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Massima: “A fronte dell'esibizione della fattura, spetta all'Ufficio provare il difetto delle condizioni per la detrazione o la deduzione, e, secondo i principi generali in materia, tale dimostrazione può essere fornita con presunzioni semplici (Conf. Cass. n. 9108/2012). Spetta all'Amministrazione finanziaria dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in un'evasione commessa dal fornitore (Conf. Cass. nn. 23560/2012 e 24426/2013)”.

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Nel presente articolo analizziamo un caso giurisprudenziale sottoposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale ha annullato gli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle Entrate a seguito di verifica fiscale a carico di un’attività di ristorazione. 

Avvisi formati con metodologia induttiva (ossia desumendo i ricavi dall’entità degli acquisti effettuati a monte). 

Tuttavia, la prospettiva sarà differente rispetto al consueto esame della sentenza. 

Infatti, procederemo ad esaminare la fattispecie, non dalla prospettiva del corpo letterale della sentenza (di cui citiamo gli estremi in calce per chi voglia analizzarne il contenuto), ma dalla prospettiva dei motivi di ricorso. 

Si nota, infine, che nel caso di specie la stessa Agenzia delle Entrate ha ritenuto di non appellare la sentenza di primo grado, che è divenuta definitiva senza necessità di difendere gli interessi dei contribuenti anche in appello. 

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 In questo articolo, esaminiamo, in luogo di una sentenza, le argomentazioni processuali espresse in un caso di:

rettifica del valore di una plusvalenza tramite avviso di accertamento;

avviso di accertamento formato richiamando il precedente avviso di rettifica e liquidazione emesso ai fini dell'imposta di registro.

Argomentazioni processuali che, nel caso in discussione, hanno permesso di ottenere l'annullamento dell'avviso di accertamento, a seguito della mera proposizione del reclamo.

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Estratto: l'imprenditore può legittimamente scegliere gli strumenti ed i settori nei quali pubblicizzare la propria attività e detrarre i relativi costi, se – come nel caso in esame - non è contestata né l'esistenza, né I'ammontare di tali costi, qualora tali costi integrino spese di pubblicità. D'altra parte se i costi qui discussi non fossero inerenti all'attività svolta dalla società ricorrente, essi non potrebbero essere riconosciuti neppure come spese di rappresentanza: la tesi dell'ufficio resistente, che li reputa spese di rappresentanza (anziché di pubblicità), presuppone comunque la loro inerenza. Infine, va osservato che, se l'Agenzia delle entrate avesse voluto eccepire l'indeducibilità dei costi indicati nel contratto a prestazioni corrispettive, concluso tra (omissis) s.r.l. e DD M e C s.n.c.., avrebbe dovuto provare che il contratto era simulato, ma ciò non è avvenuto. Per le suestese ragioni i ricorsi riuniti vanno accolti e, specularmente, gli avvisi d'accertamento annullati, dovendosi ritenere che i costi qui controversi integrino spese di pubblicità”.

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Estratto: “Appare preliminare affrontare la fondatezza della sollevata prescrizione del credito azionato dall'Ufficio. Nel caso in esame devono essere applicati i seguenti principi di diritto, applicabili mutatis mutandis, al di là della fattispecie di riferimento , secondo i quali la scadenza del termine - pacificamente perentorio, nel caso di specie - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della 1. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 c.c.” 

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La Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha annullato un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società di catering che aveva portato in deduzione costi relativi a servizi resi dalla propria capogruppo.

In particolare, a parere dell’Agenzia delle Entrate, i costi sostenuti dalla società italiana, a fronte di servizi resi dalla capogruppo, non erano sufficientemente documentati.

Eppure, a seguito della redazione del PVC, la ricorrente aveva offerto maggiori delucidazioni in ordine ai costi sostenuti, e ciò all’interno delle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000.

La Commissione Tributaria ha ribadito che le osservazioni devono essere valutate all’interno dell’avviso, e se tale attività è omessa l’avviso stesso è nullo.

D’altronde non avrebbe senso riconoscere al contribuente il diritto di presentare le osservazioni se l’Ufficio potesse non esaminarle e redigere l’avviso negli stessi termini in cui l’avrebbe redatto se le stesse non fossero mai state depositate.

Tale vizio formale ha dunque giustificato la dichiarazione di annullamento dell’avviso.

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Nella pronuncia in esame la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che in caso di fatture emesse a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti il contribuente può legittimamente dedurre i costi sostenuti, anche nell’ipotesi in cui fosse stato consapevole della falsità soggettiva.

Estratto: “l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità”.

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Nel caso esaminato dalla sentenza in discussione, la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto doveroso annullare in toto un avviso di accertamento con cui si contestava la registrazione nella contabilità sociale di una fattura ritenuta emessa a fronte di un’operazione oggettivamente inesistente.

In sede penale, il PM aveva richiesto l’archiviazione, non ritenendo potesse essere provata la fittizietà dell’operazione. Circostanza che i Giudici Tributari non hanno mancato di considerare.

Se infatti è vero che i due processi sono separati, l’archiviazione penale può ben costituire elemento di valutazione da parte delle Commissioni Tributarie.

In definitiva, la CTR ha ritenuto l’atto meritevole di integrale annullamento, e qualsiasi pretesa di pagamento è venuta meno.

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Estratto: "L'Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare i presupposti della responsabilità dei soci nei confronti dei quali agisce, anche nei limiti di cui all'art. 2495 c.c. e, cioè che, in concreto, vi sia stata distribuzione dell'attivo e che una quota di quest'ultimo sia stata effettivamente riscossa".

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Nella fattispecie esaminata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia era stato contestato ad una serie di contribuenti l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con ogni conseguente riflesso in termini impositivi e sanzionatori. 

La ragione che ha determinato l’annullamento degli avvisi in esito al procedimento di appello è, in tale ipotesi, unicamente formale: era invalida, a monte, la delega del funzionario firmatario. Inoltre le ulteriori deleghe rivendicate dall'Erario non erano state depositate in giudizio da parte dell’Agenzia delle Entrate (gravata di tale onere).

Pertanto, la fattispecie in esame costituisce un chiaro esempio dei casi in cui l’invalidità nel procedimento di formazione di un atto, da un lato, ed il contegno processuale dell'Agenzia delle Entrate, dall’altro lato, possano giustificare l’annullamento di un avviso di accertamento.

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