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Massima: Nell'ambito degli accertamenti per fatture soggettivamente inesistenti, laddove il soggetto accertato applichi il reverse charge, l'Ufficio non può invocare, ai fini della ripresa a tassazione dell'IVA, l'art 21, comma 7, del d.P.R. 633/1972, secondo il quale, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, "l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni in fattura". Nel caso dell'applicazione del meccanismo dell'inversione contabile, infatti, nessuna imposta risulta indicata nella fattura”.

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Nel presente articolo analizziamo un caso giurisprudenziale sottoposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale ha annullato gli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle Entrate a seguito di verifica fiscale a carico di un’attività di ristorazione. 

Avvisi formati con metodologia induttiva (ossia desumendo i ricavi dall’entità degli acquisti effettuati a monte). 

Tuttavia, la prospettiva sarà differente rispetto al consueto esame della sentenza. 

Infatti, procederemo ad esaminare la fattispecie, non dalla prospettiva del corpo letterale della sentenza (di cui citiamo gli estremi in calce per chi voglia analizzarne il contenuto), ma dalla prospettiva dei motivi di ricorso. 

Si nota, infine, che nel caso di specie la stessa Agenzia delle Entrate ha ritenuto di non appellare la sentenza di primo grado, che è divenuta definitiva senza necessità di difendere gli interessi dei contribuenti anche in appello. 

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 In questo articolo, esaminiamo, in luogo di una sentenza, le argomentazioni processuali espresse in un caso di:

rettifica del valore di una plusvalenza tramite avviso di accertamento;

avviso di accertamento formato richiamando il precedente avviso di rettifica e liquidazione emesso ai fini dell'imposta di registro.

Argomentazioni processuali che, nel caso in discussione, hanno permesso di ottenere l'annullamento dell'avviso di accertamento, a seguito della mera proposizione del reclamo.

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Estratto: l'imprenditore può legittimamente scegliere gli strumenti ed i settori nei quali pubblicizzare la propria attività e detrarre i relativi costi, se – come nel caso in esame - non è contestata né l'esistenza, né I'ammontare di tali costi, qualora tali costi integrino spese di pubblicità. D'altra parte se i costi qui discussi non fossero inerenti all'attività svolta dalla società ricorrente, essi non potrebbero essere riconosciuti neppure come spese di rappresentanza: la tesi dell'ufficio resistente, che li reputa spese di rappresentanza (anziché di pubblicità), presuppone comunque la loro inerenza. Infine, va osservato che, se l'Agenzia delle entrate avesse voluto eccepire l'indeducibilità dei costi indicati nel contratto a prestazioni corrispettive, concluso tra (omissis) s.r.l. e DD M e C s.n.c.., avrebbe dovuto provare che il contratto era simulato, ma ciò non è avvenuto. Per le suestese ragioni i ricorsi riuniti vanno accolti e, specularmente, gli avvisi d'accertamento annullati, dovendosi ritenere che i costi qui controversi integrino spese di pubblicità”.

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Estratto: “Questa Corte, in controversie similari, ha avuto modo di affermare il principio secondo il quale «Nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall'art. 7 del d. lgs. n. 546 del 1992 si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorre a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice» (cfr. Cass. sez. 5, 7 aprile 2017, n. 9080; Cass. sez. 5, 5 aprile 2013, n. 8639). Ciò, analogamente, vale per il contribuente (cfr. Cass. sez. 5, 21 gennaio 2015, n. 960), il quale, nella fattispecie in esame - per resistere ad accertamento di maggiori ricavi e dunque di maggior reddito d'impresa per l'anno di riferimento, nascente da accordo intervenuto tra l'Amministrazione finanziaria ed il Consorzio XXX, del quale il XXX, esercente impresa di servizi funebri, è consorziato, in virtù del quale l'Amministrazione aveva stimato induttivamente un prezzo medio ponderato di € 2500,00 a funerale - aveva prodotto, già in sede di accertamento con adesione, quarantadue dichiarazioni di terzi che confermavano i costi inferiori fatturati riguardo alle esequie alle quali le suddette fatture si riferivano.

L'attribuzione di valenza indiziaria delle dichiarazioni di terzi anche in favore del contribuente è peraltro funzionale al dispiegarsi del giusto processo ex art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla 1. 4 agosto 1955, n. 848, per quanto attiene all'irrogazione nel processo tributario di sanzioni assimilabili a quelle penali (cfr. Cass. sez. 6- 5 ord. 28 aprile, 2015, n. 8606 e la giurisprudenza della Corte EDU ivi richiamata, tra cui Corte EDU 23 novembre 2006, Jussilla contro Finlandia, e 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia)”.

