conseguenza che l'utilità non può essere identificata soggettivamente, in relazione agli interessi personali del proprietario del fondo dominante, ma deve risultare direttamente e oggettivamente "dalla natura e dalla destinazione del fondo dominante" (Cass. n. 280 del 1974; Cass. n. 2950 del 1975). Ne consegue che l'utilità deve ispirarsi al carattere della predialità, che permea di sé l'intera struttura legale delle servitù. b) Il diritto di servitù è, innanzitutto, un diritto reale, e della realità esso ha tutti i caratteri essenziali, a cominciare dal dato qualificante della cosiddetta inerenza, che consiste nel rendere inseparabile il diritto di servitù dalla proprietà del fondo dominante. Il principio della inseparabilità della servitù dal fondo dominante comporta, a sua volta, una serie di regole consequenziali: il diritto di servitù non può essere trasferito separatamente dalla proprietà del fondo dominante (cosiddetta inanienabilità della servitù); non è, inoltre, ammissibile una concessione separata del godimento (che costituisce il contenuto) della servitù, nè sotto forma di costituzione di un diritto reale di usufrutto, di uso o anche di servitù, (di qui il brocardo servitus servitutis esse non potest), né sotto forma di un contratto di locazione (cosiddetta incedibilità dell'esercizio della servitù). Con il trasferimento della proprietà del fondo dominante si trasferiscono normalmente le servitù che ineriscono attivamente a tale fondo, anche se nulla è stato stabilito al riguardo nell'atto di trasferimento (cosiddetta ambulatorietà della servitù). Infine, il diritto di servitù è legato alla proprietà del fondo dominante da un intimo nesso di accessorietà di strumentalità. c) Questa Corte, come ricordato dall'Agenzia delle Entrate nel ricorso, si è pronunciata in tema di tassazione di servitù prediali ai fini dell'imposta di registro con la sentenza n. 16495 del 2003, chiarendo che il nuovo testo della prima parte allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 ha accorpato nell'articolo 1 le disposizioni degli articoli 1 e 1 bis del d.P.R. n. 634 del 1972, dando all'intera materia degli atti traslativi della proprietà dei beni immobili e degli atti traslativi e costitutivi dei diritti reali di godimento sugli stessi, una veste più organica. La Corte evidenzia la distinzione introdotta dal primo periodo della tariffa solo per i tipi di atti e non più, come nel sistema precedente, per tipi di beni che ne formano oggetto, precisando che "la distinzione ora corre tra atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili (terreni, fabbricati) e atti traslativi di diritti reali di godimento (superficie, enfiteusi, usufrutto, servitù, uso, abitazione), da una parte, e atti costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento dall'altra".

Su tale presupposto, quindi sulla piana lettura della norma, la Corte conclude che "se tale è l'architettura della normativa, che, ripetesi, contrappone gli atti traslativi a quelli costitutivi di diritti reali di godimento, quali le servitù prediali, a fa ricadere tra i primi i "trasferimenti coattivi" di immobili o di diritti reali di godimento - sembra indiscutibile che il termine «trasferimento» conformemente all'etimo latino, sia stato usato dal legislatore per indicare tutti gli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento.

Ulteriore corollario è che il termine in questione non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante). Le argomentazioni utilizzate da questa Corte sono condivisibili e non vi è motivo di discostarsene, tenuto conto della natura giuridica della servitù. Si è sopra precisato infatti, come la servitù si costituisce, poiché un diritto reale di godimento su un fondo altrui, che rappresenta un "peso" su questo fondo a vantaggio di un altro, "si costituisce" non si "trasferisce", atteso che tale "peso" è strettamente collegato al concetto di predialità, sicchè l'utilità della servitù si ispira solo alle caratteristiche di "quel tipo di fondo servente". Proprio per tornare al concetto di "trasferimento", che non può trovare applicazione alla servitù prediale, si ricorda che la servitù non è autonomamente alienabile, sicchè non può essere trasferita separatamente dalla proprietà del fondo dominante, né può essere ammissibile una concessione separata del godimento della servitù. Ne consegue che va condiviso quanto già affermato da questa Corte, secondo cui: "In tema di servitù si parla, infatti, di costituzione e non di trasferimento, in armonia con il carattere costitutivo che presenta ogni relativa acquisizione, al pari dell'usufrutto e dell'ipoteca" (Cass. n. 16595 del 2003, in motivazione). L’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 prevede, in linea generale, per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e per gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, l'applicazione dell'imposta di registro con l'aliquota dell'8%. L'aliquota è elevata al 15 % quando il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dagli imprenditori a titolo principale o di associazioni o società cooperative di cui agli articoli 12 e 13 della legge 19 maggio 1975, n. 153. Sulla base dei rilievi espressi, non può essere condivisa la tesi sostenuta dall'Agenzia delle Entrate secondo cui agli atti costitutivi di servitù sui terreni agricoli si applica l'imposta di registro nella misura del 15% anzicchè dell'8%, tenuto conto che il legislatore ha utilizzato i termini "costituzione" e "trasferimento" in ragione della natura giuridica degli atti negoziali che le parti hanno posto in essere, con la conseguenza che il termine "trasferimento" non può essere riferito ad una accezione più ampia. Va, pertanto, ribadito il principio già espresso da questa Corte, con sentenza n. 16495 del 2003, secondo cui: "Il termine trasferimento contenuto nell'art. 1, della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, è stato adoperato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento e non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante)".

2. La sentenza impugnata non merita censura, avendo i giudici di appello correttamente statuito che per la costituzione di servitù prediali deve essere applicata l'aliquota fiscale dell'8% e che va escluso che l'espressione "trasmissione" utilizzata al comma 3 dell'art. 1 della prima parte del tariffario allegato al D.P.R. n. 131 del 1986 sia riferita anche alla costituzione di servitù. In definitiva, il ricorso va rigettato. L'esigua giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate suggerisce l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso, in Roma, il 9 maggio 2019.

 

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