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Gli eredi ottengono il rimborso integrale dell’IRAP versata dal parente. Non vi erano gli elementi per considerare presente un’autonoma organizzazione. Accolto il ricorso. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “la CTR non si è attenuta al dato normativo, ai princìpi di diritto e ai profili di valutazione del presupposto impositivo dell'IRAP appena enunciati giacché, in sostanza, ha erroneamente ravvisato la ricorrenza del presupposto dell'autonoma organizzazione esclusivamente sulla base delle circostanze di fatto - incontestate, ma di per sé insufficienti - che il commercialista, per l'esercizio della propria attività professionale, si fosse avvalso, nel biennio in esame, di una segretaria part-time, che veniva impiegata per poche ore settimanali (11 ore nel 2008; 9 ore nel 2009); le considerazioni precedenti comportano che, accolto il primo motivo, ed assorbiti gli altri, la sentenza sia cassata; non essendo necessaria ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., coll'accoglimento del ricorso introduttivo”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 28379 del 5 novembre 2019

Rilevato che:

GL, CC, FC, LC, in qualità di eredi legittimi di DC, ricorrono, con sei motivi, illustrati con una memoria ex art. 380-bis 1. cod. proc. civ., nei confronti dell'Agenzia delle entrate, che resiste con atto di costituzione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 370, primo comma, cod. proc. civ., per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, indicata in epigrafe, che - in controversia concernente l'impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall'Amministrazione finanziaria all'istanza di rimborso dell'IRAP, versata per le annualità 2008 e 2009, per l'esercizio, da parte di C., dell'attività di commercialista, libero professionista - ha respinto l'appello degli eredi del contribuente (deceduto il 7/09/2009), confermando la sentenza di primo grado; a sostegno della decisione, la CTR ha affermato che, posto che era onere degli appellanti dimostrare il difetto del presupposto impositivo dell'IRAP, costituito dall'autonoma organizzazione del professionista, nella specie, per un verso, l'ufficio aveva legittimamente ravvisato l'esistenza di tale elemento in considerazione del fatto che, in fase amministrativa, era stata depositata documentazione che attestava la presenza di un dipendente, impiegato, nel 2008, per 148 giorni, con un corrispettivo di euro 12.138,00, e, nel 2009, per 119 giorni, con un corrispettivo di euro 11.887,00; per altro verso, la sentenza di primo grado aveva messo in risalto il carattere non occasionale della prestazione lavorativa del dipendente e "la percentuale di tale esborso sul reddito di lavoro autonomo prodotto dal de cuius negli stessi periodi di imposta." (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata);

Considerato che:

con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere ravvisato l'esistenza del presupposto impositivo dell'IRAP, rappresentato dall'autonoma organizzazione, ponendosi in palese contrasto con la giurisprudenza costituzionale e di legittimità in ragione del fatto che era incontestato che il de cuius avesse svolto l'attività di commercialista avvalendosi, nelle due annualità, esclusivamente della collaborazione di una segretaria part-time che, nel 2008, aveva lavorato per circa 11 ore la settimana, e, nel 2009, aveva lavorato per circa 9 ore la settimana; con il secondo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'omesso esame "di fatti decisivi per la soluzione della controversia dedotti nei precedenti gradi di giudizio e, quindi, oggetto di contraddittorio", i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere trascurato i seguenti elementi di fatto, che essi avevano addotto negli scritti difensivi e che non erano stati contestati dall'ufficio, vale a dire che: a) l'unica dipendente del commercialista era una segretaria part-time; b) i reali importi corrisposti a detta segretaria (al netto dei contributi INPS e INAIL) erano inferiori a quelli indicati dalla CTR, e ammontavano a euro 8.196,05 (anno 2008) e a euro 8.396,24 (anno 2009); c) la segretaria aveva lavorato, nel 2008, circa 11 ore la settimana e, nel 2009, circa 9 ore la settimana; con il terzo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36, 61, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza impugnata, per motivazione apparente, che si limita a illustrare e a prendere in considerazione gli argomenti difensivi dell'Amministrazione finanziaria, senza confrontarli con gli elementi fattuali (enunciati nel precedente motivo) addotti dagli appellanti; con il quarto motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 324 cod. proc. civ., i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non avere dato rilevanza al giudicato esterno, costituito dalla sentenza della CTR della Lombardia (n. 178/2011), divenuta definitiva, che, per l'annualità 2007, aveva negato la sussistenza del presupposto impositivo dell'IRAP (autonoma organizzazione), dopo avere valutato la medesima situazione di fatto oggetto del presente giudizio, ossia che il commercialista si era avvalso (nel 2007) della collaborazione di una segretaria part-time; con il quinto motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, i ricorrenti addebitano alla CTR di non avere preso in considerazione, nonostante le loro richieste, il precedente giudicato che (come suaccennato), per il 2007, aveva escluso, ai fini IRAP, l'esistenza di un'autonoma organizzazione; con il sesto motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36, 61, del d.lgs. n. 546/1992, i ricorrenti deducono che: «La carenza valutativa menzionata nel motivo precedente [...] comporta anche un intollerabile difetto nell'impianto motivazionale della sentenza impugnata.» (cfr. pag. 19 del ricorso per cassazione);

il primo motivo è fondato con conseguente assorbimento dei motivi successivi; è il caso di comporre il quadro degli elementi costitutivi del presupposto impositivo dell'IRAP, secondo il dato normativo e secondo l'interpretazione della giurisprudenza, costituzionale e di legittimità; l'art. 2, del d.lgs. n. 446/1997, stabilisce che il presupposto dell'IRAP, già definita dall'art. 1 come imposta a carattere reale, è l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi; la Corte costituzionale (sentenza n. 156 del 21/05/2001), ribadito che l'IRAP non è un'imposta sul reddito, bensì un'imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, ha rilevato che, mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell'imposta, per difetto del suo necessario presupposto - l'autonoma organizzazione - il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito;

questa Corte di legittimità (Cass. sez. un. 10/05/2016, n. 9451, in continuità con sez. un. 12/5/2009, n. 12108, ma specificando ulteriormente i requisiti dell'impiego del lavoro altrui) ha così delineato i parametri di valutazione di un simile elemento: «con riguardo al presupposto dell'IRAP, il requisito dell'autonoma organizzazione - previsto dall'art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive»; tanto premesso sul versante dei canoni giuridici di riferimento, venendo all'esame del motivo del ricorso, si rileva che la CTR non si è attenuta al dato normativo, ai princìpi di diritto e ai profili di valutazione del presupposto impositivo dell'IRAP appena enunciati giacché, in sostanza, ha erroneamente ravvisato la ricorrenza del presupposto dell'autonoma organizzazione esclusivamente sulla base delle circostanze di fatto - incontestate, ma di per sé insufficienti - che il commercialista, per l'esercizio della propria attività professionale, si fosse avvalso, nel biennio in esame, di una segretaria part-time, che veniva impiegata per poche ore settimanali (11 ore nel 2008; 9 ore nel 2009); le considerazioni precedenti comportano che, accolto il primo motivo, ed assorbiti gli altri, la sentenza sia cassata; non essendo necessaria ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., coll'accoglimento del ricorso introduttivo; per il recente consolidarsi dell'indirizzo giurisprudenziale sopra ricordato, sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese dell'intero giudizio;

PQM

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio; compensa, tra le parti, le spese dell'intero giudizio. Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019

 

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