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Il reato di sottrazione fraudolenta (art. 11) al pagamento delle imposte presuppone un esame del patrimonio residuo. Non ravvisati indizi di reato. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Massima: “Il delitto previsto dall'art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 è un reato di pericolo che si basa su un giudizio "ex ante" che valuta la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla attività recuperatoria dell'amministrazione finanziaria. Tale giudizio si svolge attraverso una comparazione, anche sommaria, tra il valore del denaro o dei beni occultati e la pretesa dell'erario per stabilire la consistenza patrimoniale del debitore rispetto alla pretesa fiscale. Nel caso di specie il giudice di merito ha evidenziato che non è stata effettuata una compiuta valutazione della capienza del patrimonio residuo della società rispetto al soddisfacimento delle pretese tributarie, nè della diretta incidenza delle operazioni finanziarie al fine della creazione di una situazione di pericolo concreto”.

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Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 3

Sentenza del 16/07/2019 n. 31206 -

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 5 ottobre 2018, il Tribunale di Palermo ha rigettato l'appello proposto dal pubblico ministero avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 25 giugno 2018 dal Gip dello stesso Tribunale, con cui - per quanto qui rileva - non si è ravvisata la sussistenza di indizi dei reati di cui ai capi 7), 8), 9) dell'imputazione provvisoria.

2. - Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, lamentando il mancato riconoscimento della sussistenza di indizi di tali reati contestati a Z.. In particolare: capo 7), D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, per avere, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della U. s.p.a., al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto al di sopra della soglia di punibilità, compiuto atti fraudolenti sui beni della società idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, in particolare simulando un contratto di finanziamento datato (------) in favore della M. s.r.l. (società partecipata al 100% dalla U. s.p.a., apparentemente amministrata da un soggetto diverso, ma di fatto riconducibile allo stesso Z.), attraverso un bonifico di Euro 14.400.000; capo 8) art. 81 c.p., comma 2, D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella stessa veste e agli stessi fini di cui al capo precedente, compiuto atti fraudolenti sui beni della società idonei a rendere inefficace la riscossione coattiva, in particolare simulando un contratto di finanziamento datato (OMISSIS) in favore della stessa M. s.r.l., erogato con bonifici del valore complessivo di Euro 10.900.000; capo 9) art. 81 c.p., comma 2, art. 648 ter.1 c.p., per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, avendo commesso i reati di cui ai capi 7) e 8), impiegato, sostituito e trasferito in attività economiche, finanziarie e imprenditoriali oggetto della predetta società calcistica il denaro, i beni e le altre utilità sottratti all'erario, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa, in particolare impiegando le somme di denaro ricevute dalla M. s.r.l. a titolo di restituzione finanziamento e restituzione prestito, per un valore complessivo pari a Euro 21.331.430,00, secondo le modalità analiticamente descritte nell'imputazione provvisoria; con la recidiva.

2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, nonchè la manifesta illogicità della motivazione in relazione al diniego della sussistenza del dolo specifico. Il ricorrente sostiene che il Gip aveva correttamente evidenziato la finalità della sottrazione al pagamento delle imposte nella "ossessione" di Z. di sottrarre beni ai pignoramenti da parte dello Stato. Si lamenta che il Tribunale avrebbe ammesso la propensione alla sottrazione di beni all'erario, circoscrivendola, però, ai debiti erariali personali dell'indagato ed escludendo i debiti della società, sul rilievo che, nonostante la notevole esposizione debitoria della società stessa, vi erano stati piani di ammortamento concordati e puntualmente rispettati.

2.2. - Si contesta, in secondo luogo, l'affermazione del Tribunale secondo cui l'unica finalità dei falsi finanziamenti di cui ai capi 7) e 8) era la volontà di sottrarre denaro liquido non al fisco ma al creditore P. Ltd., sul rilievo che tale finalità - pur effettivamente confermata dal quadro istruttorio - convivrebbe con quella di ledere le ragioni erariali, a fronte di spostamenti di denaro a favore della M., per importi molto considerevoli.

2.3. - Con un terzo motivo di doglianza, si deduce l'inosservanza dell'art. 82 c.p., comma 2, per la mancata considerazione del fatto che la frode rispetto al creditore P. Ltd., punibile ai sensi dell'art. 388 c.p., avrebbe potuto concorrere con quella ai danni dello Stato, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11. Il ricorrente osserva che vi è omogeneità dei beni giuridici tutelati dalle due fattispecie incriminatrice, perchè entrambe poste a tutela di creditori, essendo dunque configurabile una aberratio ictus plurioffensiva.

