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Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 14
Sentenza del 11/03/2019 n. 1113 -
OGGETTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L'Agenzia delle Entrate ha adottato l'avviso di liquidazione xxxxxxxxxxxxxxx, nei confronti della G.I. s.r.l., corrente in Milano, a fronte della liquidazione di un decreto di ingiunzione, emesso dal Tribunale di Milano, il xx xx 20xx, a carico di E. s.r.l.
2. L'Ufficio ha liquidato l'imposta suddetta come segue:
- quanto ad euro 168,00, in misura fissa, ai sensi dell'art. 40, comma 1, DPR 26 ottobre 1986, n. 131;
- quanto ad euro 793,15, per l'enunciazione di atto di natura dichiarativa, nella misura del 3 per cento della Tariffa, Parte I, allegata al suddetto DPR n. 131/1986;
- quanto ad euro 168,00, per la disposizione di condanna al capitale, soggetto ad IVA, in misura fissa, ex art. 41, comma 1, DPR n. 131 /1986, e dell'art. 8, comma 1, lett. b), della Nota 11;
- quanto ad euro 1.842,72, per la condanna agli interessi di mora, liquidati in misura proporzionale.
3. Mediante tempestivo ricorso, la G.I. s.r.l., ai sensi degli artt. 18 ss. D. L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, ha adito la Commissione Tributaria Provinciale di Milano e, per l'effetto, è insorta avverso il suddetto atto impositivo del quale ha richiesto l'annullamento, lamentando che l'imposta non fosse dovuta in misura proporzionale, in quanto il credito ingiunto era già assoggettato ad IVA.
4. L'Ufficio territoriale dell' Agenzia delle entrate, si è costituito nel giudizio di prime cure, ai sensi dell'art. 23 del già citato D. L.vo n. 546/1992, al fine di resistere al ricorso proposto, conseguendone il rigetto, con il favore delle spese processuali.
5. Con sentenza n. 5001, depositata il 9 giugno 2016, il Collegio provinciale adito ha integralmente accolto il ricorso proposto, con la condanna alle spese della parte soccombente, liquidate in euro 500,00, giudicando dovuto il pagamento dell'imposta non già nella misura proporzionale, pari all'uno per cento, ma in quella fissa.
6. Tale convincimento è stato espresso dal primo giudice, rilevando che l'atto ritenuto enunciativo di un credito, in realtà, era costituito da un atto della debitrice, portante un piano di pagamento delle fatture rimaste insolute, con l'effetto che tale atto non poteva ritenersi novativo del rapporto sottostante, anche alla stregua di quanto precisato nella Circolare amministrativa n. 34/E/2001 dell'Agenzia delle Entrate.
7. Il primo dictum ha ritenuto, pertanto, che "la tassazione a cui andava assoggettato l'atto enunciato nel testo del ricorso per decreto ingiuntivo, ex art. 22 DPR 131 /1986 fosse da applicarsi in misura fissa (euro 168,00), in quanto relativo ad operazioni già soggette ad IVA (ex art. 40 DPR 131/1986)".
8. Avverso tale decisum l'Amministrazione finanziaria ha interposto impugnazione, ai sensi degli artt. 52 ss. del D. L.vo n. 546/1992, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, onde conseguirne l'integrale riforma, con il favore delle spese di lite, previa discussione in pubblica udienza.
9. A sostegno del gravame proposto, l'Agenzia appellante ha articolato un'unica censura, lamentando la "violazione e falsa applicazione dell'imposta proporzionale di registro ex art. 22 DPR 131/86 e art. 3 della Tariffa Parte I allegata al DPR n. 131 /1986.
10. Mediante controdeduzioni, ex art. 54, comma 1, D. L.vo n. 546/1992, depositate il 24 febbraio 2017, la società appellata si è ritualmente costituita nel giudizio d'appello, per resistere all'impugnazione interposta, chiedendone il rigetto, con la conferma della sentenza appellata e il favore delle spese.
