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Se i ricavi del bar sono in linea con gli studi di settore all’Agenzia delle Entrate è precluso l’accertamento

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La Commissione Tributaria Regionale di Milano, con la sentenza n. 477/2017, ha annullato un avviso di accertamento emesso nei confronti di un contribuente che svolgeva sia l’attività di elettricista che di gestione di un bar.

Sulla base di un accertamento induttivo, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato che i ricavi dichiarati non fossero in linea con gli studi di settore.

Il contribuente lamentava l’illegittimità dell’accertamento poiché egli si era adeguato allo studio di settore, per tale motivo, all’Ufficio era preclusa la possibilità di eseguire un accertamento presuntivo, così come previsto dall’art. 10, comma 4bis, L. n. 146/1998.

I Giudici hanno condiviso le doglianze proposte nell’appello annullando totalmente l’avviso di accertamento notificato, ed il contribuente non sarà più tenuto al pagamento.

Massima: “È illegittimo l’avviso di accertamento quando il contribuente provi di essersi adeguato allo studio di settore e l’Agenzia non abbia contestato l’incoerenza. In tale situazione l’art. 10, comma 4bis, della l. 146/1998 preclude la possibilità di accertamento presuntivo atteso che i redditi dichiarati allineati agli studi di settore si presumono congrui per effetto di legge. Il valore di legge del citato art. 10 rende privo di efficacia il su indicato decreto ministeriale. Nel caso di lite, il contribuente svolgeva attività promiscua (gestione di bar e attività di elettricista) sicché l’ente accertatore si era uniformato alle previsioni del d.m. 11/02/2008 e alle istruzioni della circolare n. 31 del 2008 in considerazione della duplice attività svolta dal contribuente. Tuttavia la Commissione ha ritenuto inapplicabile il citato decreto ministeriale rispetto alla previsione della legge contenuta nel richiamato art. 10, poiché nello stabilire criteri nuovi con la pretesa di generale applicabilità nei casi come quello in esame, ha da una parte innovato rispetto alla disciplina legislativa introducendo casistiche non previste dalla legge con l'introduzione di scaglioni di reddito in percentuale (nella specie del 30% dell'ammontare totale dei ricavi dichiarati) al di sopra dei quali non opererebbe lo studio di settore, con ulteriore introduzione della regola (art. 2 del citato decreto) non applicabile ai soggetti che svolgano due o più attività”.

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Prima di esaminare nel dettaglio la pronuncia, semplifichiamo alcuni concetti di base e rispondiamo alle domande più comuni in tema di accertamento.

Cosa sono gli studi di settore?

Sono uno strumento utilizzato dal Fisco per stimare i ricavi o i compensi che possono essere attribuiti al contribuente. Negli studi di settore sono raccolti una serie di dati inerenti ad esempio la tipologia di attività svolta da un’impresa, luogo in cui opera un’azienda, ecc.

Qualora il contribuente lo ritenga opportuno, quali sono i vantaggi dell’adeguamento allo studio di settore?

L’adeguamento agli studi di settore per un determinato anno d’imposta consente al contribuente di godere di un regime premiale che prevede, in via generale (e salvo casi eccezionali), un tendenziale divieto per l’Ufficio di procedere, per quell’anno, ad un accertamento induttivo.

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Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, Sezione 6

Sentenza del 10/02/2017, n. 477

Svolgimento del processo

X ha proposto appello avverso la sentenza n. 4595/42/16 della CTP Milano che aveva rigettato il suo ricorso contro un avviso di accertamento indicato in epigrafe per IRPEF, IRAP e IVA per l'anno 2010 e per complessivi euro 32,043,00.

L'appellante censurava la sentenza per i seguenti motivi

1) Nullità della sentenza per violazione dell'art. 10, comma 4, L. 146/98 in correlazione a quanto prevista dalla circolare 8/C/2012 . In base a tale normativa l'ufficio non avrebbe potuto procedere all'accertamento in quanto il X per il 2010 e per l'anno precedente si era adeguato agli studi di settore con la conseguenza che doveva ritenersi precluso l'accertamento sulla base di presunzioni semplici ex art. 39, comma 1, lett. d d.p.r. 600/73 in quanto esisteva congruità a seguito dell'adeguamento

2) Nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla eccezione di insussistenza dei presupposti legittimanti la ricostruzione induttiva dei ricavi. A parere dell'appellante difettava il presupposto di cui all'art. 62 sexies DL 331/93 delle " gravi incongruenze "tra i ricavi dichiarati e quelli accertati che, nella specie, si attestavano al 13,60 % (dichiarati euro 301.857,65 - accertati euro 342.672,59).

3) Nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla metodologia usata dall'ufficio in sede di accertamento dato atto che lo stesso ufficio aveva riconosciuto la attendibilità delle scritture contabili. In particolare contestava ad esempio la correttezza delle percentuali di ricarico anche per l'utilizzo di dati estrapolati dal listino RADAR, del tutto inaffidabile, e il calcolo delle ore e dei giorni lavorati.

4) Nullità della sentenza per non avere accolto le eccezioni in ordine alla carenza di una comprensibile motivazione e al mancato espletamento del contraddittorio con lesione del diritto di difesa del contribuente con violazione dell'art, 12 dello Statuto del contribuente.

In esito alle suddette censure chiedeva l'accoglimento dell'appello con riforma della sentenza di primo grado con declaratoria di nullità o infondatezza dell'avviso di accertamento e con rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi.

L'Agenzia delle Entrate si costituiva precisando che il contribuente svolgeva attività promiscua (gestione di bar e attività di elettricista) e che, prima della emissione dell'avviso, l'ufficio aveva invitato il contribuente a produrre documenti, cosa di fatto verificatasi, e lo aveva sentito più volte a chiarimento di tal che nessuna violazione del contraddittorio si era verificata in concreto. Quanto ai presupposti per procedere all'accertamento deduceva di essersi uniformata a quanto previsto dal DM 11/2/2008 e dalla circolare n. 31 del 2008.in considerazione della duplice attività svolta dal contribuente. In ogni caso l'ufficio rilevava che nessun adeguamento agli studi di settore era stato effettuato dal contribuente per IVA e IRAP. Ribadiva la legittimità dell'accertamento induttivo e dei dati rilevati e riportati correttamente nell'avviso di accertamento che facevano presumente ricavi non contabilizzati. Riepilogava i conteggi che avevano indotto l'ufficio alla ripresa anche sulla base di dichiarazioni rese dallo stesso contribuente nella fase istruttoria. L'ufficio chiedeva il rigetto dell'appello col favore delle spese di lite. L'appellante depositava memoria nella quale eccepiva la tardiva costituzione dell'ufficio con conseguenza decadenza dello stesso dal proporre eccezioni nuove quale quella fondata sul DM più sopra citato che, in ogni caso, riteneva inapplicabile in quanto non idoneo a modificare una norma di legge (il più sopra citato art. 10). Nel merito ribadiva le censure già esposte nell'atto di appello contestando che l'adeguamento agli studi di settore non fosse stato effettuato anche per IVA e IRES come erroneamente sostenuto dall'ufficio.

Alla udienza del 24,11.2016 la Commissione decideva come da dispositivo riprodotto in calce.

Motivi della decisione

La Commissione rileva che le censure proposte dall'appellante debbano essere valutate con un criterio logico giuridico di priorità. Un tale ordine di trattazione impone di prendere in considerazione preliminarmente le eccezioni sollevate dai contribuenti in ordine alla eventuale carenza dei presupposti in fatto e diritto dell'accertamento culminati nell'avviso oggetto di impugnazione posto che, in caso di riconosciuta fondatezza di tali eccezioni, risulterebbe superflua la disamina delle altre censure sulla motivazione dei provvedimenti, sul contraddittorio e sul merito della ripresa nel suo complesso.

La difesa del contribuente ha dedotto la carenza di tali presupposti in base a due argomentazioni: la prima fa riferimento all'effetto preclusivo risultante dall'adeguamento agli studi di settore della dichiarazione nell'anno di riferimento sia per IRPEF che per IVA e IRES. La seconda argomentazione fa riferimento alla mancanza, nel caso in esame, di "gravi incongruenze" legittimanti l'avviso di accertamento.

