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Estratto: “Censura la sentenza impugnata per avere la CTR negato rilievo al contributo di € 35.000,00 versato dal suocero mediante bonifico bancario sulla base dell'erroneo presupposto che la contribuente fosse tenuta a dimostrare l'effettivo impiego della somma per il sostenimento delle spese nell'anno di imposta in considerazione. Preliminarmente va disattesa la richiesta di riunione al ricorso per cassazione — fissato per l'odierna camera di consiglio — relativo ad altra pronuncia emessa dalla Commissione tributaria regionale della Liguria in relazione ad avviso di accertamento per l'anno di imposta 2007, in considerazione dei profili di ordine processuale che investono esclusivamente il ricorso relativo al suddetto anno di imposta. Il ricorso è fondato.”

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Estratto: “contesta i presupposti dell'accertamento induttivo, poiché non sarebbe arrivata la richiesta di rendere chiarimenti ed esibire documenti, la cui mancata ottemperanza ha fatto scaturire l'accertamento de quo. Il motivo è fondato ed assorbente, perché dagli atti emerge non esservi proprio certezza (né motivazione) sulla consegna della richiesta di esibizione e/o invito al contraddittorio”.

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Estratto: “- il motivo è inammissibile perché inosservante del principio di autosufficienza: l'Ufficio, infatti, si limita a dedurre l'esistenza di elementi idonei a provare la qualità di cartiere da parte delle società venditrici ma non riproduce (quantomeno per le parti essenziali) né l'avviso di accertamento, né il pvc; né può ritenersi sufficiente, a tal fine, la mera riproduzione di alcuni stralci dell'atto di appello, poiché anche da esso risulta solamente la mera deduzione di siffatti elementi e non anche la chiara e testuale riproduzione degli atti rilevanti, sicché non è neppure in grado di incidere sulla statuizione della CTR secondo la quale «non è stata fornita prova alcuna di vendite a prezzi inferiori a quelli di mercato o dimostrato che potessero intercorrere operazioni non reali»”.

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Estratto: “la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 149 e 182 cod. proc. civ., della legge n. 890 del 1982, nonché degli artt. 16, 20, 22 e 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto la sentenza impugnata è stata emessa, nella sua dichiarata contumacia, nonostante l'omessa prova della notifica dell'atto di appello, dalla quale derivava l'inammissibilità del gravame in ragione della mancanza di una valida costituzione del contraddittorio. 2. Il motivo è fondato. Emerge infatti dall'esame degli atti di causa (…) che l'Agenzia delle Entrate ha prodotto in appello non già la cartolina di avvenuta notifica dell'atto di gravame, ma una mera reversale di invio di posta in uscita”.

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Estratto: “l’avviso di accertamento è immotivato perché enuncia genericamente l’inesistenza delle operazioni come derivanti da fatture per operazioni apparenti emesse a carico della società T., senza neppure individuare le fatture ritenute fittizie. In mancanza dell’allegazione degli elementi sintomatici potenzialmente capaci di consentire al cessionario o committente di rendersi conto o, almeno, di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione e degli elementi indiziari idonee a giustificare la contestazione dell’Ufficio, non può gravare sul contribuente l’onere di provare, in applicazione di principi ordinari sull’onere della prova vigenti nel nostro ordinamento (art. 2697 c.c.), di non essere a conoscenza della inesistenza di fatture a monte”.

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Massima: “Deve essere riformata la sentenza di 1° Grado che si sia limitata a condividere le argomentazioni dell'Ufficio senza spiegare i motivi di tale adesione e non indichi il percorso logico-giuridico seguito per avvalorare le affermazioni dell'Ufficio. Non risulta provata la frode carosello e la insussistenza delle operazioni intervenute ove le partite iva degli operatori intracomunitari siano state identificate con il sistema VIES”.

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Estratto: “Correttamente l'appellante lamenta che la CTP non ha valutato le argomentazioni prospettate in punto conoscibilità della frode e non ha offerto una risposta al quesito circa il comportamento che avrebbe dovuto tenere per rendersi conto che l'effettivo cedente era diverso dal fatturante. Le circostanze evidenziate nella sentenza che richiama quelle indicate nell'avviso di accertamento e sopra richiamate nelle controdeduzioni dell'appellata Agenzia non sono significative. Non assume particolare rilievo la circostanza che la società cartiera fosse priva di magazzino talché la merce era spedita direttamente dai fornitori comunitari al destinatario, atteso che è frequente nella realtà imprenditoriale che operino ditte che effettuano ingrosso senza magazzino e come tali iscritte alla Camera di Commercio. D'altra parte la C. s.r.l. non aveva certo i poteri investigativi della Guardia di Finanza grazie ai quali è stata accertata la frode né aveva il dovere di effettuare verifiche sulla effettiva esistenza di strutture operative della ditta fornitrice”.

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Estratto: “Il valore di transazione resta il metodo prioritario di determinazione, in quanto è considerato il più adatto ed il più frequentemente utilizzato.

Per disattenderlo, occorre che:

- l'amministrazione abbia fondati dubbi che esso sia inattendibile;

- i dubbi persistano, anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all'interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi;

- l'amministrazione ricorra in primo luogo ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari, ossia a quelli stabiliti dall'art. 30 del codice doganale comunitario, in successione”.

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Estratto: “in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l'Amministrazione deve provare sia l'alterità soggettiva dell'imputazione delle operazioni, sia che il cessionario sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che la cessione si inseriva in un'evasione Iva. La circostanza che l'operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell'Iva non comporta, infatti, ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione, attesa l'esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se «non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l'operazione interessata si collocava nell'ambito di un'evasione commessa dal fornitore o che un'altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell'Iva”.

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Estratto: “appare, quindi, eccessivamente restrittiva l'interpretazione della C.T.R. della Lombardia, che ritiene rilevante, ai fini della prova contraria, unicamente il rendiconto annuale della banca, da cui è dato evincere se vi sia stata ritenuta alla fonte sui redditi da capitale. Ed invero, il contribuente può fornire idonea documentazione, da cui il giudice può trarre indici sintomatici della riferibilità delle spese contestate a maggiori redditi esenti o tassati alla fonte, di cui lo stesso contribuente abbia avuto disponibilità nel periodo di imposta”.

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