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A seguito dell’intervento della Corte di Giustizia (causa Equoland), nel caso in cui la merce non sia entrata materialmente nel deposito ma il contribuente abbia operato autofattura, l’Ufficio non può contestare omesso versamento IVA all'importazione

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Estratto: “La Corte di giustizia, nella causa Equoland dinanzi richiamata, ha osservato che la violazione dell'obbligo formale d'introduzione fisica delle merci nel deposito «non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell'Iva all'importazione poiché questa è stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile applicato dal soggetto passivo» (punto 37), stabilendo che «la sesta direttiva dev'essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell'imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto all'importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile, mediante un'autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Ordinanza n. 12481 del 10 maggio 2019

FATTI DI CAUSA

1. Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che la Agenzia delle Dogane di Napoli emetteva nei confronti della M. S.p.A. (di seguito, la M.) inviti al pagamento dell'IVA all'importazione per € 360.635,86, interessi e spese, per merce mai introdotta materialmente nel corso degli anni 2005 - 2006 nel deposito autorizzato S. S.p.A.

2. La M. impugnava l'atto innanzi alla CTP di Napoli, che accoglieva parzialmente il ricorso riconoscendo la intervenuta prescrizione triennale per le operazioni compiute a tutto il 30 ottobre 2005.

3. La sentenza era impugnata dall'Agenzia delle dogane e, in via incidentale, dalla M. innanzi alla CTR della Campania. Quest'ultima, con sentenza n. 5014/28/14, depositata il 20/5/2014, accoglieva l'appello dell'Agenzia delle dogane e rigettava l'appello incidentale.

4. La CTR sulle questioni poste con i gravami: a) riteneva erronea l'applicazione del termine di prescrizione triennale posto dall'articolo 84 del T.U.L.D., in luogo di quello più lungo di prescrizione del reato per fatto illecito; era irrilevante, in proposito, la data di inoltro della notitia criminis; nei fatti erano ravvisabili gli estremi del reato di contrabbando in relazione al mancato pagamento dell'Iva di confine; b) dalle informazioni assunte dal autotrasportatore era emerso che le merci, per le specifiche operazioni contestate, non erano passate dal deposito, ma consegnate direttamente all'importatore; vi erano quindi adeguati elementi di prova per desumere la mancanza della introduzione fisica della merce in deposito; c) l'avvenuto adempimento con autofattura degli obblighi Iva da parte della M. con il sistema del reverse charge non poteva far ritenere definitivamente assolta l'imposta e non sanava il suo mancato tempestivo assolvimento in presenza dell'insorgere del suo presupposto; la duplicazione d'imposta conseguiva, anzi, al sistema del reverse charge.

5. La M. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi. L'Agenzia delle dogane non ha svolto attività difensiva, costituendosi "solo al fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 370, comma 1, c.p.c.".

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un primo motivo la M. deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 84 T.U.L.D., per non avere la CTR ritenuto applicabile la prescrizione triennale posta dalla norma, decorrente dalla data di ogni singola bolletta doganale. La decisione si porrebbe in contrasto con l'insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, che legittima l'azione di recupero dei dazi all'importazione dopo la scadenza del termine triennale di contabilizzazione, a condizione che la notizia di reato sia stata trasmessa nel triennio: considerando che nella specie la segnalazione di reato era stata effettuata il 30 ottobre 2008, il giudice avrebbe pertanto dovuto rilevare che a quella data era ormai decorso definitivamente il termine di prescrizione "per tutte le operazioni doganali intercorse sino al 30 ottobre 2005 e in particolare per quelle singolarmente compiute dal 23 giugno 2005 al 17 ottobre 2005... cosicchè in nessun caso risulta dovuta IVA sulle relative operazioni per complessive € 140.429,69".

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e la violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. 360, 1 0 comma, n. 3 e 5 c.p.c., per avere la C.T.R. omesso di motivare in merito agli esiti, ad essa favorevoli, sia dei processi penali instaurati a carico del suo legale rappresentante e del legale rappresentante della depositaria S. s.p.a. per i medesimi fatti, sia della sentenza emessa da altra sezione della CTR, che aveva accolto il suo ricorso contro gli avvisi di accertamento notificatile dall'Agenzia delle Entrate, sulla scorta del medesimo p.v.c., per il recupero delle imposte dirette.

3. Con il terzo motivo la società contesta la violazione degli art. 50 bis d.l. n. 331/1993, 70 co. 1 d.P.R. 633/1972, ai sensi dell'articolo 360, 1 0comma, n. 3 c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto che, ai fini della realizzazione dell'istituto del deposito Iva, vi fosse la necessità di una materiale introduzione delle merci nel deposito, non applicando alla fattispecie la lett. h) del comma 4 dell'art. 50 bis d.l.n.331/1993, come novellata con norme di interpretazione autentica nel 2011 e nel 2012. Lamenta, inoltre, che il giudice d'appello abbia respinto il motivo d'appello incidentale con il quale era stata dedotta l'illegittima duplicazione dell'imposta, come affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza C-272/13, Equoland, in quanto l'Iva sulle merci importate era stata assolta mediante autofattura, con il meccanismo dell'inversione contabile.

4. Prioritaria appare la trattazione del terzo motivo di ricorso, attinente alla pretesa violazione di legge, in relazione all'art. 50 bis, comma 6, del d.l. n. 331/1993, poiché, "in applicazione del principio processuale della "ragione più liquida" - desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. - deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell'evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare ai sensi dell'art. 276 c.p.c. (Sez. 5 - , Sentenza n. 11458 del 11/05/2018, Rv. 648510 - 01).

Il motivo è fondato. La Corte di giustizia, nella causa Equoland dinanzi richiamata, ha osservato che la violazione dell'obbligo formale d'introduzione fisica delle merci nel deposito «non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell'Iva all'importazione poiché questa è stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile applicato dal soggetto passivo» (punto 37), stabilendo che «la sesta direttiva dev'essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell'imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto all'importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile, mediante un'autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo» (punto 49 e dispositivo). Ha, dunque, inequivocabilmente postulato che l'Iva all'importazione e l'Iva intracomunitaria sono la stessa imposta, pur se assoggettate a termini ed a modalità diverse di riscossione. Su queste premesse, è riscontrabile la dedotta violazione di legge: la CTR ha ritenuto "pacifico e non contestato dall'Agenzia delle dogane che in effetti la parte contribuente ha poi proceduto con il sistema del reverse charge", con la conseguenza che, essendo stati gli obblighi contabili a carico della M. regolarmente assolti, non sussiste nessuna violazione doganale. Gli ulteriori motivi sono assorbiti. All'accoglimento del motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 comma 2 c.p.c., con l'accoglimento della domanda introduttiva di M. s.r.l. e il conseguente annullamento degli avvisi dalla stessa impugnati.

Le spese del doppio grado di merito vanno compensate, tenuto conto che la giurisprudenza di questa Corte in materia si è solo recentemente consolidata. Le spese del giudizio di legittimità seguono invece la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l'originario ricorso della contribuente ed annulla gli atti dalla stessa impugnati. Dichiara compensate fra le parti le spese del doppio grado di merito e condanna l'Agenzia delle Dogane al pagamento di quelle del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 10.000 per compensi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

 

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