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Nel caso di specie l’Agenzia avrebbe dovuto valutare il valore delle rimanenze finali. Accolto il ricorso del contribuente.

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Estratto: “L'assenza di una sufficiente motivazione in ordine alla irrilevanza del dato fattuale dedotto dalla contribuente relativo al minor valore dei beni acquistati, così come risultante dalla relativa fattura e accertato dall'Ufficio, e, conseguentemente, al valore delle rimanenze finali, costituisce una lacuna tale da inficiare la coerenza dell'argomentazione sotto il profilo logico-giuridico, in quanto relativa a circostanze astrattamente idonee a condurre ad una diversa valutazione in ordine alla legittimità dell'atto impugnato”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 15319 del 6 giugno 2019

FATTI DI CAUSA 

1. P. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, depositata il 19 marzo 2010, di reiezione dell'appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso per l'annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all'anno 2002, erano stati rideterminati il reddito di impresa, il valore della produzione ai fini dell'i.r.a.p. e la maggiore i.v.a. dovuta e recuperate a tassazione le imposte non versate.

2. Dall'esame della sentenza impugnata si evince che la ripresa fiscale muoveva dalla contestazione della indebita deduzione di componenti negativi e detrazione dell'i.v.a., in relazione alla non corretta annotazione in fattura dei dati contabili relativi ad un'operazione di acquisto.

2.1. Il giudice di appello, concordando con la valutazione della Commissione provinciale, ha respinto il gravame, evidenziando che la contribuente avrebbe dovuto porre rimedio all'errore di annotazione, dalla stessa invocato a giustificazione del proprio operato, entro la fine dell'anno finanziario di competenza. 3. Il ricorso è affidato a tre motivi. 4. L'Agenzia delle Entrate non si costituisce tempestivamente, limitandosi a depositare atto con cui chiede di poter partecipare all'eventuale udienza di discussione.

RAGIONI DELLA DECISIONE 

1. Occorre prioritariamente esaminare, per motivi di ordine logico, il terzo motivo di ricorso con cui la contribuente denuncia l'illegittimità della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per omessa pronuncia in violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato. Sostiene che il giudice regionale avrebbe omesso di pronunciarsi su specifici motivi di appello vertenti sulla insussistenza del diritto dell'Amministrazione fiscale al recupero dell'i.v.a. che si assume essere stata indebitamente detratta, nonché sulla carenza di motivazione dell'atto impositivo. 1.1. Il motivo è infondato. La sentenza di appello, pur non affrontando in modo espresso le riferite doglianze dell'appellante, articolate in motivi di appello di gravame, ha concluso affermando che «ogni altro motivo di appello, così come pure, ogni avversa deduzione, vengono assorbiti nei motivi decisionali che precedono». Così facendo, la Corte territoriale ha ritenuto implicitamente assorbiti tali motivi di impugnazione. Infatti, la figura dell'assorbimento ricorre non solo quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno (cd. assorbimento proprio), ma anche quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande (cd. assorbimento improprio) (cfr. Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17219; Cass. 16 maggio 2012, n. 7663). Da ciò consegue che l'assorbimento, anche se improprio, non comporta un'omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell'assorbimento (così, Cass. n. 28663 del 2013). Pertanto, la mancata espressa pronuncia sulla domanda ritenuta assorbita - nel caso in esame, implicitamente rigettata - può essere censurata solo contestando la correttezza della valutazione di assorbimento effettuata dal giudice di appello, avendo questa costituito la motivazione della decisione assunta, e, dunque, con il rimedio di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.

2. Con il primo motivo di ricorso proposto la ricorrente denuncia l'insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo, costituito dal mancato rilevamento delle rimanenze finali effettive e della conseguente mancata «variazione in diminuzione» delle rimanenze finali da parte dell'Ufficio per un importo pari a quello del costo dei beni merce ritenuto indeducibile. Evidenzia che se tale costo era, in parte qua, indeducibile, anche le rimanenze finali andavano rideterminate in difetto, in ragione del minor valore dei beni acquistati.

3. Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 83 e 92, primo comma, Testo Unico 22 dicembre 1986, n. 917, per aver il giudice di appello escluso che al disconoscimento dell'esistenza di un costo relativo all'acquisto di beni merce consegua una corrispondente variazione in diminuzione del valore delle rimanenze finali. 3.1. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono fondati. La contribuente offre dimostrazione, mediante la riproduzione del relativo passaggio, che sin dal ricorso introduttivo ha allegato l'illegittimità dell'atto impositivo nella parte in cui, a seguito della rilevazione da parte dell'Ufficio dell'errore nell'annotazione dei dati di un'operazione di acquisto, in relazione all'indicazione di un imponibile di euro 50.075,00 e un i.v.a. assolta di euro 10.015,00, in quanto non coerenti con le risultanze della relativa fattura, recante un imponibile di euro 500,75 ed un i.v.a. assolta di euro 100,15, e della conseguente contestazione della contabilizzazione di un costo maggiore rispetto a quello effettivo, non ha provveduto alla rideterminazione, in ribasso, del valore delle rimanenze finali in misura corrispondente all'inferiore valore delle merci acquistate.

Dà, inoltre, evidenza di aver eccepito che, in sede di verifica, non era stato accertato il valore delle giacenze «fisiche» alla data di chiusura del periodo di imposta di riferimento e, quindi, la sua corrispondenza a quello indicato nelle scritture contabili. Tali doglianze risultano essere state riproposte con motivo di appello. Orbene, premesso che, ai sensi dell'art. 92, Testo Unico n. 917 del 1986, le variazioni delle rimanenze finali dei beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa e destinati ad essere impiegati nella produzione rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell'esercizio, si osserva, come già evidenziato, che la sentenza impugnata si è limitata a considerare assorbito il motivo di gravame nella argomentazione adottata con riferimento agli altri motivi. L'assenza di una sufficiente motivazione in ordine alla irrilevanza del dato fattuale dedotto dalla contribuente relativo al minor valore dei beni acquistati, così come risultante dalla relativa fattura e accertato dall'Ufficio, e, conseguentemente, al valore delle rimanenze finali, costituisce una lacuna tale da inficiare la coerenza dell'argomentazione sotto il profilo logico-giuridico, in quanto relativa a circostanze astrattamente idonee a condurre ad una diversa valutazione in ordine alla legittimità dell'atto impugnato.

3.2. Sotto altro aspetto, si osserva che, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, fermi restando i termini per la presentazione della dichiarazione integrativa - di durata diversa a seconda che sia diretta ad evitare un danno per la P.A. ovvero ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente - e della richiesta di rimborso, il contribuente può, come nel caso in esame, sempre opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria (cfr. Cass., sez. un., 30 giugno 2016, n. 13378). 

4. La sentenza va, dunque, cassata con riferimento ai motivi accolti e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione.

P.Q.M. 

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso e rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 13 luglio 2018 e il 30 maggio 2019.

 

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