Osserva la Commissione che quanto affermato dall'Agenzia con riferimento al parziale adeguamento agli studi di settore solo per IRPEF risulta smentito dalla produzione da parte del contribuente delle dichiarazioni dei redditi per l'anno 2010 e per l'anno precedente. Inoltre l'Agenzia non ha contestato che tale adeguamento, negli importi dichiarati, non fosse coerente con quanto previsto dagli studi di settore per entrambe le attività svolte dal X.

In tale situazione l’art. 10, comma 4 bis, L. 146/98 preclude la possibilità di accertamento presuntivo atteso che i redditi dichiarati allineati agli studi di settore si presumono congrui per effetto di legge.

La indicazione fornita a chiarimenti da parte dell'ufficio nelle sue controdeduzioni di avere applicato il DM 11.2.2008 non pu6 ritenersi (come dedotto in memoria dall'appellante) processualmente inibita in relazione alla tardiva costituzione dell'appellato ufficio posto che trattasi di illustrazione relativa ai presidi normativi che, a suo avviso, sorreggevano l'atto impugnato.

Tuttavia su tale punto la Commissione ritiene di dovere aderire alle considerazioni svolte dal contribuente nella memoria con riferimento al palese contrasto esistente tra una norma avente valore di legge (il citato art 10) e un provvedimento amministrativo privo di tale efficacia (il DM).

Non appare dubbio che il DM , nello stabilire criteri nuovi con la pretesa di generale applicabilità nei casi come quello qui in esame, abbia da una parte innovato rispetto alla disciplina legislativa introducendo casistiche non previste dalla legge con le introduzioni di scaglioni di reddito in percentuale (nella specie del 30% dell'ammontare totale dei ricavi dichiarati) al di sopra dei quali non opererebbe lo studio di settore, con ulteriore introduzione della regola (art.2 del citato decreto) per cui non sarebbe applicabile ai soggetti che svolgano due o più attività l'art. 10. Comma 4 bis L.146/98.

È evidente che il testo dei DM costituisce impropriamente un regime in parte derogatorio rispetto a quanto previsto dall'art. 10 l. cit. e in parte innovativo creando ex novo una disciplina con la pretesa di generale applicabilità a tutti i contribuenti ivi indicati ed altrettanto evidente che, in ragione dei vigenti principi costituzionali in tema di separazione dei poteri e funzione legislativa, tale DM debba in questa sede essere disapplicato.

Da tale conclusione discende la fondatezza della censura del contribuente sulla carenza del presupposto per l'accertamento in virtù dell'adeguamento agli studi di settore.

Per completezza argomentativa lo stesso risultato si ottiene in virtù della carenza, nel caso in esame, del requisito richiesto dall'art. 62 sexies DL 331/93 della grave inadeguatezza tra redditi dichiarati ed accertati essendo limitato tale scostamento ad una percentuale di poco superiore al 13% tenuto conto dei volume complessivo dei redditi dichiarati dal contribuente Peraltro risulta dagli atti che l'ufficio non ha tenuto conto di talune giustificazioni dedotte dal contribuente in occasione delle interlocuzioni con l'ufficio nella fase istruttoria senza motivarne in modo chiaro e convincente il rigetto come nel caso della entità dell'apporto del collaboratore, delle ore e dei giorni lavorati, del ricarico operato in talune fatture (in materia v. sent. Cass. N. 22946/2015).

In tale contesto sussiste ulteriore motivo di illegittimità dell'accertamento per carenza dei suoi presupposti.

Le superiori considerazioni esimono il Collegio dal motivare sulle altre eccezioni sollevate da! contribuente che devono ritenersi assorbite.

All'accoglimento dell'appello consegue la riforma della sentenza appellata e la condanna dell'ufficio a rifondere all'appellante le spese di lite del doppio grado di giudizio che si determinano complessivamente in euro 2.500,00 per ciascun grado

P.Q.M.

La commissione accoglie l'appello del contribuente riformando la sentenza appellata e dichiarando illegittimo l'avviso impugnato. Condanna l'ufficio a rifondere all'appellante le spese legali del doppio grado liquidate in euro 2.500,00 per ciascun grado.

Milano 24.11.2016

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