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Analisi casi processuali - ricorso contro atto di recupero – annullamento totale dell’atto con sentenza della Commissione Tributaria Provinciale Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Nel presente articolo analizziamo un caso giurisprudenziale sottoposto alla Commissione Tributaria Provinciale, la quale ha accolto le tesi sviluppate nel ricorso e nelle memorie da noi depositate e proceduto all’annullamento integrale dell’atto. Atto con cui illegittimamente si contestava una presunta eccessiva compensazione.

La prospettiva sarà differente rispetto al consueto esame della sentenza.  Infatti, procederemo ad esaminare la fattispecie, non dalla prospettiva del corpo letterale della sentenza, ma dalla prospettiva delle argomentazioni processuali da noi sviluppate, accolte in sentenza, e che hanno condotto all’annullamento integrale dell’atto dell’Agenzia delle Entrate in esito al giudizio di primo grado.

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“1 – SINTESI DELLA VICENDA E DEI MOTIVI DI ILLEGITTIMITA’ ED INFONDATEZZA DELL’ATTO DI RECUPERO.

1. Nel corso degli anni XXX e XXX, la Direzione Provinciale di XXX formò tre avvisi di accertamento, dappoi annullati pressoché totalmente dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano, con sent. n. XXX (documento n. X);

2. Sulla base di tali infondati avvisi, la Direzione Provinciale di XXX in corso di giudizio aveva, tuttavia, già demandato il pagamento delle maggiori imposte in essi indicate;

3. la parte relativa all’IVA indebitamente pretesa con la formazione dei predetti infondati avvisi di accertamento fu corrisposta dalla contribuente, prima dell’annullamento, mediante compensazione con crediti IVA dalla stessa maturati in dipendenza degli acquisti;

4. La pretesa di pagamento tanto delle II.DD. che della maggior IVA da ultimo menzionata non era fondata ed è stata annullata dalla CTR di Milano, con sent. n. XXX depositata il XXX, per motivi di merito;

5. Con l’atto di recupero impugnato, l’Ufficio afferma che quella modalità di pagamento (compensazione), a parere del medesimo, non deve essere considerata corretta, e giunge alla paradossale conclusione che la società debba versare oggi nelle casse della Direzione Provinciale proprio quell’IVA che è stata ritenuta non dovuta dalla sentenza della CTR della Lombardia, e che era stata demandata con gli avvisi di accertamento annullati. A ciò aggiunge le sanzioni. Il tutto per una richiesta di pagamento pari ad euro XXX.XXX,XX (documento n. X).

In altri termini pretende oggi il versamento dell’imposta sul valore aggiunto che un giudice ha già ritenuto non essere dovuta e che fu richiesta senza diritto dalla Direzione Provinciale di XXX, come riconosciuto dalla sentenza della CTR della Lombardia n. XXX (documento n. X), citata.

Per di più la spiegazione offerta dall’Ufficio per giustificare tale richiesta è errata ed illogica:

- da un lato, la Direzione Provinciale riconosce la limitazione all’uso della compensazione (c.d. plafond) indicata dalla legge non si applica alla compensazione “verticale” (esempio: IVA su IVA) ma solo alla compensazione “orizzontale” (esempio IVA su IRES);

- nel contempo sostiene che, nel caso di specie, l’IVA a credito compensata con l’IVA (!) iscritta provvisoriamente a ruolo non sia compensata “verticalmente”, ciò in quanto, sembrerebbe (dato che la spiegazione è alquanto lacunosa) che, ad avviso della Direzione, una volta iscritta a ruolo, questa evidente compensazione “verticale” si “trasformi”, non si sa bene come o perché, in una compensazione “orizzontale”, soggetta (a differenza della compensazione “verticale”) al limite di compensazione (plafond) indicato dall’Ufficio; che invero si ha quando, diversamente dal caso di specie, si procede a compensare imposte diverse (ad esempio IRES ed IVA).

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2 – MOTIVI DI RICORSO

L’atto di recupero si mostra illegittimo in quanto, come si evidenzierà con maggior dettaglio nel proseguo del ricorso, e nel successivo corso del giudizio che ne seguirà:

1)    l’Ufficio non può demandare oggi in pagamento l’IVA considerata non dovuta sulla base della sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano, con sent. n. XXX;

2)    il ruolo provvisorio compensato è decaduto e, dunque, non vi è oggi nessuna eccedenza quantificabile;

3)    non è possibile contestare l’eccessiva compensazione tra un credito effettivo, da un lato, ed un ruolo provvisorio (non definitivo) formato sulla base di una pretesa ritenuta illegittima in sede giurisdizionale (e per l’effetto rettificato e annullato), dall’altro lato;

4)    si trattava di compensazione c.d. verticale e non orizzontale, alla quale è pacifico che non si applichi il limite della compensazione citato dall’Ufficio.

