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Ribaditi i termini di decadenza delle cartelle. Cassazione decide nel merito ed accoglie il ricorso originario proposto dalla società contribuente.

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Estratto: “questa Corte (Cass. civ., 15 febbraio 2017, n. 3987; Cass. civ., 14 luglio 2014, n. 16074; Cass. civ., n. 7274/2014 e n. 956/2014), ha precisato che la legge n. 388 del 2000, art. 138, comma 3, prevede un termine di decadenza (riferito, peraltro, alla data di esecutività del ruolo, e non alla data di notifica la cartella) per l'azione di riscossione delle somme insolute dovute dal contribuente a seguito della regolarizzazione, da effettuare entro il 15 dicembre 2002, prevista dal comma 1 dello stesso articolo e che tale disposizione, dunque, non può in alcun modo valere per far rivivere obbligazioni tributarie per le quali alla menzionata data del 15 dicembre 2002 l'amministrazione finanziaria fosse decaduta dall'azione di riscossione; è stato, in particolare, espresso il principio secondo cui, in tema di riscossione delle imposte sui redditi, la disciplina di cui all'art. 1, decreto legge 17 giugno 2005, n. 106, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 156, relativo alla fissazione dei termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento, trova applicazione anche con riferimento ai tributi dovuti dai contribuenti coinvolti nel sisma del 1990, in quanto la legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 138, comma 3, nel consentire un'ampia rateazione per il versamento di tali tributi, non ha, per ciò solo, prorogato il termine entro cui l'atto impositivo deve essere emesso dall'Ufficio”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Ordinanza n. 33608 del 18 dicembre 2019

rilevato che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l'Agenzia delle entrate aveva notificato in data 31 marzo 2006 a I.C.C. s.r.l. una cartella di pagamento relativa all'omesso pagamento Iva per l'anno 1992;

la società aveva proposto ricorso avverso il suddetto atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catania che lo aveva dichiarato inammissibile in quanto presentato oltre il termine di cui all'art. 21, decreto legislativo n. 546/1992;

avverso la pronuncia del giudice del primo grado aveva proposto appello la società contribuente;

la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha parzialmente accolto l'appello, in particolare ha ritenuto che: il ricorso era stato presentato nei termini di legge, attesa la proroga fino 31 dicembre 2007; non sussisteva alcuna decadenza o prescrizione della pretesa impositiva, in quanto tutte le sospensioni disposte fino al 31 dicembre 2007 avevano efficacia sia nei confronti del contribuente che dell'ufficio finanziario;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte il fallimento di i..C.C. s.r.I., affidato a cinque motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l'Agenzia delle entrate depositando controricorso;

considerato che: con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza di appello ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omessa e insufficiente motivazione, non essendo stati indicati i provvedimenti in forza dei quali era stata disposta la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza fino al 31 dicembre 2007;

il motivo è inammissibile; va premesso che la sentenza censurata è stata pubblicata il 5 dicembre 2012, e che il motivo di ricorso va esaminato alla luce dell'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., nella nuova formulazione introdotta dall'art. 54, comma 1, lett. b), decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica alle sentenze d'appello pubblicate a partire dall'11/09/2012; secondo l'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte: "La riformulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione." (Cass. sez. un. 7/04/2014, n. 8053); nella fattispecie, il giudice del gravame ha espresso la propria valutazione in ordine alla insussistenza della decadenza o della prescrizione della pretesa impositiva, precisando espressamente che, nella fattispecie, doveva tenersi conto della proroga fino al 31 dicembre 2007 i cui effetti riguardavano non solo il contribuente ma anche l'ufficio finanziario; la motivazione del giudice del gravame, quindi, ha chiaramente preso in considerazione la questione prospettata ed argomentato sulle ragioni della tempestività della pretesa, non potendo quindi rilevare la ritenuta insufficienza motivazione prospettata dalla ricorrente ;trattasi, dunque, di una questione di diritto, non censurabile ex art. 360 n. 5.

