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Operazioni asseritamente elusive: non basta l’invito a presentarsi di persona entro 15 giorni. L’Agenzia delle Entrate doveva riconoscere il termine di 60 giorni per presentare chiarimenti per iscritto. La Cassazione annulla l’avviso di accertamento.

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Estratto: “Questa Corte ha reiteratamente affermato che assume rilievo invalidante dell'accertamento medesimo la mancata osservanza del contraddittorio procedimentale prescritto dai commi 4 e 5 dell'art. 37-bis e, in particolare, la mancata previa richiesta di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta medesima, nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2 dell'art. 37 bis cit. La disciplina espressamente prevista dalla norma prevede una rigorosa scansione dell'attività preparatoria all'eventuale emissione dell'avviso di accertamento - con cui si intende contestare al contribuente la natura elusiva delle operazioni poste in essere-, rigore fondato sulla necessità prioritaria, valutata dal Legislatore con particolare attenzione, della instaurazione del contraddittorio secondo regole predeterminate. A tal fine anzi si è avvertito come la richiesta 'di chiarimenti per iscritto, concorrendo alla valutazione del fine elusivo dell'operazione, non può considerarsi sostituita da forme equipollenti quali l'attività svolta da verbalizzanti o dalle eventuali dichiarazioni del contribuente in sede di verifica (cfr. Cass., sent. n. 693/2015). Peraltro la motivazione dell'avviso deve contenere un esplicito riferimento alle giustificazioni fornite dal contribuente. L'importanza annessa dal rispetto delle regole dettate dall'art. 37 bis, co. 4 e 5 cit., comporta che la loro violazione sia penalizzata con la nullità dell'atto impositivo (cfr. in motivazione Cass., sent. n. 2439/2017; cfr. inoltre 2239/2018; 693/2015 cit.).”

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Corte di Cassazione, Sez. V

Sentenza n. 30770 del 28 novembre 2018

FATTI DI CAUSA

Le società E. s.r.l. e C. s.c hanno proposto ricorso avverso la sentenza n. 205/22/11, depositata il 13.06.2011 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. Hanno rappresentato che nei loro confronti, nella rispettiva qualità di società consolidata (la E.) e consolidante (la C.), era notificato dalla Agenzia delle Entrate avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2004 ai fini IRES, contestando la presunta natura elusiva dell'operazione di acquisto da parte della prima del contratto di leasing riguardante l'azienda condotta dalla società M. s.r.l. Con l'atto impositivo in sintesi l'Ufficio riteneva che la cessione del contratto di leasing relativo ad una azienda operante in XX, alla via XX, ed esercente il commercio al dettaglio con il marchio C., per la pluralità dei cessionari avvicendatisi nel contratto e per il totale controllo della C. sulla M. s.r.l., ultima cedente, e sulla E., ultima cessionaria, avesse natura elusiva, perché esclusivamente finalizzata al conseguimento di vantaggi fiscali mediante la creazione di costi fittizi e di crediti IVA. A tal fine con l'atto impositivo erano recuperati a tassazione costi pari ad € 648.655,00. Le società, che contestavano l'avviso di accertamento, ricorrevano alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che con sentenza n. 43/57/2010 rigettava il ricorso. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la pronuncia ora impugnata, rigettava l'appello. Le contribuenti censurano la sentenza con nove motivi: con il primo motivo per violazione e falsa applicazione dell'art. 37 bis, co. 4 e 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. per non aver riconosciuto la violazione del procedimento d'instaurazione del contraddittorio e per non aver motivato l'atto impositivo, come prescritto dalla norma a pena di nullità;

con il secondo per violazione e falsa applicazione dell'art. 37 bis co. 1 e 2 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c., perché il giudice regionale ha fondato il proprio convincimento senza analizzare le ragioni, diverse da quelle del solo vantaggio fiscale accreditato dalla Agenzia, prospettate dalle contribuenti; con il terzo per omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., per aver trascurato la circostanza che non era stata mai data prova che la società Mi., dichiarata fallita in Italia, risultasse trasferita in Gran Bretagna sotto il profilo fiscale;

