Di seguito il testo del decreto legislativo n. 74 del 2000 che indica quali condotte integrano un reato tributario e le pene previste in dipendenza della commissione di tali reati.
Massima: “Per la teoria del doppio binario, il giudice tributario non può acriticamente recepire le conclusioni alle quali è arrivato il giudice penale: ciò non vuol dire però che in ogni caso non debba valutare il materiale probatorio acquisito agli atti ed il contenuto della sentenza penale, che costituisce un elemento di prova da rapportare alle ulteriori risultanze istruttorie. Nella fattispecie, una Società riceveva avvisi di accertamento per tre annualità, con recupero a tassazione ai fini delle imposte dirette e dell'IVA. La contestazione riguardava la contabilizzazione di fatture considerate oggettivamente inesistenti, emesse da un'impresa ritenuta una mera cartiera dall'Ufficio. Nel corso del giudizio era stata considerata irrilevante la sentenza di assoluzione penale nel parallelo processo avente ad oggetto gli stessi fatti di causa, riguardando un altro giudizio diverso da quello tributario. Sebbene sul punto non esista alcuna efficacia vincolante del giudicato penale per il giudizio tributario, in ogni caso il giudice è tenuto nell'esercizio dei propri poteri ad una valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti. Deve pertanto procedere ad un apprezzamento anche del contenuto della decisione penale, ponendola a confronto con altri elementi di prova acquisiti”.
Estratto: “il giudice di appello non si è attenuto ai suddetti principi, in quanto, con riferimento alle imposte dirette e all’Irap, non ha verificato se il contribuente avesse assolto all’onere di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, fossero anch’essi fittizi, affinché detti componenti positivi andassero esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa”.
Raccolta di sentenze favorevoli alle ragioni del contribuente in casi in cui veniva contestato l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13330 del 2017, ha rigettato il ricorso per cassazione dell'Agenzia delle Entrate, che si lamentava dell'annullamento da parte dei Giudici di merito degli avvisi di accertamento emessi nei confronti di una società edile, a cui era stato contestato l'utilizzo di fatture a fronte di operazioni inesistenti.
Le indagini condotte dall'Agenzia delle Entrate avrebbero rilevato una discrepanza tra gli importi delle fatture e i movimenti in uscita sul conto corrente bancario della società.
In giudizio il contribuente aveva tuttavia offerto la prova dell'effettività delle prestazioni ed aveva altresì compiutamente delineato le modalità di pagamento delle prestazioni. In particolare, parte dei compensi erano stati corrisposti in contanti, ragion per cui i movimenti bancari riportavano un importo inferiore rispetto a quello delle fatture.
Dopo le corti di merito anche la Corte di Cassazione dà ragione al contribuente, confermando l'annullamento degli avvisi.
La CTR della Lombardia, con la pronuncia in esame, ha annullato gli avvisi emessi dall'Agenzia delle Entrate sulla base di un rilievo con cui si contestava l'oggettiva inesistenza delle operazioni indicate in fattura, in quanto emessi tardivamente (successivamente rispetto al termine di decadenza di cui all'art. 43 n. 600 del 1973).
Ad avviso dell'Agenzia delle Entrate la stessa sarebbe stato ancora in tempo, in quanto, avendo ella presentato la denuncia penale, i termini dovevano intendersi raddoppiati.
Di contrario avviso la CTR della Lombardia, che ha annullato gli avvisi dato che con la L. 208/2015 lo stesso Legislatore ha specificato che, ai fini del raddoppio dei termini per l'emissione dell'avviso, la stessa denuncia deve essere tempestiva, deve cioè rispettare i termini decadenziali ordinari.
Massima: “L'art. 1, commi 130, 131 e 132, legge 208/2015 ha implicitamente abrogato il regime transitorio dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. 128/2015 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 247/2011 non è vincolante sia perché di rigetto sia perché intervenuta prima delle evoluzioni normative sopra citate. Ne discende che, ai fini della legittima applicazione del raddoppio dei termini per l'accertamento, la presentazione della denuncia debba avvenire entro i termini decadenziali ordinari dell'accertamento stesso. Una diversa e contraria conclusione comporterebbe la violazione del principio di certezza dei rapporti giuridici e dell'art. 24 della Costituzione, sottoponendo il contribuente ad un procedimento sanzionatorio attivabile "sine die" (Contra Cass. n. 16728/2016)”.
Estratto: “l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità”.
Nella fattispecie esaminata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia era stato contestato ad una serie di contribuenti l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con ogni conseguente riflesso in termini impositivi e sanzionatori.
La ragione che ha determinato l’annullamento degli avvisi in esito al procedimento di appello è, in tale ipotesi, unicamente formale: era invalida, a monte, la delega del funzionario firmatario. Inoltre le ulteriori deleghe rivendicate dall'Erario non erano state depositate in giudizio da parte dell’Agenzia delle Entrate (gravata di tale onere).
Pertanto, la fattispecie in esame costituisce un chiaro esempio dei casi in cui l’invalidità nel procedimento di formazione di un atto, da un lato, ed il contegno processuale dell'Agenzia delle Entrate, dall’altro lato, possano giustificare l’annullamento di un avviso di accertamento.
Nel caso in discussione l'Agenzia delle Entrate contestava l'inesistenza soggettiva delle operazioni ma non allegava puntualmente le ragioni di fatto per le quali le fatture medesime dovevano considerarsi “soggettivamente inesistenti”, come invero asserito (ma evidentemente non provato).
Tale onere probatorio spettava all'Erario.
La contestazione pertanto è stata ritenuta non provata.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate.
Estratto: “A ben vedere dunque lo sviluppo della censura in realtà non configura il vizio di legittimità dedotto, bensì critiche, anche a-specifiche, alle valutazioni di merito della sentenza impugnata, così ponendosi tuttavia in chiaro contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “In tema di ricorso per Cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015).Per altro verso va ancora osservato il difetto di autosufficienza del mezzo dedotto dall'agenzia fiscale, poiché al di la delle ragioni di diritto addotte in astratto, non vi è la puntuale allegazione delle ragioni di fatto per le quali le fatture in contestazione debbano considerarsi “soggettivamente inesistenti”. Il ricorso va dunque rigettato”.
La Corte di Cassazione, all'interno della pronuncia in esame, ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate che si doleva dell'annullamento dell'avviso di accertamento da parte della Commissione Tributaria.
Nel caso in discussione il soggetto che aveva emesso le fatture aveva dappoi dichiarato che le stesse erano false e da tale dichiarazione aveva preso avvio la verifica nei confronti del contribuente, il quale aveva ovviamente utilizzato tali costi in diminuzione del reddito imponibile. Queste sole dichiarazioni, tuttavia, sono state ritenute dai Giudici insufficienti a dimostrare, da sole, l'utilizzo di false fatture.
L'annullamento è stato confermato anche dalla Cassazione e le somme di cui all'avviso non devono essere corrisposte.
Massima: “La CTR ha infatti ritenuto che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, le dichiarazioni del terzo fossero di per se, in assenza di ulteriori riscontri, inidonee a fondare la prova dell'utilizzazione da parte della contribuente di fatture per operazioni inesistenti anche in considerazione delle risultanze contabili e bancarie e degli assegni emessi in favore del terzo (presunto emittente delle fatture fittizie) che risultano personalmente riscossi dal beneficiario. Tale valutazione di fatto, fondato sull'esame delle risultanze istruttorie, è riservata al giudice di merito e non appare sindacabile nel presente giudizio”.