2.4. - Una quarta censura è riferita alla mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del delitto di cui all'art. 388 c.p., quale presupposto dell'autoriciclaggio, di cui al capo 9) dell'imputazione provvisoria. Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che il reato di cui all'art. 388, peraltro non autonomamente contestato per mancanza di querela, commesso in danno della P. Ltd. non fosse stato indicato tra quelli presupposto del contestato autoriciclaggio. Secondo il pubblico ministero, tale contestazione era stata invece effettuata con la memoria del 16 aprile 2018, integrativa della richiesta per l'applicazione di misure cautelari del 27 febbraio 2018; e nella richiesta di misure cautelari reali e personali del 25 maggio 2018 si era richiamato espressamente il contenuto della richiesta precedente e delle sue integrazioni. Più in generale il Tribunale avrebbe potuto individuare d'ufficio il reato di cui all'art. 388 c.p. quale presupposto dell'autoriciclaggio.

2.5. - Con un quinto motivo di ricorso, il pubblico ministero lamenta che non si sarebbe considerato che i pagamenti erano avvenuti dopo la consumazione dei reati di cui ai capi 7) e 8), nè che i piani di ammortamento e i pagamenti stessi erano successivi alla scoperta dell'istanza di fallimento e dell'indagine da parte di Z.; si sarebbe trattato, comunque, di somme inferiori rispetto ai crediti erariali. Si contesta anche l'affermazione del Tribunale secondo cui l'unica finalità dei falsi finanziamenti di cui ai capi 7) e 8) era la volontà di sottrarre denaro liquido non al fisco ma al creditore P. Ltd., sul rilievo che tale finalità - pur effettivamente confermata dal quadro istruttorio - convivrebbe con quella di ledere le ragioni erariali, a fronte di spostamenti di denaro a favore della M. per circa 47 milioni di Euro tra gli anni (------).

2.6. - Infine, sempre sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, si contesta l'affermazione dell'ordinanza impugnata secondo cui non sarebbe stata effettuata una compiuta valutazione della capienza del patrimonio residuo della società rispetto al soddisfacimento delle pretese tributarie, nè della diretta incidenza delle operazioni finanziarie oggetto dell'imputazione al fine della creazione di una situazione di pericolo concreto. Ad avviso del pubblico ministero, non è configurabile in via generale un obbligo di verifica della capienza del patrimonio del debitore erariale, a maggior ragione nel caso - come quello di specie - in cui l'oggetto della sottrazione sia denaro.

3. - La difesa della U. s.p.a. ha depositato memoria, con la quale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile, perchè basato sulle stesse doglianze proposte con precedenti impugnazioni dallo stesso pubblico ministero, rigettate dalla Corte di cassazione, sez. 3, all'udienza camerale del 24 gennaio 2019.

Considerato in diritto

4. - Il ricorso del pubblico ministero è inammissibile, perchè basato sulla riproposizione di doglianze già ritenute in parte infondate e in parte inammissibili da questa Corte nel procedimento r.g. 49429/2018, deciso, nel senso del rigetto del ricorso del pubblico ministero, con la sentenza sez. 3, 24 gennaio 2019, n. 23151, resa in materia di misure cautelari personali nei confronti dell'indagato Z.

4.1. - In particolare, in tale pronuncia si è già evidenziata l'infondatezza dei motivi sub 2.1., 2.2., 2.3., 2.5., trattati congiuntamente perché attinenti, nella sostanza, alla configurabilità di gravi indizi dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, di cui ai capi 7) e 8) dell'imputazione provvisoria; infondatezza in conseguenza della quale il pubblico ministero ricorrente avrebbe dovuto evitare la mera riproposizione, nel presente procedimento, dei motivi stessi.

Deve in ogni caso osservarsi che le doglianza in questione si basano, essenzialmente, sulla contestazione delle affermazioni dell'ordinanza secondo cui la propensione dell'indagato alla sottrazione di beni all'erario deve essere circoscritta ai debiti erariali personali, con esclusione dei debiti della società, perchè nonostante la notevole esposizione debitoria della società stessa, vi erano stati piani di ammortamento concordati e puntualmente rispettati, per cifre considerevoli, fino alla data del (------). E' oggetto di contestazione anche l'ulteriore affermazione del Tribunale secondo cui, allo stato degli atti, emerge che l'unica finalità dei falsi finanziamenti di cui ai capi 7) e 8) era la volontà di sottrarre denaro liquido non al fisco ma al creditore P. Ltd. Si tratta - come anticipato - di rilievi che attengono alla logicità della motivazione e non all'interpretazione dell'art. 11 adottata dal Tribunale, nel senso della possibilità astratta che la finalità di frodare il fisco coesista con quella di frodare altri creditori - che anzi il pubblico ministero mostra di condividere - nè a vuoti motivazionali nell'analisi del materiale istruttorio; analisi che è stata compiutamente effettuata dal Tribunale con esiti del tutto logici e coerenti. Il Tribunale, infatti, ha evidenziato l'insussistenza del dolo specifico richiesto dalla disposizione incriminatrice, sul rilievo che i fondi trasferiti dai conti della società dell'indagato a quelli di altre società sono poi rientrate nei conti della prima società, non di rado anticipatamente rispetto ai fittizi contratti posti formalmente a supporto delle movimentazioni, in condizioni di debito verso l'erario non dissimili da quelle esistenti al momento in cui le somme erano fuoriuscite dai conti. Allo stato degli atti, dunque, tali movimenti risultano inspiegabili in chiave di frode, anche perchè buona parte delle somme rientrate sono state effettivamente impiegate per l'adempimento dei debiti di imposta. E tale ricostruzione interpretativa - insindacabile in questa sede perchè non affetta da lacune e o vizi logici - esclude in radice che sia configurabile la aberratio ictus plurioffensiva ipotizzata dalla difesa, essendo stata smentita, allo stato degli atti, la sussistenza di sufficienti elementi a sostegno della contestata finalità di frodare le ragioni del fisco.