con il quarto per contraddittorietà della motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c., per aver affermato che l'accertamento era stato emesso ai sensi dell'art. 37 bis cit., ad un tempo richiamando la disciplina degli artt. 39 e 40 del d.P.R. n. 600 cit.;

con il quinto per violazione e falsa applicazione dell'art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c., per l'erroneità del richiamo tanto alla ipotesi dell'art. 37 bis, quanto di quella regolata dall'art. 39 cit., senza peraltro identificare quale delle ipotesi previste da quest'ultima norma fosse stata applicata;

con il sesto per violazione e falsa applicazione degli artt. 109 TUIR, 115 c.p.c., e 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c., per aver erroneamente riconosciuto la correttezza del recupero a tassazione dell'intero corrispettivo di acquisizione del ramo d'azienda in leasing, anziché, come corretto, la sola quota di competenza dell'anno 2004 - secondo i principi di imputazione contabile - e corrispondente al solo costo imputato dalla società alla suddetta annualità (C 10.359,12);

con il settimo per violazione e falsa applicazione dell'art. 109 del TUIR, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c., per l'erroneo riconoscimento del recupero a tassazione del canone di leasing relativo alla mensilità del dicembre 2004, corrisposto alla società S., del tutto estranea alla vicenda addebitata alle contribuenti, e dunque corrispondente in ogni caso ad un costo effettivamente sostenuto;

con l'ottavo per omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c., in riferimento alla decisione assunta sulla mensilità del canone di leasing versata alla S.;

con il nono per omessa motivazione circa fatti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c., su una pluralità di eccezioni rilevanti per la ricostruzione dei fatti e il giudizio sulla natura della operazione messa in atto.

Chiedeva pertanto la cassazione della sentenza, con o senza rinvio. Si è costituita l'Agenzia, contestando le ragioni del ricorso, del quale ha chiesto il rigetto. Alla pubblica udienza del 30 ottobre 2018, dopo la discussione, il P.G e le parti hanno concluso e la causa è stata trattenuta in decisione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Esaminando il primo motivo del ricorso, con esso, denunciando vizi del procedimento conclusosi con l'emissione dell'avviso di accertamento, le contribuenti si dolgono della erroneità della sentenza per aver escluso la nullità dell'avviso di accertamento, emesso senza il rispetto del procedimento regolato dai comma 4 e 5 dell'art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973. In particolare le società evidenziano che l'Agenzia instaurò un contraddittorio irrituale, invitando la E. a "presentarsi" presso l'Ufficio, assegnando a tal fine 15 giorni a partire dalla data di ricevimento della comunicazione ed invitando ad «esibire documentazione idonea a giustificare le ragioni economiche ai sensi dell'art. 37 bis del DPR 600/1973», senza peraltro indicare i motivi per cui potevano rendersi applicabili i commi 1 e 2 della medesima norma; infine ammonendo che l'omessa comunicazione di notizie o esibizione e consegna di atti, documenti, libri e registri avrebbe pregiudicato il loro utilizzo a favore del contribuente in sede d'accertamento o di contenzioso. Le società sostengono che questa forma di instaurazione del contraddittorio, quanto a contenuti, termini assegnati e modalità di invito, erano del tutto irregolari e non rispettose delle rigorose prescrizioni contenute nell'art. 37 bis co. 4 cit., la cui violazione era sanzionata a pena di nullità.

Sul punto la sentenza, rigettando l'eccepita nullità, afferma che <>. Ebbene, l'art. 37 bis, comma 4, così recita «L'avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro sessanta giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2». Il comma 5 inoltre prescrive che «...l'avviso di accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.....

