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Agenzia considera le somme donate ai figli come di un solo genitore così da abbassare la franchigia e chiedere più imposte. I giudici le danno torto. Il conto era cointestato e non vi erano prove che i soldi erano di uno solo dei genitori.

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Estratto: “l'affermazione della commissione tributaria regionale in esame non viola detti criteri applicativi non essendovi alcuna regola di esperienza che consenta di correlare la differenza reddituale dei due correntisti in un determinato periodo di tempo e la riferibilità delle somme annotate sul conto al termine di quel periodo ad uno solo di essi. Basta considerare, in proposito, che le fonti della provvista possono non essere state costituite affatto dai redditi dei correntisti o essere state costituite dai redditi ma anche da sostanze di altra natura. La presunzione, fondata sul fatto stesso della cointestazione del conto -ed alla quale si correla il disposto dell'art. 1298 c.c. (richiamato dalla commissione regionale)- secondo cui le somme annotate su conto cointestato devono essere ritenute comuni ai due correntisti in parti uguali fino a prova del contrario non è stata superata”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 15454 del 7 giugno 2019

FATTI DELLA CAUSA

1. In controversia concernente l'applicazione della franchigia prevista dall'art.2, comma 48, d.I.262/2006, convertito dalla I. 286/2006, al caso di donazioni di denaro effettuate per atti del notaio RB, da parte di CS e di CG in favore dei due figli, con l'impiego di somme tratte da un conto corrente cointestato ai donanti A. e D. S., la commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna, con sentenza del 21 settembre 2017, n.2560 annullava l'avviso di liquidazione di maggiori imposte, emesso dall'Agenzia delle Entrate riducendo a metà le franchigie fruite dai contribuenti sul presupposto che le somme donate fossero riferibili ad un solo donante (CS).

2. La commissione, premesso che le somme annotate sul conto cointestato ed utilizzate per le liberalità dovevano, per presunzione cui era correlato il disposto dell'art. 1298 c.c., essere ritenute comuni ai due correntisti in parti uguali fino a prova del contrario, affermava, da un lato, che l'Agenzia delle Entrate non aveva dimostrato l'esclusiva riferibilità delle somme de quibus a CS -tale riferibiltà non potendo essere desunta dal solo fatto che il S. avesse avuto, in epoca prossima alle donazioni, un reddito di gran lunga superiore alla moglie-, dall'altro lato, che vi erano dati contabili relativi a movimentazioni del conto nella stessa epoca, idonei a confermare la presunzione di riferibilità delle somme ad entrambi i cointestatari del conto (bonifici a favore di entrambi da parte della società C., di cui gli stessi erano soci, in restituzione di prestiti infruttiferi; bonifici a favore di entrambi in pagamento del prezzo delle quote della medesima società).

3. L'Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della suddetta sentenza sulla base di due motivi con i quali lamenta, rispettivamente, in base all'art. 360, n. 3, c.p.c., falsa applicazione degli artt.2727,2729, 2697 c.c. e, in base all'art. 360, n. 4, c.p.c., falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per aver la commissione negato che la segnalata, forte, differenza reddituale tra i due cointestatari del conto bastasse a far presumere la riferibilità esclusiva a CS della somma utilizzata per le donazioni e per avere la commissione dato rilievo all'accreditamento di somme in favore della G. asseritamente a titolo di prezzo di vendita di quote della società C. nonostante non risultasse che la G. fosse mai stata socia della suddetta società. 4. I contribuenti resistono con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In riferimento ai due motivi di ricorso vale la considerazione per cui la sentenza impugnata si impernia sul ritenuto mancato raggiungimento della dimostrazione presuntiva, da parte dell'Agenzia delle Entrate, dell'assunto posto a base della pretesa tributaria (assunto secondo cui il denaro depositato in conto corrente era non di entrambi gli intestatari del conto, come da ritenersi che fosse in ragione della cointestazione, bensì di uno solo di essi, CS); nel ragionamento dei giudici di appello, l'affermazione ulteriore, per la quale vi erano prove documentali idonee a confermare la presunzione di riferibilità del denaro ad entrambi gli intestatari, è ultronea.

2. Dalla superiore considerazione deriva che la doglianza da prendersi in considerazione è quella relativa alla violazione dei criteri giuridici in tema di formazione della prova critica -criteri di gravità, precisione e concordanza di cui all'art.2729 c.c.-,violazione che la commissione avrebbe commesso negando valore indiziario alla differenza reddituale tra gli intestatari del conto (in ordine ai limiti del sindacato della Corte di cassazione sull'impiego dell'art. 2729 c.c., v. Cass. 29635/2018; Cass.19485/2017). Premesso che, come precisato da questa Corte con la sentenza n.2482/2019, "la «precisione>> va riferita al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell'inferenza e postula che esso non sia vago, ma ben determinato nella sua realtà storica; la «gravità> > va ricollegata al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d'esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto; la «concordanza>> richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza", l'affermazione della commissione tributaria regionale in esame non viola detti criteri applicativi non essendovi alcuna regola di esperienza che consenta di correlare la differenza reddituale dei due correntisti in un determinato periodo di tempo e la riferibilità delle somme annotate sul conto al termine di quel periodo ad uno solo di essi. Basta considerare, in proposito, che le fonti della provvista possono non essere state costituite affatto dai redditi dei correntisti o essere state costituite dai redditi ma anche da sostanze di altra natura. La presunzione, fondata sul fatto stesso della cointestazione del conto -ed alla quale si correla il disposto dell'art. 1298 c.c. (richiamato dalla commissione regionale)- secondo cui le somme annotate su conto cointestato devono essere ritenute comuni ai due correntisti in parti uguali fino a prova del contrario non è stata superata. La sentenza si sottrae quindi alla censura. 3. Il ricorso è infondato e va rigettato. 4. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la Agenzia delle Entrate e rifondere a RB, CS, CG, AS e DS le spese del giudizio di legittimità liquidate in C 6000,00, oltre spese forfetarie e accessori di legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell'8 maggio 2019.

 

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