Questi i temi di cui tratterà il presente contenzioso, che la Direzione Provinciale di XXX ha immotivatamente rifiutato di recepire in sede precontenziosa, all’interno del contraddittorio instaurato in risposta all’invito a comparire n. XXX.

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3 – CONTRASTO DELLA RICHIESTA CON LA SENTENZA N. 176/07/2013 – RICHIESTA DI VERSAMENTO IVA NON DOVUTA – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI NEUTRALITA’ IVA – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 53 COST.

Nel XXX la Direzione Provinciale di XXX aveva infondatamente demandato un maggior versamento a titolo di II.DD. ed IRAP con la notifica di tre avvisi di accertamento dappoi annullati pressoché totalmente dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano, con sent. n. XXX (documento n. X).

La Direzione Provinciale di XXX aveva azionato le pretese in corso del giudizio, demandando il pagamento di II.DD. ed IVA.

Il pagamento dell’IVA di cui discutiamo, che a ben vedere non era dovuta per come dappoi riconosciuto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, avveniva in corso di giudizio mediante l’istituto della compensazione verticale (IVA su IVA), e dunque compensando l’IVA (e solo l’IVA), pretesa sulla base degli avvisi dappoi annullati, con l’IVA maturata a credito in quanto effettivamente versata dal contribuente in dipendenza degli acquisti effettuati.

Oggi, l’Agenzia demanda nuovamente il pagamento proprio di quella stessa IVA (per come stabilito dalla sentenza della CTR della Lombardia) che non era a ben vedere dovuta, e che fu pagata provvisoriamente – prima dell’annullamento delle pretese – tramite l’istituto della compensazione “verticale”.

Ma oggi la Direzione non ha più alcun diritto di pretendere l’IVA di cui si discute, è infatti decaduto il ruolo provvisorio compensato e sono finanche decaduti gli avvisi di accertamento a monte sulla base dei quali quel ruolo provvisorio fu formato.

La richiesta stride inequivocabilmente con i principi informatori del sistema delineato dal D.P.R. n. 633 del 1972, e finanche con principi comunitari (primo tra tutti quello di neutralità), e principi costituzionali, tra cui i requisiti di effettività ed attualità della capacità contributiva che si pone – ai sensi dell’art. 53 della Cost. – quale presupposto di qualsiasi richiesta di esborso.

Dunque, non sussiste alcun diritto alla percezione di tale imposta sul valore aggiunto calcolata sulla base di maggiori operazioni imponibili dappoi accertate come mai avvenute.

La pretesa è chiaramente illegittima ed infondata.

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3 - violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 241/1997 – INFONDATEZZA NEL MERITO – COMPENSAZIONE “VERTICALE”.

La contribuente ha pienamente rispettato il limite di utilizzo (al tempo € XXX.XXX,XX euro) dei crediti in compensazione ex art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, così come introdotto dall’art. 34, comma 1 della L. n. 388/2000 e dall’art. 1, comma 53 della L. 244/2007, come ampiamente evidenziato dal contribuente sin dapprima della notifica dell’avviso.

L’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 si applica infatti, com’è noto, unicamente all’utilizzo in compensazione c.d. “orizzontale” ossia tra crediti e debiti di imposta eterogenei (esempio IVA su IRES; ciò è confermato anche dalla prassi: ex pluris Circolare n. 1/E del 15 gennaio 2010).

Al contrario, l’art 17 e i limiti di utilizzabilità a tale articolo riferiti non si applicano ai casi di compensazione c.d. “verticale” ossia tra crediti e debiti relativi alla medesima tipologia di imposta (esempio IVA su IVA).

Ciò premesso, si evidenzia che la società contribuente, nel corso del 2012, ha compensato:

- € XXX.XXX,XX in via c.d. orizzontale;

- € XXX.XXX,XX in via c.d. verticale.

Tale ultima compensazione si riferisce alla compensazione di un credito IVA con un debito IVA oggetto di iscrizione a ruolo “provvisoria” (non definitiva), che è una compensazione c.d. verticale, da non considerare ai fini della verifica del limite di utilizzabilità citato.

Ne consegue che, per l’anno XXX, la società ha utilizzato, in via di compensazione c.d. orizzontale un importo inferiore a quanto previsto dai limiti di utilizzabilità previsti esclusivamente per tale tipologia di compensazione.

Ad ogni modo, per effetto della sentenza n. XXX della Commissione Tributaria Regionale di Milano la pretesa IVA compensata è stata annullata, dunque il ruolo provvisorio in riferimento al quale è stata operata la compensazione è decaduto, subendo un annullamento pressoché totale (il debito totale è stato in particolare ridotto ad euro XX.XXX,XX).

