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Rimborso dell’IRAP al medico convenzionato senza autonoma organizzazione. Cassazione riconosce il diritto al rimborso integrale, per ciascuno degli anni in discussione. Accolto il ricorso del contribuente

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Estratto: “questa Corte, a sezioni unite, ha affermato che il presupposto dell'"autonoma organizzazione" richiesto dall'art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile dell'organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il "minimo indispensabile" all'esercizio dell'attività”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 5112 del 21 febbraio 2019

RITENUTO IN FATTO

1.D, medico convenzionato, dopo aver provveduto al pagamento dell'Irap per gli anni dal 2004 al 2008, ne chiedeva il rimborso in assenza del requisito della autonoma organizzazione, evidenziando che non aveva alcun dipendente, che gli unici costi per personale sostenuti negli anni riguardavano un "sostituto" ed il commercialista e che le spese per attrezzature erano indispensabili per lo svolgimento del suo lavoro.

2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso in quanto i ricavi della professione erano superiori ad € 30.000.

3. La Commissione tributaria regionale accoglieva l'appello proposto dalla contribuente solo per l'anno 2004, mentre per gli altri anni risultava "l'impiego del lavoro di terzi".

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la contribuente.

5. Restava intimata l'Agenzia delle entrate

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione la contribuente deduce "erroneità ed infondatezza della motivazione della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c. n. 3, 4 e 5, per mancata ed errata valutazione delle prove offerte con conseguente mancato esame delle stesse nonché per la mancata ed insufficiente ed illogica motivazione della sentenza", in quanto la Commissione regionale non ha tenuto conto della dichiarazione dei redditi, e segnatamente del quadro E , da cui emergeva, non solo il valore della produzione, ma anche l'importo delle spese sostenute per dipendenti "terzi", di modico valore, specie se raffrontate ai ricavi annui. La mancata valutazione dei documenti ha comportato la pronuncia di una sentenza priva degli elementi necessari alla valutazione degli elementi organizzativi tali da determinare "un'aggiunta potenzialmente economica all'attività del medico", anziché, come prospettato dal contribuente "una doverosa organizzazione tesa a raggiungere gli obiettivi di salute pubblica". 1.1. Tale motivo è inammissibile. Invero, la sentenza è stata pronunciata il 16-2-2013, sicchè trova applicazione l'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. nella nuova formulazione di cui al d.l. 83/2012, entrato in vigore a decorrere dall'11-9-2012. Invero, per questa Corte, a seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass.Civ., 25 settembre 2018, n. 22598). Nella specie, la ricorrente si è limitata a dedurre la "mancata ed insufficiente ed illogica motivazione", oltre che l'erroneità ed "infondatezza" della motivazione della sentenza impugnata, incorrendo, quindi, nel vizio della inammissibilità. I motivi indicati sotto i numeri 3 e 4 dell'art. 360 c.p.c., in realtà, non sono supportati da ragioni di impugnazione diverse dal vizio di motivazione, sicchè anch'essi sono inammissibili.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce "erroneità ed infondatezza della motivazione della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e mancata valutazione di fatti decisivi per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare decreto legislativo n. 546 del 1992, articolo 57 e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro. Nonchè per contrasto con gli articoli 1 e 25 della legge 833/1978, con la convenzione a.c.n., per la medicina generale, in particolare articoli 5, 6, 26, 36, 46, 59 e 59 bis, nonché l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia", in quanto la Commissione regionale non ha tenuto conto del fatto controverso e decisivo, rappresentato dalla assenza di persona dipendente e dalla presenza solo di terzi indipendenti dallo studio, e segnatamente del medico "sostituto" e del commercialista, come risulta dalla dichiarazione dei redditi presentata dalla contribuente.