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Con la sentenza n. 769 n. 2017 i Giudici della Commissione Tributaria Regionale di Milano hanno rigettato l'appello dell'Agenzia delle Entrate, già soccombente in primo grado, che aveva presunto maggiori redditi in capo ad un negozio di abbigliamento.

Il negozio, prossimo alla chiusura, nell'anno in discussione aveva già tuttavia iniziato a liquidare la merce con le vendite promozionali. Dunque non si trovava in un periodo di normale svolgimento dell'attività.

Al riguardo l'articolo 10 della Legge 146/1998 esclude l'applicabilità degli studi di settore nei confronti di contribuenti che si trovino in un periodo di non normale svolgimento dell'attività.

I giudici di secondo grado hanno dunque confermato l'annullamento integrale dell'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate, ed il contribuente non sarà più tenuto al pagamento.

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All'interno delle pronunce giurisprudenziali oggi commentate si riconosce che, ai fini dell'annullamento di un accertamento redditometrico, è sufficiente che il contribuente provi la precedente sussistenza di disponibilità rispetto al periodo d'imposta mentre non è necessario che lo stesso dimostri l'utilizzo esattamente di tali disponibilità per sostenere le spese alla base dell'accertamento redditometrico.

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Nella fattispecie esaminata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia era stato contestato ad una serie di contribuenti l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con ogni conseguente riflesso in termini impositivi e sanzionatori. 

La ragione che ha determinato l’annullamento degli avvisi in esito al procedimento di appello è, in tale ipotesi, unicamente formale: era invalida, a monte, la delega del funzionario firmatario. Inoltre le ulteriori deleghe rivendicate dall'Erario non erano state depositate in giudizio da parte dell’Agenzia delle Entrate (gravata di tale onere).

Pertanto, la fattispecie in esame costituisce un chiaro esempio dei casi in cui l’invalidità nel procedimento di formazione di un atto, da un lato, ed il contegno processuale dell'Agenzia delle Entrate, dall’altro lato, possano giustificare l’annullamento di un avviso di accertamento.

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Nel caso in discussione l'Agenzia delle Entrate contestava l'inesistenza soggettiva delle operazioni ma non allegava puntualmente le ragioni di fatto per le quali le fatture medesime dovevano considerarsi “soggettivamente inesistenti”, come invero asserito (ma evidentemente non provato).

Tale onere probatorio spettava all'Erario.

La contestazione pertanto è stata ritenuta non provata.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate.

Estratto: “A ben vedere dunque lo sviluppo della censura in realtà non configura il vizio di legittimità dedotto, bensì critiche, anche a-specifiche, alle valutazioni di merito della sentenza impugnata, così ponendosi tuttavia in chiaro contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “In tema di ricorso per Cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015).Per altro verso va ancora osservato il difetto di autosufficienza del mezzo dedotto dall'agenzia fiscale, poiché al di la delle ragioni di diritto addotte in astratto, non vi è la puntuale allegazione delle ragioni di fatto per le quali le fatture in contestazione debbano considerarsi “soggettivamente inesistenti”. Il ricorso va dunque rigettato”.

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La Corte di Cassazione, all'interno della pronuncia in esame, ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate che si doleva dell'annullamento dell'avviso di accertamento da parte della Commissione Tributaria.

Nel caso in discussione il soggetto che aveva emesso le fatture aveva dappoi dichiarato che le stesse erano false e da tale dichiarazione aveva preso avvio la verifica nei confronti del contribuente, il quale aveva ovviamente utilizzato tali costi in diminuzione del reddito imponibile. Queste sole dichiarazioni, tuttavia, sono state ritenute dai Giudici insufficienti a dimostrare, da sole, l'utilizzo di false fatture.

L'annullamento è stato confermato anche dalla Cassazione e le somme di cui all'avviso non devono essere corrisposte.

Massima: “La CTR ha infatti ritenuto che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, le dichiarazioni del terzo fossero di per se, in assenza di ulteriori riscontri, inidonee a fondare la prova dell'utilizzazione da parte della contribuente di fatture per operazioni inesistenti anche in considerazione delle risultanze contabili e bancarie e degli assegni emessi in favore del terzo (presunto emittente delle fatture fittizie) che risultano personalmente riscossi dal beneficiario. Tale valutazione di fatto, fondato sull'esame delle risultanze istruttorie, è riservata al giudice di merito e non appare sindacabile nel presente giudizio”.

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