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Hai trasferito o detenuto delle somme di denaro all'estero per motivi di investimento o di tutela e non hai compilato il quadro RW?

In questo articolo cercheremo di fare chiarezza sulla mancata compilazione del quadro RW e vedremo insieme alcuni casi che, a seguito di ricorso, si sono conclusi comunque a favore del contribuente che non è stato sanzionato.

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Estratto: “il motivo è infondato; 4.1. come si legge anche nella motivazione di Cass. n. 11640 del 2019, cit., «l'Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto all'importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all'art. 50-bis, comma 4, lett. b), del di. n. 331 del 1993, conv., con modif., dalla I. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all'adempimento, sebbene tardivo, dell'obbligazione tributaria nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile mediante un'autofatturazione”.

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Estratto: “poiché nel caso in esame la contestazione della sanzione è conseguita al procedimento di revisione dell'accertamento, il diverso termine applicabile è, per l'appunto, quello stabilito dall'art. 11, d.lgs. n. 374 del 1990, a norma del quale la revisione dell'accertamento è eseguita, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data in cui l'accertamento è divenuto definitivo. 1.4. Orbene, nel contesto della disciplina di cui al d.lgs. n. 374 cit., la "definitività" è ancorata, in base all'art. 9, comma 2, del medesimo decreto, alla data in cui è apposta sulla bolletta d'importazione l'annotazione dell'ufficio concernente l'esito dei controlli della dichiarazione doganale”.

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Estratto: “al fine di considerare un'operazione triangolare come cessione intracomunitaria non imponibile, l'espressione letterale "a cura" del cedente, contenuta nell'art. 8, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 633 del 1972, o quella corrispondente "per suo conto", contenuta nell'art. 15, comma 1, della direttiva 77/388/CEE (sesta direttiva), vanno interpretate in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente - e cioè al di fuori di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente - decidere di esportare i beni in un altro "Stato membro" e, quindi, non nel senso che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest'ultimo, ma nel senso che è essenziale che vi sia la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l'operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all'estero”.

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Estratto: “Convinzione di questo Collegio è che il cittadino italiano possessore, all'estero, per esempio di obbligazioni, quote di fondi di investimento o di partecipazioni sociali deve in ogni caso (anche se si sono verificate delle perdite anziché dei guadagni) uniformarsi alla previsione di cui all'art. 4 sopra citato (in quanto i valori mobiliari in questione sono sempre produttrici di possibili redditi) ma se lo stesso individuo è titolare di un conto corrente (molto utile visto che le permanenze in Francia della coppia - la sig.ra XXX è di origine transalpina - sono frequenti ) infruttifero, l'obbligo non esiste. La lettera della legge è chiara - debbono esistere redditi prodotti all'estero, che nel caso che occupa sono assenti - ma anche lo spirito della norma depone a favore di un obbligo dovuto almeno alla potenzialità reddituale - anche questa assente -. La volontà del contribuente sig. XXX di avere a disposizione, all'estero, una somma, ancorché improduttiva, ma sempre disponibile, non fa scattare l'obbligo dichiarativo richiesto dall'Ufficio. Nel merito, la pretesa dell'Erario non può trovare giustificazione.

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