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Controlli fiscali a caseifici: quando gli accertamenti sono approssimativi o poco chiari

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Controlli fiscali a caseifici: quando gli accertamenti sono approssimativi o poco chiari

 

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I caseifici, quali aziende operanti nell’attività di lavorazione e trasformazione dei derivati del latte, fiore all’occhiello della tradizione gastronomica italiana, sono attività complesse sottoposte non solo a controlli igienico sanitari da parte dei NAS ma non di rado anche a verifiche fiscali.

In particolare, i controlli fiscali indirizzati verso le attività, più o meno a conduzione familiare, di produzione e commercializzazione dei prodotti lattiero caseari mirano in primis all’individuazione di presunti elementi passivi “fittizi” dichiarati, in astratto diretti ad abbattere l’utile di esercizio.

L’obiettivo effettivo di queste operazioni (si ipotizza) sarebbe quello di pagare meno tasse al fisco.

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Eppure, l’attività del casaro è un’attività che affronta numerosi costi reali per potersi sostenere. Basti pensare all’acquisto di ingenti quantitativi di latte ma anche di acqua potabile per la lavorazione dei prodotti oltre alla produzione di notevoli quantitativi di acque reflue da smaltire nel rispetto della legge.

Eppure, oltre agli esosi costi di avviamento e di mantenimento di questa attività molto faticosa, l’Agenzia delle Entrate batte non di rado cassa nei riguardi degli imprenditori del latte.

L’esame parte dall’analisi dettagliata della contabilità dove talora capita di individuare trasferimenti, che si considerano non giustificati, di somme di denaro, dai conti correnti societari verso quelli personali arrivando così a ricostruire maggiori redditi conseguiti e non dichiarati. La denuncia in casi simili è di una dichiarazione fiscale infedele mirata all’abbattimento dei redditi e delle imposte dovute.

Ed ancora, l’occhio del Fisco si posa anche sulla la resa casearia del latte. In questi casi, in particolare, le irregolarità contabili in alcuni casi si desumono e vengono determinate induttivamente attraverso l'applicazione dell'indice medio di resa casearia del latte. Da ciò, l’Agenzia arriverebbe a quantificare la reale produzione di prodotti caseari partendo dal quantitativo di latte acquistato e a determinare così l'esistenza di attività non dichiarate e quindi di maggiori ricavi taciuti.

Quello che però non si dice è che quello che poi emerge in diversi processi è che alcune verifiche vengono fatte in modo non completo e la resa di latticini viene in alcuni casi determinata in maniera equitativa, senza un calcolo preciso ed attendibile.

Il contribuente, produttore di latticini, è talora sottoposto alla mercé di calcoli imprecisi che si basano in alcuni casi anche sulla presunta sovrafatturazione della materia prima, ovvero del latte e di ricavi non contabilizzati.

Ed ancora, la ricostruzione del fatturato delle attività di produzione e commercializzazione di prodotti caseari, si basano in alcuni casi anche sull’applicazione di medie di settore ricavate da dati statistici che però non consentono una corretta ricostruzione dei redditi specifici reali di quel contribuente e, soprattutto, non tengono conto delle singole realtà imprenditoriali che sono molto diverse tra loro. Esiste infatti un grande divario tra le piccole attività locali a preminente conduzione familiare ed invece le aziende di produzione di latticini più strutturate, con maggiori dotazioni strumentali e dipendenti assunti; ma vi sono anche significative differenze anche tra piccolo produttore e piccolo produttore o grossa azienda di produzione ed altra grossa azienda di produzione.

Inoltre, i sospetti potrebbero derivare anche da eventuali acquisti considerati antieconomici, fatti a prezzi considerati fuori mercato,ritenuti, anche in questo caso, un indizio di violazione della legge fiscale, Iva non dovuta o Imu, già Ici, non versata. Non mancano, infine, le contestazione in tema di operazioni ritenute fittizie ovvero di deduzione di fatture ricevute per operazioni di acquisto o fornitura che si contesta non siano avvenute.

Ecco allora che gli errori in cui incorre l’Agenzia delle Entrate negli accertamenti indirizzati verso i produttori di latticini sono diversi e diffusi. Vediamo quindi alcuni casi in cui il piccolo imprenditore, accusato di aver evaso il Fisco, ha avuto ragione in sede di contenzioso.

Comm. Trib. Reg.della Lombardia, sentenza il 14 dicembre 2007

Questa vicenda ha preso avvio da un sospetto di sovrafatturazione per la fornitura di notevoli quantitativi di latte da parte di un caseificio che acquistava latte a prezzi ritenuti fuori dal mercato dalla società agricola del figlio. Per tali motivi l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento ai fini dell’IVA e delle imposte dirette. A parere dei giudici, i parametri di mercato su cui si erano basati gli accertatori desumendo l’antieconomicità del prezzo del latte non avevano un grande valore indiziante, in quanto erano riferiti ad un territorio diverso ed a diverse annualità. Inoltre, anche i dati utilizzati a paragone e presi dalla Camera di commercio non erano confrontabili, in quanto si riferivano a forniture saltuarie e non continuative. Da ultimo, la CTR, dando ragione al contribuente ed annullando l’avviso, non ha ritenuto sufficiente provato lo scostamento rispetto ai prezzi di mercato praticato del latte anche perché i rilievi contenuti nella perizia tecnica di parte non erano stati analiticamente confutato dall’Agenzia delle Entrate.

Corte di Cassazione, sentenza n. 31403 del 5 dicembre 2018.

In questo caso, invece, l'Agenzia delle entrate procedeva al recupero di maggiore Iva nei confronti di un caseificio in quanto, dagli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza sarebbe emerso che la società aveva registrato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

In particolare, si riteneva che il contratto di soccida stipulato tra gli allevatori che avevano superato la quota-latte loro spettante, ed il caseificio che aveva invece ancora quota latte in eccedenza, fosse simulato. Il caso, su cui in verità si era già espressa la Suprema Corte con sentenza passata in giudicato, è stato concluso a favore del contribuente in quanto l’Agenzia non avrebbe dato prova dei vantaggi fiscale ottenuto dal caseificio attraverso un contratto simulato mentre era chiaro che l’operazione, veritiera, era stata attuata per finalità economico/amministrative e quindi per sottrarsi al prelievo comunitario gravante sul produttore in caso di sforamento della sua quota. L’abusività del contratto sotto il profilo fiscale, quindi, non è stata dimostrata dall’Agenzia delle Entrate.

Comm. Trib. Reg. per la Lombardia, sentenza n. 1270 del 7 marzo 2016.

Infine, in questa vicenda due società cooperative agricole ricorrevano nei confronti del Comune avverso il silenzio rifiuto formatosi in ordine alle istanze di rimborso ICI, ora IMU, in quanto esse si occupavano della trasformazione del latte conferito dai soci in prodotti lattiero caseari. Per tali motivi esse avevano natura agricola e data la connessione tecnica e funzionale con i terreni dei soci, i fabbricati di loro proprietà avevano natura strumentale e dovevano considerarsi esenti ICI.

A parere dei giudici le cooperative per la trasformazione dei prodotti conferiti dai soci, pur essendo dotate di autonoma personalità giuridica, rimangono comunque connesse all’attività agricola e pertanto i fabbricati strumentali utilizzati dalle cooperative agricole conferiti dai soci erano esenti ai fini ICI.

 

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