2.1.Tale motivo è fondato. Si premette che alla fattispecie in esame non si applica la limitazione della impugnazione solo per le ipotesi di cui all'art. 360 comma 1 nn. 1, 2, 3 e 4 c.p.c., con esclusione di quella di cui al n. 5 ("doppia conforme"). Infatti, la previsione d'inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all'art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello "che conferma la decisione di primo grado", non si applica, agli effetti dell'art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all'il settembre 2012 (Cass.Civ., 18 dicembre 2014, n. 26860). Nella specie l'appello è stato spedito il 28-3-2011. Quanto al merito, si osserva che la Commissione regionale si è limitata ad affermare che la contribuente non ha fornito la prova della insussistenza del secondo presupposto (il primo era il "l'impiego di mezzi che superi lo strettamente necessario.., per l'esercizio della professione"), ossia "l'apporto di

prestazione di terzi", essendo risultato "per tali annualità dalla documentazione in atti l'impiego del lavoro di terzi". La Commissione, invece, ha omesso di tenere conto della circostanza pacifica che la contribuente non ha mai assunto personale dipendente e del fatto che le spese annuali per lavoratori esterni, e quindi, non dipendenti, è di € 2.460,00 nel 2004, € zero nel 2005, € 4.130,00 nel 2006, € 2.460,00 nel 2007 e di € 3.300,00 nel 2008, a fronte di ricavi di € 84.900 nel 2004, € 82.338,00 nel 2005, € 95.948,00 nel 2006, € 95.552,00 nel 2007 ed € 96.606,00 nel 2008, dati tutti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi prodotte in atti. Trattasi, come si vede, di elementi decisivi per il giudizio, dovendosi tenere conto della consolidata giurisprudenza di legittimità sul tema. Invero, questa Corte, a sezioni unite, ha affermato che il presupposto dell'"autonoma organizzazione" richiesto dall'art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile dell'organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il "minimo indispensabile" all'esercizio dell'attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l'impiego di un dipendente con mansioni esecutive, sicchè deve essere esclusa l'autonomia organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di un segretario e di beni strumentali minimi (Cass.Civ., Sez. Un., 9451/2016). In particolare, il presupposto impositivo per il professionista o per il lavoratore autonomo sussiste quando il contribuente: a) sia sotto qualsiasi forma responsabile dell'organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b)impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che ecceda la soglia di un collaboratore che esplichi mansioni meramente esecutive. Inoltre, questa Corte, ponendosi sul solco tracciato dalle sezioni unite, ha affermato che non sussiste il presupposto della autonoma organizzazione per il medico convenzionato che si avvale nell'espletamento della propria attività professionale di una dipendente con funzioni di segretaria (Cass.Civ., 19 aprile 2018, n. 9786; analogamente nel caso in cui il professionista si avvalga di un assistente di sedia, ossia di un infermiere generico assunto part time, che si limita a svolgere mansioni di carattere esecutivo; negli stessi termini nel caso in cui il medico utilizzi beni strumentali anche se di valore superiore ai quindicimila euro v. Cass.Civ., 25 luglio 2013, n. 18108). Nella fattispecie in esame, è pacifico tra le parti che la contribuente (medico convenzionato) non ha mai assunto alcun dipendente ed ha effettuato modesti pagamenti per prestazioni professionali di terzi (un sostituto ed un commercialista), sicchè non ricorre il presupposto di imposta, individuato nella autonoma organizzazione.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta "erroneità ed infondatezza della motivazione della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c. n. 3 e 5, per violazione e falsa interpretazione di legge ed in particolare art. 50 d.p.r. 917/1986 e per violazione degli artt. 3 e 53 della Cost. al fine di affermare che il reddito del medico di medicina generale, in quanto presidio del servizio sanitario nazionale, rientra tra quelli descritti nell'art. 50 del d.p.r. 917/1986 e quindi analogo al lavoro subordinato", in quanto la Commissione non ha considerato che il medico di medicina generale è un lavoratore parasubordinato e, quindi, il suo reddito si inquadra ai sensi dell'art. 50 d.p.r. 917/1986 perchè assimilato a quello del lavoratore dipendente. 3.1.Tale motivo è assorbito, in ragione dell'accoglimento del secondo motivo di impugnazione. 4. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., con l'accoglimento del ricorso della contribuente. 5.Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della Agenzia delle entrate, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo. Le spese dei giudizi di merito vanno compensati interamente tra le parti in ragione della peculiarità della fattispecie in esame.

P.Q.M.

In accoglimento del secondo motivo, dichiarato inammissibile il primo ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente. Condanna l'intimata a rimborsare in favore della ricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 2.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre accessori legge e rimborso delle spese generali nella misura forfettaria del 15 °/0. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 30 gennaio 2019

 

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