4.2. - Le considerazioni svolte in premessa si attagliano anche al quarto motivo - riferito alla mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del delitto di cui all'art. 388 c.p., quale presupposto dell'autoriciclaggio, di cui al capo 9) dell'imputazione provvisoria - che è inammissibile perchè manifestamente infondato, anche a prescindere dalla sua ripetitività. In particolare, l'insussistenza della lacuna motivazionale denunciata emerge dalla stessa prospettazione del ricorrente, secondo cui il Tribunale non ha omesso una motivazione sul punto, ma ha erroneamente ritenuto che il reato di cui all'art. 388, peraltro non autonomamente contestato per mancanza di querela, commesso in danno della P. Ltd. non fosse stato indicato tra quelli presupposto del contestato autoriciclaggio (come emerge dalla lettura della pag. 37 dell'ordinanza). E risulta del tutto generica l'affermazione del pubblico ministero secondo cui tale contestazione era stata invece effettuata con la memoria del 16 aprile 2018, integrativa della richiesta di applicazione di misure cautelari del 27 febbraio 2018 e richiamata nella richiesta di misure cautelari reali e personali del 25 maggio 2018, perchè tali atti sono semplicemente menzionati senza puntuali riferimenti al loro effettivo contenuto. Del resto, dall'imputazione provvisoria, non emerge che tale reato presupposto fosse stato richiamato, anche solo in via di fatto; con la conseguenza che sarebbe stato impossibile per il Tribunale indicarlo d'ufficio quale reato presupposto dell'autoriciclaggio.

4.3. - Analoghe considerazioni valgono anche per il sesto motivo di ricorso. A differenza degli altri, esso si riferisce, effettivamente, ad una pretesa violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, perchè si basa sul rilievo che tale disposizione avrebbe dovuto essere interpretata dal Tribunale nel senso che non configura in via generale un obbligo di verifica della capienza del patrimonio del debitore erariale. L'interpretazione proposta dal ricorrente è, però, manifestamente erronea. Questa Corte ha già affermato, sul punto, che per la configurazione del reato, è sufficiente che la condotta sia idonea a pregiudicare l'attività recuperatoria dell'amministrazione finanziaria, ovvero a mettere a repentaglio la realizzazione della pretesa tributaria, anche solo rendendo più difficile una eventuale procedura esecutiva, senza che, quindi, sia necessario che la stessa venga resa non più possibile (ex plurimis, Sez. 3, n. 14606 del 17/11/2017, dep. 30/03/2018, Rv. 272818 - 01; Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 20/01/2017, Rv. 268798 - 01). Si è comunque precisato che il delitto previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 11, è reato di pericolo, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei - secondo un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell'Erario - a pregiudicare l'attività recuperatoria dell'amministrazione finanziaria (ex multis, Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018, Rv. 274066 - 01). Ed è evidente che tale giudizio ex ante non può che svolgersi attraverso una comparazione - seppure effettuata in via sommaria e allo stato degli atti - tra il valore del denaro o dei beni occultati e la pretesa dell'erario, dovendosi in ultima analisi valutare se la residua consistenza patrimoniale del debitore sia sufficiente a soddisfare tale pretesa. Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tale principio, laddove ha evidenziato che, nel caso di specie, non è stata effettuata una compiuta valutazione della capienza del patrimonio residuo della società rispetto al soddisfacimento delle pretese tributarie, nè della diretta incidenza delle operazioni finanziarie oggetto dell'imputazione al fine della creazione di una situazione di pericolo concreto.

5. - In conclusione, il ricorso del pubblico ministero deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

 

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