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Estratto: “la CTR ha fatto corretta applicazione delle norme e dei principi testè indicati poichè ha ritenuto, con giudizio in fatto che può essere sindacato solamente sotto il profilo del vizio di motivazione, che l'accertamento dell'amministrazione non era basato su presunzioni gravi, precise e concordanti che rivelassero l'annotazione di fatture per operazioni inesistenti”.

Estratto: “Questo tema è stato trattato dalla Sezione (sent. 11398/2015, ripresa in ord. 28.06.2017 n. 16128), ove ben si distingue tra bonus «quantitativi» che fanno parte dell'attività tipica del concessionario, qual è appunto la vendita di auto, e che quindi sono soggetti ad Iva, separandoli dai bonus «qualitativi» in cui vi è una promessa unilaterale del concedente ed il bonus non è il «prezzo» dell'adeguamento del concessionario agli standards proposti dal concedente, seppure -avvisa la Sezione- in tali ipotesi occorre guardare al contratto per inquadrare correttamente il profilo civilistico da cui far discendere il momento fiscale; ed in questo senso costituiscono indici probatori il potere coercitivo esercitabile dalla concessionaria per ottenere l'adempimento delle obbligazioni, oppure il carattere automatico del bonus al verificarsi di fatti estranei alla volontà delle parti, ovvero l'estraneità del risultato alla disponibilità delle parti”.

Estratto: “Ove anche fosse infatti vero che le trattative siano state condotte da soggetti diversi dai donatari (ed anzi esse potrebbero essere state condotte addirittura dallo stesso donante), questo elemento sarebbe perfettamente compatibile con il negozio di donazione e con la volontà del donante di beneficiare i donatari utilizzando uno strumento che all'epoca era consentito ... il donante bene potrebbe avere condotto le trattative con l'acquirente nella consapevolezza che il vantaggio economico da esse derivanti sarebbe poi stato riversato sui donatari. In questo senso, l'elemento citato dalla CTP, e cioè che i denari derivanti dalla vendita siano stati incassati dai donatari porta, per via logica a concludere inequivocabilmente che, in effetti, il donante abbia voluto beneficiare i donatari”.

Estratto: “incombe sull'Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale”.

Nel presente articolo analizziamo un caso giurisprudenziale sottoposto alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, la quale ha annullato l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate a seguito di verifica fiscale a carico di un avvocato, con cui si intimava il pagamento di ingenti somme sulla base del redditometro.

Tuttavia, la prospettiva sarà differente rispetto al consueto esame della sentenza.

Infatti, procederemo, come in precedenti occasioni, ad esaminare la fattispecie, non dalla prospettiva del corpo letterale della sentenza (di cui citiamo gli estremi in calce per chi voglia analizzarne il contenuto), ma dalla prospettiva difensiva, analizzando le argomentazioni sviluppate nella memoria da noi predisposta.

Si nota, infine, che nel caso di specie la stessa Agenzia delle Entrate, riconoscendo implicitamente la bontà della pronuncia, ha ritenuto di non appellare la sentenza di secondo grado, che è divenuta definitiva senza necessità di difendere gli interessi dei contribuenti anche in Cassazione.

Massima: “La garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, previsto come obbligatorio dall'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, si applica a tutte le verifiche che comportino un accesso presso la sede del contribuente, anche se finalizzato solo all'acquisizione di documenti, essendo irrilevante che l'accertamento si basi anche o soprattutto su accertamenti a tavolino, come possono essere quelli bancari sui conti correnti del verificato. Nella fattispecie, una Società veniva sottoposta a verifica fiscale, durante la quale venivano eseguiti prima dei controlli sulle movimentazioni bancarie relative al conto corrente, poi un accesso presso i locali, dove veniva acquisita della documentazione contabile finalizzata al riscontro delle risultanze bancarie. L'avviso di accertamento conseguentemente emesso, si profilava in palese contrasto con l'art. 12, comma 7, della legge citata, per inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni previsto per l'emanazione dell'atto amministrativo, termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni. L'illegittimità dell'atto impositivo emesso "ante tempus" è determinata dal mancato dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva”.

Analisi di tecniche e strategie utilizzabili nel processo per meglio argomentare in ordine alla bontà delle nostre ragioni.

Massima: “Non costituiscono elementi sufficienti, ai fini della sussistenza del presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione di un professionista, i costi dedotti dall'imponibile. Ciò nella considerazione che il valore assoluto dei compensi e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione”.

Massima: “L'utilizzo da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella indicata negli studi di settore, in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, non costituisce da sola una circostanza grave, precisa e concordante idonea a fondare un accertamento. Inoltre occorre valutare la situazione concreta in cui il contribuente opera, senza considerare solo l'indice di reddittività media del settore. Nel caso di specie, ad una società, con contabilità regolare, veniva notificato un avviso di accertamento ai fini IVA e delle imposte dirette con il quale si contestava l'omessa contabilizzazione di corrispettivi e l'illegittima detrazione di costi, e venivano ricalcolati i ricavi in base ad una percentuale di ricarico indicata negli studi di settore di categoria, con rideterminazione induttiva del reddito. In presenza di una regolarità contabile non è sufficiente per l'accertamento di un maggior reddito la sola applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella risultante dagli studi di settore in quanto quest'ultima non costituisce in ogni caso un fatto noto sul quale fondare poi la pretesa, ma solo un dato statistico inidoneo da solo ad integrare gli estremi di una prova anche solo presuntiva. Occorrono infatti altri elementi per contestare l'attendibilità della dichiarazione del contribuente, i quali devono consistere in circostanze gravi, precise e concordanti”.

Estratto: “spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", l'onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 2697 c.c, "l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità”.