Questa Corte ha reiteratamente affermato che assume rilievo invalidante dell'accertamento medesimo la mancata osservanza del contraddittorio procedimentale prescritto dai commi 4 e 5 dell'art. 37-bis e, in particolare, la mancata previa richiesta di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta medesima, nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2 dell'art. 37 bis cit. La disciplina espressamente prevista dalla norma prevede una rigorosa scansione dell'attività preparatoria all'eventuale emissione dell'avviso di accertamento -con cui si intende contestare al contribuente la natura elusiva delle operazioni poste in essere-, rigore fondato sulla necessità prioritaria, valutata dal Legislatore con particolare attenzione, della instaurazione del contraddittorio secondo regole predeterminate. A tal fine anzi si è avvertito come la richiesta 'di chiarimenti per iscritto, concorrendo alla valutazione del fine elusivo dell'operazione, non può considerarsi sostituita da forme equipollenti quali l'attività svolta da verbalizzanti o dalle eventuali dichiarazioni del contribuente in sede di verifica (cfr. Cass., sent. n. 693/2015). Peraltro la motivazione dell'avviso deve contenere un esplicito riferimento alle giustificazioni fornite dal contribuente. L'importanza annessa dal rispetto delle regole dettate dall'art. 37 bis, co. 4 e 5 cit., comporta che la loro violazione sia penalizzata con la nullità dell'atto impositivo (cfr. in motivazione Cass., sent. n. 2439/2017; cfr. inoltre 2239/2018; 693/2015 cit.).

D'altronde, in ordine al rigoroso rispetto delle regole -sebbene sotto il più specifico profilo della mancata osservanza del termine per l'emissione dell'avviso di accertamento- è intervenuta la Corte Costituzionale, ribadendo la coerenza della disciplina ai parametri costituzionali (C. Cost., sent. n. 132 del 2015). Ciò chiarito, nel caso di specie l'Amministrazione ha inteso instaurare il contraddittorio invitando la contribuente a presentarsi presso l'ufficio, anzichè chiedere chiarimenti da inviare per iscritto; ha concesso termine di 15 giorni per la presentazione, anzichè accordare i prescritti 60 gg.; con l'invito ha fatto mero rinvio all'art. 37 bis, invece di indicare i motivi per cui si ritenevano applicabili i commi 1 e 2 dell'art. 37 bis. Emerge con evidenza che le modalità, i termini e i contenuti dell'instaurando contraddittorio sono stati del tutto divergenti da quanto prescritto dalla disciplina. La scansione rigorosa dei tempi e dei contenuti è stata dunque del tutto violata e a fronte di ciò le ragioni offerte dalla Agenzia per spiegare le modalità applicate e il rispetto comunque sostanziale delle garanzie del contraddittorio previste dalla norma sono del tutto inadeguate, infrangendosi nella obiettiva constatazione del mancato rispetto delle regole prescritte.

Anche l'obbligo di motivare l'atto impositivo tenendo conto delle ragioni illustrate dal contribuente risulta violato, atteso che dagli atti e dalla stessa sentenza del giudice regionale emerge come l'avviso di accertamento abbia evidenziato tutti gli elementi da cui l'Amministrazione ha inteso trarre la natura elusiva delle operazioni contestate, ma in esso non si fa alcun cenno alle ragioni addotte dalle società per giustificare le operazioni medesime (in sintesi l'intenzione di mantenere in attività il punto vendita commerciale di prodotti con marchio C.). Sul punto questa Corte ha ribadito più volte che l'atto deve essere specificamente motivato in relazione alle giustificazioni fornite a seguito della richiesta di chiarimenti (693/2015 cit.; 2239/2018 cit.). In conclusione il motivo è fondato e trova accoglimento. L'accoglimento del primo motivo, con il quale, emergendo l'irritualità della costituzione del contraddittorio e la violazione delle regole imposte dall'art. 37 bis, co. 4 e 5 del d.P.R. n. 600 del 1973 a pena di nullità dell'avviso di accertamento, assorbe tutti gli altri motivi. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza va cassata.

Tenuto conto delle ragioni per le quali il ricorso delle contribuenti è stato accolto, non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 co. 2 c.p.c. Ebbene, riconoscendosi la nullità dell'avviso di accertamento, deve trovare accoglimento il ricorso introduttivo del contribuente. All'esito del giudizio segue la regolamentazione delle spese processuali per tutti i gradi di giudizio, ritenendosi corretta la compensazione delle spese dei gradi di merito e la condanna della Agenzia alle spese del giudizio di legittimità, nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa le spese processuali dei gradi di merito e condanna l'Agenzia alla rifusione in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in C 4.000,00 oltre spese generali nella misura forfettaria del 15% e accessori di legge se dovuti.

Così deciso in Roma, il giorno 30 ottobre 2018 Il Consigliere est.

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