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 112, cod. proc. civ., e dell'art. 36, decreto legislativo n. 546/1992, per non avere pronunciato sui motivi di appello con i quali si era postulata l'intervenuta decadenza e prescrizione della pretesa impositiva; il motivo è infondato;

la pronuncia impugnata, nel ritenere che le sospensioni disposte sino al 31 dicembre 2007 avevano effetti sia in favore del contribuente che dell'ufficio finanziario ha, in tal modo, dato risposta ai motivi di appello proposti dalla società contribuente, avendo precisato che, attesa la proroga, non era intervenuta alcuna decadenza o prescrizione, sicchè non può essere ravvisata una omessa pronuncia sulla questione in esame;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell'ordinanza ministeriale 21 dicembre 1990, n. 2057, dell'art. 138 della legge n. 388/2000, dell'art. 36-bis, d.P.R. n. 600/1973, degli artt. 17 e 25, d.P.R. n. 602/1973, e dell'art. 1, decreto-legge 106/2005; in particolare, si censura la sentenza: per avere erroneamente ritenuto che la sospensione dei termini operi automaticamente a prescindere dalla prova, a carico dell'amministrazione finanziaria, che il contribuente ha presentato domanda di sospensione; per avere implicitamente ritenuto che gli effetti della sospensione automatica trovavano fondamento sul provvedimento n. 2006/144784 e n. 22/bis dell'8 marzo 2007 dell'Agenzia delle entrate, che avevano previsto la sospensione dell'efficacia delle cartelle fino al 31 dicembre 2007, in quanto gli stessi non avevano riguardo ai termini di decadenza e prescrizione della pretesa impositiva, ma solo all'efficacia delle cartelle di pagamento già emesse; il motivo è fondato; questa Corte (Cass. civ., 15 febbraio 2017, n. 3987; Cass. civ., 14 luglio 2014, n. 16074; Cass. civ., n. 7274/2014 e n. 956/2014), ha precisato che la legge n. 388 del 2000, art. 138, comma 3, prevede un termine di decadenza (riferito, peraltro, alla data di esecutività del ruolo, e non alla data di notifica la cartella) per l'azione di riscossione delle somme insolute dovute dal contribuente a seguito della regolarizzazione, da effettuare entro il 15 dicembre 2002, prevista dal comma 1 dello stesso articolo e che tale disposizione, dunque, non può in alcun modo valere per far rivivere obbligazioni tributarie per le quali alla menzionata data del 15 dicembre 2002 l'amministrazione finanziaria fosse decaduta dall'azione di riscossione; è stato, in particolare, espresso il principio secondo cui, in tema di riscossione delle imposte sui redditi, la disciplina di cui all'art. 1, decreto legge 17 giugno 2005, n. 106, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 156, relativo alla fissazione dei termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento, trova applicazione anche con riferimento ai tributi dovuti dai contribuenti coinvolti nel sisma del 1990, in quanto la legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 138, comma 3, nel consentire un'ampia rateazione per il versamento di tali tributi, non ha, per ciò solo, prorogato il termine entro cui l'atto impositivo deve essere emesso dall'Ufficio; in forza della suddetta previsione normativa, secondo cui la notifica della cartella di pagamento deve essere effettuata a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, la stessa, notificata pacificamente in data 31 marzo 2006, a fronte della dichiarazione presentata nel 1993, è da considerarsi tardiva in quanto la notifica è intervenuta oltre il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, cioè oltre il 31 dicembre 1998; l'accoglimento del presente motivo di ricorso comporta l'assorbimento del quarto motivo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 112, cod. proc. civ., per non avere pronunciato sulla domanda subordinata di applicazione dell'art. 9, comma 17, legge n. 289/2002; del quinto motivo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 112, cod. proc. civ., per non avere pronunciato sul motivo di appello di annullamento della sanzione; in conclusione, il primo motivo è inammissibile, il secondo infondato, il terzo fondato, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito, va accolto il ricorso originario della società contribuente, con compensazione delle spese di lite relative ai giudizi di merito e del presente giudizio, atteso che l'indirizzo giurisprudenziale sulla questione in esame si è formato in data successiva alla presentazione del presente ricorso;

P.Q.M

La Corte: dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, infondato il secondo, accoglie il terzo motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della società contribuente;

compensa le spese di lite relative ai giudizi di merito e del presente giudizio.

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, addì 11 luglio 2019.

 

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