11. All'udienza pubblica tenutasi il 22 febbraio 2019, udito il relatore, sentiti i difensori delle parti, letti gli atti difensivi e visti i documenti prodotti, la controversia è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
12. L'oggetto della presente controversia è contrassegnato dall'identificazione della misura dovuta dell'imposta di registro:
- ritenuta unicamente fissa dalla contribuente, in ragione dell'alternatività tra IVA e imposta di registro, ex art. 40 DPR n. 131 /1986;
- e ritenuta proporzionale, invece, dall'Ufficio, secondo cui la scrittura privata invocata implicherebbe l'applicazione dell'aliquota proporzionale.
13. Giova rilevare, in proposito, come l'art. 40, I alinea, prima parte, del citato DPR n. 131/1986, disponga che: "Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all'imposta sul valore aggiunto, l'imposta si applica in misura fissa", in applicazione del principio dell'alternatività tra IVA e imposta proporzionale di registro.
14. Merita anche ricordare, come ha ribadito, di recente, la Suprema Corte, che: "La ricognizione di debito, ex art. 1988 c.c. va qualificata come mera dichiarazione di scienza, con la quale si «conferma» la sussistenza di un rapporto preesistente, sorto in relazione a precedenti contratti stipulati tra le parti, con l'effetto che detta dichiarazione non genera (né può generare per essere tale) una nuova obbligazione, bensì rappresenta un semplice riconoscimento degli effetti economici di questi ultimi atti".
15. Ancora, ha precisato la medesima pronunzia della Corte regolatrice che: "la ricognizione di debito - non essendo un atto avente a oggetto contenuto patrimoniale - è di per sé da sottoporre a imposta di registro in misura fissa e non proporzionale. Quanto scritto vale a maggior ragione nel momento in cui l'operazione sottostante cui si riferisce la ricognizione di debito sia soggetta a IVA, giacché l'esclusione da un'applicazione dell'imposta di registro in misura proporzionale sarebbe nondimeno «preclusa» per il principio di alternatività tra IVA e imposta di registro, previsto dall'art. 40 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131" (Cass., Sez. trib., 11 gennaio 2018, n. 481).
16. Va soggiunto, altresì, come ha rilevato l'appellante nelle proprie controdeduzioni, a p. 6, che la scrittura invocata dall'Erario integra un atto unilaterale riportante unicamente l'indicazione delle nuove date di scadenza dei pagamenti delle fatture, senza alcuna effetto accrescitivo o diminutivo dei crediti complessivamente fatti valere in via monitoria.
17. Per converso, il giudice della nomofilachia ha puntualizzato che: "La novazione oggettiva del rapporto obbligatorio postula il mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione, ai sensi dell'art. 1230 c.c., non è ricollegabile alle mere modificazioni accessorie di cui all'art. 1231 c.c. e deve essere connotata non solo dall'«aliquid novi», ma anche dall'«animus novandi» (inteso come manifestazione inequivoca dell'intento novativo) e dalla «causa novandi» (intesa come interesse comune delle parti a/l'effetto novativo)" (Cass., Sez. lav., 29 ottobre 2018, n. 27390).
18. In conclusione, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza gravata merita piena conferma, risultando del tutto immune da vizi logici e/o giuridici, con l'effetto che l'impugnazione, nel suo complesso, non può essere delibata favorevolmente e, pertanto, deve essere respinta, con il conseguente annullamento dell'atto di liquidazione opposto e di ogni altro atto da esso dipendente, mentre ogni altra e/o diversa questione, non espressamente esaminata, va dichiarata assorbita.
18. Quanto, poi, alle spese processuali del grado, si richiama il Il alinea dell'art. 15, D.L.vo n. 546/1992, così come sostituito dall'articolo 9, comma 1, lett. f), n. 2), del D. L.vo 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016, secondo cui: "Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate".
19. Vero è che il giudice delle Leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo modificato dall'art. 13, comma 1, D.L. 12 settembre 2014, n. 132 ("Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile"), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni (C. Cost., 7 marzo 2018, n. 77).
20. Tuttavia, nel caso sottoposto al vaglio del giudice del gravame non si rinvengono elementi suscettibili di derogare alla generale regola della soccombenza e a quella della causalità, per cui le spese processuali del grado vanno poste a carico dell'appellante e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
la Commissione tributaria regionale adita:
I) respinge l'appello proposto e, per l'effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza di primo grado;
Il) condanna l'appellante alla integrale rifusione delle spese del grado, che liquida in complessivi euro 800,00, oltre ad accessori di Legge.
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