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Spetta all’Agenzia delle Entrate provare che quello standard / studio di settore è applicabile proprio in quel caso concreto / nei confronti di quel determinato contribuente. Accolto il ricorso del contribuente. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “Di tali principi non fa corretta applicazione la sentenza impugnata, che, erroneamente applicando le regole di riparto dell'onere della prova, non tiene conto che, in primis, incombe all'Ufficio l'onere di dimostrare l'applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento, poi, soltanto facendo carico al contribuente l'onere dì provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, le circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale cui fanno riferimento i parametri o gli studi di settore”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 24559 del 2 ottobre 2019

CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. cìv., per non aver la sentenza impugnata considerato che le regole di riparto dell'onere probatorio pongono a carico dell'Ufficio l'onere di provare la plausibile applicabilità dello standard, di cui allo studio di settore, all'impresa contribuente.

2. Con il secondo motivo di gravame, deducono il vizio di omessa esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'articolo 360 comma 1, n. 5 cod. proc. civ., costituito dalla rilevanza, ai fini dello studio di settore "TG61D", applicato nella specie, della peculiare attività di impresa accertata riguardante lo smaltimento dei rifiuti e non certo le attività di cui al corrispondente studio di settore (quali, intermediazione del commercio di attrezzature sportive, biciclette ed altri prodotti). Peraltro, secondo l'assunto dei: ricorrenti, la CTR avrebbe omesso di considerare che l'oggetto delle attività di cui allo studio di settore applicato, non riguarda attività pericolose come, invece, è l'attività svolta dalla società G. e C. s.a.s.

3. Dalla lettura della sentenza in epigrafe emerge che la CTR, dopo aver premesso che «la giurisprudenza della Suprema Corte pone a carico della parte contribuente la prova della sussistenza delle condizioni di esclusione del periodo di tempo cui si riferisce la pretesa», ha ritenuto che nella fattispecie al suo esame « le cause dello scostamento dalle risultanze degli studi di settore non risultano sufficientemente provate e che tutte le circostanze riportate in atti forniscono, nel loro complesso, la conferma che la rideterminazione del reddito d'impresa, effettuato tenendo conto della stima dei ricavi operata dallo studio di settore, sia pienamente plausibile». I giudici di secondo grado hanno rilevato un unico errore nel conteggio dell'ufficio - l'aver inserito nei costi il compenso dei soci amministratori, contabilizzato due volte - ed hanno, quindi, ridotto il reddito accertato, eliminando dai costi il compenso dei soci erroneamente contabilizzato.

4. La questione che si pone col primo motivo, attiene al se l'Ufficio abbia assolto il suo corrispondente onere probatorio circa la plausibile applicabilità dello studio di settore sul quale si è basato l'accertamento nei confronti del contribuente.

5. Ritiene il Collegio che tale questione va risolta in senso favorevole al contribuente, anche in considerazione degli esiti della giurisprudenza di questa Corte in materia di accertamento con metodo cd. analitico-induttivo.

6. Senza qui ripercorrere l'evoluzione esegetica del combinato disposto degli artt. 62 sexies del decreto legge 30 agosto 1993 n. 331 e 10 della legge 8 maggio 1998 n. 146 - che riconoscono all'Amministrazione finanziaria la possibilità di fondare un accertamento su gravi incongruenze tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto, invece, avrebbe dovuto essere dichiarato in relazione alle tipologia dell'attività svolta - è principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante studi di settore costituisce, si, un sistema dì presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è per legge determinata dallo scostamento tra reddito dichiarato e standard, ma si delinea, via via, in base a quanto emerge nel corso del procedimento ed agli elementi di segno contrario offerti dal contribuente, fermo restando che incombe sull'Ufficio l'onere di dimostrare l'applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento.

7. Di tali principi non fa corretta applicazione la sentenza impugnata, che, erroneamente applicando le regole di riparto dell'onere della prova, non tiene conto che, in primis, incombe all'Ufficio l'onere di dimostrare l'applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento, poi, soltanto facendo carico al contribuente l'onere dì provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, le circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale cui fanno riferimento i parametri o gli studi di settore (Cass. S.U. 18 dicembre 2009, n. 26635; Cass. sez. 5, 20 febbraio 2015, n. 3415; Cass. sez. 5, 13 luglio 2016, n. 14288; Cass. sez. 5, 12 aprile 2017, n. 9484; Cass. sez. 6-5, ord. 24 luglio 2018, n. 19657).

8. Nella specie, la sentenza in epigrafe ha ribaltato sui contribuenti l'onere della prova sulla riferibilità alla fattispecie concreta dello standard prescelto all'attività svolta dalla società per l'anno in oggetto, e ciò, nonostante vi sia stata la contestazione specifica dei contribuenti dell'applicabilità dello studio di settore prescelto sotto due profili: a) il non essere riferibile l'attività di smaltimento di rifiuti, principalmente tossici e speciali, ad alcuna tipologia di studio di settore; b) l'essere comunque l'attività d'intermediazione, cui si riferisce lo studio di settore applicato dall'Amministrazione finanziaria, peraltro non riguardante in sé materiali pericolosi, stata svolta a partire dall'anno in contestazione, 2005, dalla s.r.l. di nuova costituzione.

9. Il primo motivo di ricorso va, dunque, accolto.

10. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Il vizio motivazionale denunciato (art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012) proprio in quanto è un vizio specifico - relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia - richiede, nel rispetto delle regole di cui agli articoli 366, co. 1 n. 6, e 369 co. 2, n. 4 cod. proc. civ., l'indicazione del fatto storico il cui esame sia stato omesso, il "dato" testuale e/o extra testuale da cui esso risulti esistente, il "come" ed il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti per la sua decisività, fermo restando che qualora il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, tale vizio non può ritenersi integrato (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014). Nulla, di tale specificità, è contenuta nel motivo di ricorso qui all'esame.

11. In accoglimento del primo motivo la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Liguria che dovrà, in primo luogo, verificare con accertamento di fatto la riferibilità in concreto all'attività dello standard prescelto secondo l'onere della prova sul punto gravante all'Amministrazione, così come indicato ai paragrafi che precedono.

PQM

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla CTR della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese relative al presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 15 maggio 2019

 

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