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Se non vi erano finalità fraudolente l’operazione è da considerare cessione intracomunitaria non imponibile anche se non si è curato direttamente il trasporto. Errata l’interpretazione letterale dell’Agenzia. Occorre guardare allo scopo della norma

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Estratto: “al fine di considerare un'operazione triangolare come cessione intracomunitaria non imponibile, l'espressione letterale "a cura" del cedente, contenuta nell'art. 8, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 633 del 1972, o quella corrispondente "per suo conto", contenuta nell'art. 15, comma 1, della direttiva 77/388/CEE (sesta direttiva), vanno interpretate in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente - e cioè al di fuori di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente - decidere di esportare i beni in un altro "Stato membro" e, quindi, non nel senso che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest'ultimo, ma nel senso che è essenziale che vi sia la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l'operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all'estero”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 1826 del 23 gennaio 2019

RILEVATO CHE

- D. Srl impugnava atto di contestazione e irrogazione di sanzioni emesso dall'Agenzia delle entrate per aver il contribuente effettuato un'operazione triangolare in regime di non imponibilità quale cessione extracomunitaria senza, tuttavia, curare direttamente il trasporto della merce presso il destinatario estero; - l'impugnazione era accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Lecco; la sentenza era confermata dal giudice d'appello; - l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con due motivi; resiste la contribuente con controricorso;

CONSIDERATO CHE

- il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 8, primo comma, lett. a, d.P.R. n. 633 del 1972 per aver la CTR ritenuto applicabile il regime di non imponibilità nonostante il trasporto fuori dal territorio nazionale fosse stato effettuato non direttamente dal cedente ma ad opera del primo cessionario nazionale;

- il secondo motivo denuncia nuovamente violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 8, primo comma, lett. a, d.P.R. n. 633 del 1972 per aver la CTR ritenuto, ai fini del riconoscimento del regime di non imponibilità, che l'operazione, fin dall'origine, fosse stata voluta come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all'estero nonostante la genericità delle indicazioni apposte in fattura;

- il primo motivo è infondato; - secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, infatti, «al fine di considerare un'operazione triangolare come cessione intracomunitaria non imponibile, l'espressione letterale "a cura" del cedente, contenuta nell'art. 8, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 633 del 1972, o quella corrispondente "per suo conto", contenuta nell'art. 15, comma 1, della direttiva 77/388/CEE (sesta direttiva), vanno interpretate in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente - e cioè al di fuori di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente - decidere di

esportare i beni in un altro "Stato membro" e, quindi, non nel senso che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest'ultimo, ma nel senso che è essenziale che vi sia la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l'operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all'estero» (da ultimo Cass. n. 4408 del 23/02/2018; v. anche Cass. n. 22333 del 13/09/2018), principio cui la CTR si è esattamente attenuta; - il secondo motivo è inammissibile poiché, pur formulato come vizio di legge, attinge, in realtà, la valutazione delle prove documentali e il conseguente accertamento di fatto operato dalla CTR in ordine all'effettiva ed originaria volontà dei contraenti («la documentazione prodotta fornisce sostanzialmente tutti gli elementi che la Cassazione ha ritenuto indispensabili per la concessione dell'esenzione Iva di cui trattasi»); - il ricorso va pertanto rigettato; - le spese, atteso il consolidamento dell'orientamento della Corte solo successivamente alla proposizione del ricorso, vanno compensate;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese. Deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 11 dicembre 2018

 

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