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Peraltro, la tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui la compensazione del credito IVA con un debito IVA iscritto a ruolo perderebbe con la formazione del ruolo la natura di compensazione “verticale” per “trasformarsi” in una compensazione “orizzontale”, non è supportata da alcun elemento ed è chiaramente fragile sotto il profilo logico.

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In secondo luogo, si contesta espressamente, in via autonoma, anche l’applicazione delle sanzioni, infatti:

1) innanzitutto non è applicabile la normativa sanzionatoria citata dall’Ufficio, non rientrando l’ipotesi in discussione (eccessiva compensazione) tra quelle previste dal legislatore e sanzionabili ai sensi degli articoli 13 del D.lg. 471 del 1997 e dell’art. 34 D.lgs. 447/1997 (ossia tra le ipotesi di ritardato ovvero omesso versamento);

2) comunque nel caso di specie se per assurdo non vi fossero così tanti elementi da rendere illegittima la pretesa nel suo complesso, e non irrogabili le sanzioni ai sensi del punto precedente, ricorrerebbero comunque i presupposti di cui all’art. 6 del D.lgs. 472/1997 ed all’art. 10, comma terzo, L. 27 luglio 2000, n. 212, e dunque obiettive condizioni di incertezza ampiamente idonee ad inibire qualsiasi irrogazione di sanzioni.

In ambito tributario, d’altronde, come noto, v'è un principio che permea l'intero sistema sanzionatorio, secondo il quale non può essere richiesto il pagamento di alcun importo a titolo di sanzione se il comportamento del contribuente è stato determinato dall'incertezza normativa sussistente in ordine al comportamento fiscalmente corretto da tenere. Tale principio è riconosciuto e confermato da numerose disposizioni di legge:

1) l'articolo 8, comma 1, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prevede che “La commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”;

2) l'articolo 6, secondo comma, D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, testo di legge che detta la cornice dell'impianto sanzionatorio tributario, stabilisce che “Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono ...”;

3) l’articolo 10, comma terzo, L. 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), in via generale dispone che “Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria ...”.

Il menzionato principio viene, dunque, inserito e ribadito finanche in seno allo stesso Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212/2000), a testimonianza della volontà legislativa di ricondurre lo stesso tra i "principi generali dell'ordinamento tributario", rispetto ai quali tutte le leggi vigenti devono essere rese coerenti e coordinate, anche - ove necessario - mediante disposizioni correttive e dunque tra le regole costituenti criteri guida per il giudice nell'interpretazione delle norme, in quanto espressione di principi già immanenti nell'ordinamento[1].

La stessa Corte costituzionale, dal canto suo, ha precisato che le disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente rappresentano criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria, anche antecedente, e che, pertanto, i giudici tributari devono fare diretta applicazione delle norme ivi recate.

Dunque anche la parte dell’avviso relativa alle sanzioni è chiaramente invalida vieppiù per gli autonomi motivi ut sopra indicati.

***

Comunque si guardi la tematica, l’atto di recupero si mostra chiarimento illegittimo ed infondato. Con riserva di ogni ulteriore illustrazione anche in sede di memoria.

§§§

Estratto memoria.

con cui si rileva quanto segue

            - la Direzione Provinciale di XXX ha formato l'atto di recupero n. XXX, con cui intima il pagamento di euro XXX.XXX,XX a titolo di IVA  e sanzioni;

- i titoli esecutivi che legittimavano la richiesta di pagamento dell'IVA di cui trattasi, pretesa in pagamento con l’atto di recupero impugnato, sono stati invalidati dalla sentenza della CTR della Lombardia n. XXX (documento n. X del ricorso introduttivo);

- il debito fiscale iscritto a suo tempo a titolo provvisorio, e al tempo compensato con crediti della contribuente pienamente spettanti, è in altri termini venuto meno a seguito dell'annullamento degli avvisi di accertamento che l’avevano generato;

- la richiesta di cui all'atto di recupero impugnato contrasta in maniera diretta con il contenuto della sentenza della CTR della Lombardia n. XXX (documento n. X del ricorso introduttivo), che ha annullato i titoli esecutivi a monte;

- l'Ufficio demanda oggi il pagamento dell'IVA calcolata sulle riprese annullate dalla sentenza;

- l'annullamento del titolo a monte travolge qualsiasi azione successiva di recupero, come quella in discussione;

- oggi la Direzione non ha più alcun diritto di pretendere l’IVA di cui si discute, è infatti decaduto il ruolo provvisorio compensato e sono finanche decaduti, a monte, gli avvisi di accertamento sulla base dei quali quel ruolo provvisorio fu formato. Dunque, non sussiste alcun diritto alla percezione di tale imposta sul valore aggiunto calcolata sulla base di maggiori operazioni imponibili dappoi accertate in giudizio non essere mai avvenute. La richiesta stride inequivocabilmente con i principi informatori del sistema delineato dal D.P.R. n. 633 del 1972, e finanche con principi comunitari (primo tra tutti quello di neutralità), e principi costituzionali, tra cui i requisiti di effettività ed attualità della capacità contributiva che si pone – ai sensi dell’art. 53 della Cost. – quale presupposto di qualsiasi richiesta di esborso;

- l’Amministrazione finanziaria deve perseguire solamente l’interesse alla corretta applicazione della norma impositrice evitando la permanenza di situazioni che violino il disposto di cui all’art. 53 Cost. e, dunque, i casi di concorso alle spese pubbliche difforme dalla capacità contributiva, e non certamente crearle;

- nel caso di specie, discorriamo di IVA calcolata su cessioni di beni ipotizzate dalla Direzione Provinciale di XXX secondo metodologie induttive, cessioni che a ben vedere non esistevano (per come da ultimo ritenuto dalla CTR della Lombardia n.  XXX);

- gli accertamenti operati in giudizio hanno permesso di verificare che non sussisteva il presupposto dell’imposta, e pertanto il contribuente non ha mai manifestato la capacità contributiva che deve giuridicamente porsi a monte della richiesta di pagamento di cui discutiamo;

- l’atto di recupero con cui si pretende di incamerare l’imposta annullata contestando le modalità con cui la stessa fu a suo tempo pagata, in via provvisoria, in corso di giudizio, è gravemente lesivo del principio di capacità contributiva, nonché della fiducia che l’operato della Direzione Provinciale dovrebbe generare nei confronti dell’Amministrazione Pubblica;

- certamente l’Amministrazione finanziaria, infatti, non può ritenersi legittimata a perseguire un interesse “egoisticamente fiscale”, che le permetta, in ogni caso, di esigere o trattenere una prestazione tributaria, anche qualora questa sia ictu oculi illegittima (come esattamente nel caso in discussione);

- l’interesse pubblico non è certamente quello di introitare somme in virtù di provvedimenti illegittimi sotto il profilo del rapporto d’imposta sottostante (cd. massimizzazione del gettito). Anche la giurisprudenza, in proposito, si è espressa nel senso che “il vero interesse del fisco non sia quello di costringere il contribuente a soddisfare pretese sostanzialmente ingiuste profittando di situazioni contingenti ad esso favorevoli sul piano amministrativo o processuale, bensì quello di curare che il prelievo fiscale sia sempre in armonia con l’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo[2];

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(OMISSIS)

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-  all’interno di codesta memoria ci si è concentrati sulla questione che si reputa maggiormente rilevante, ossia la mancanza, oggi, del debito di imposta che, contestando le modalità di pagamento operate, la Direzione Provinciale di XXX vorrebbe vedersi corrisposto (oltre a pretendere finanche sanzioni come se la stessa non avesse ricevuto il pagamento, quando lo stesso è stato eseguito con l’istituto della compensazione).

Si rinvia invece al ricorso introduttivo in riferimento ai numerosi altri motivi di ricorso, ivi delineati, ed in particolare: - violazione e falsa applicazione dell'art. 17 del D.lgs. n. 241 del 1997; - infondatezza del merito; - qualificabilità della compensazione come compensazione verticale e mancata applicabilità del limite di compensabilità alla compensazione verticale; - decadenza del ruolo provvisorio; - inapplicabilità delle sanzioni su pretese annullate; - addebitabilità della condotta alla Direzione Provinciale che aveva essa stessa erroneamente formato avvisi di accertamento infondati; - obiettive condizioni di incertezza, violazione e falsa applicazione dell'art. 6 del D.lgs. 472/1997 ed all’art. 10, comma terzo, L. 27 luglio 2000, n. 212 (sul punto si nota che il fatto stesso che la Direzione Provinciale muti la propria giustificazione, affermando inizialmente che trattasi di compensazione orizzontale a cui non si applica il limite e dappoi, in sede di giudizio, affermando che il limite si applica tanto alla compensazione c.d. verticale che orizzontale, attesta la circostanza che lo stesso Ufficio non è affatto “certo“ in ordine al dettato normativo ratio temporis vigente); - violazione del principio di neutralità IVA, - diretta violazione dell'art. 53 Cost. Derivante da una formazione di una richiesta di imposta in attuale assenza di capacità contributiva.

 


[1] In tema, Cass., Sez. trib., 5 giugno 2013, n. 14185.

[2] Ex multis n. 2575/1990; CTR Roma 16/05/2000.

 

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