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Massima: “A fronte dell'esibizione della fattura, spetta all'Ufficio provare il difetto delle condizioni per la detrazione o la deduzione, e, secondo i principi generali in materia, tale dimostrazione può essere fornita con presunzioni semplici (Conf. Cass. n. 9108/2012). Spetta all'Amministrazione finanziaria dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in un'evasione commessa dal fornitore (Conf. Cass. nn. 23560/2012 e 24426/2013)”.

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Estratto: “in punto di diritto, si osserva, in fatto, che dalla lettura dell'avviso di liquidazione emerge che l'Ufficio indica solo: il numero dell'atto «sentenza civile n. XXX», la controparte «xxx spa» e una serie di tre codici, 109T,806T, 964t, con a fianco la somma da corrispondere ad ogni titolo. Non viene indicata la base impositiva, né l'aliquota applicata per l'imposta. Non vengono neppure indicati gli articoli di riferimento del dpr 131/86. Ciò basta per rigettare l'appello” (dell’Agenzia delle Entrate - NDR)”.

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MassimaÈ illegittimo, per violazione dell’obbligo al contraddittorio endoprocedimentale, l’avviso di accertamento emesso a seguito della risposta resa ad un questionario prima della notifica del processo verbale di constatazione. Tale principio trova fondamento nel diritto dell’Unione europea e nell’art. 97 della Costituzione a tutela del diritto di difesa del contribuente. In particolare, nel campo dei tributi armonizzati, tale obbligo assume rilievo generalizzato (Conf. Cass. nn. 24823/2015 e 19667/2014)

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Massima: “Anche nell’ipotesi di indagine istruttoria condotta per mezzo di questionario l’Amministrazione finanziaria non può emettere l’atto impositivo prima della decorrenza del termine dei 60 giorni fissato dall’art. 12, comma 7, dello Statuto del Contribuente, poiché la ratio della norma muove nella direzione dell’ampliamento e del potenziamento del diritto al contraddittorio nella fase di indagine (nel caso di specie, l’Agenzia delle entrate ha violato il principio del contraddittorio poiché ha emesso l’avviso di accertamento solo dopo tre giorni da quello in cui il contribuente aveva inviato la documentazione richiesta con questionario, conseguentemente l’avviso deve essere annullato)”.

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In questo articolo, esaminiamo, in luogo di una sentenza, le argomentazioni processuali espresse in un caso di:

- Vizio del procedimento;

- Utilizzo di procedura automatizzazione di liquidazione dell'imposta fuori dai casi consentiti;

- Errato disconoscimento di crediti IVA;

- Violazione e falsa applicazione dell'art. 54 del D.P.R. n. 633/1972;

Argomentazioni processuali che, nel caso in discussione, hanno permesso di ottenere l'annullamento dell'atto in via di autotutela da parte dell’Agenzia delle Entrate prima della fine del processo, senza necessità, quindi, di giungere alla sentenza di primo grado.

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Estratto: “l’Ufficio indica solo: il numero dell’atto «sentenza civile n. 000001398/2009», la controparte «xxx spa» e una serie di tre codici, 109T, 806T, 964t, con a fianco la somma da corrispondere ad ogni titolo. Non viene indicata la base impositiva, né l’aliquota applicata per l’imposta. Non vengono neppure indicati gli articoli di riferimento del dpr 131/86. Ciò basta per rigettare l’appello. (…) La Commissione rigetta l’appello dell’Ufficio e condanna l’Ufficio al pagamento delle spese di lite che si liquidano in euro 7.400,00 (settemilaquattrocento) oltre accessori di legge”.

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Massima: “In tema di imposizione sul reddito, la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili non opera per il solo fatto che, oltre alla sussistenza di un maggior reddito della società partecipata rispetto a quello dichiarato, vi è un limitato numero di soci, pena una violazione del divieto di doppia presunzione”.

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La Commissione Tributaria Regionale di Milano, con la sentenza n. 477/2017, ha annullato un avviso di accertamento emesso nei confronti di un contribuente che svolgeva sia l’attività di elettricista che di gestione di un bar.

Sulla base di un accertamento induttivo, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato che i ricavi dichiarati non fossero in linea con gli studi di settore.

Il contribuente lamentava l’illegittimità dell’accertamento poiché egli si era adeguato allo studio di settore, per tale motivo, all’Ufficio era preclusa la possibilità di eseguire un accertamento presuntivo, così come previsto dall’art. 10, comma 4bis, L. n. 146/1998.

I Giudici hanno condiviso le doglianze proposte nell’appello annullando totalmente l’avviso di accertamento notificato, ed il contribuente non sarà più tenuto al pagamento.

Massima: “È illegittimo l’avviso di accertamento quando il contribuente provi di essersi adeguato allo studio di settore e l’Agenzia non abbia contestato l’incoerenza. In tale situazione l’art. 10, comma 4bis, della l. 146/1998 preclude la possibilità di accertamento presuntivo atteso che i redditi dichiarati allineati agli studi di settore si presumono congrui per effetto di legge. Il valore di legge del citato art. 10 rende privo di efficacia il su indicato decreto ministeriale. Nel caso di lite, il contribuente svolgeva attività promiscua (gestione di bar e attività di elettricista) sicché l’ente accertatore si era uniformato alle previsioni del d.m. 11/02/2008 e alle istruzioni della circolare n. 31 del 2008 in considerazione della duplice attività svolta dal contribuente. Tuttavia la Commissione ha ritenuto inapplicabile il citato decreto ministeriale rispetto alla previsione della legge contenuta nel richiamato art. 10, poiché nello stabilire criteri nuovi con la pretesa di generale applicabilità nei casi come quello in esame, ha da una parte innovato rispetto alla disciplina legislativa introducendo casistiche non previste dalla legge con l'introduzione di scaglioni di reddito in percentuale (nella specie del 30% dell'ammontare totale dei ricavi dichiarati) al di sopra dei quali non opererebbe lo studio di settore, con ulteriore introduzione della regola (art. 2 del citato decreto) non applicabile ai soggetti che svolgano due o più attività”.

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La Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha annullato un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società di catering che aveva portato in deduzione costi relativi a servizi resi dalla propria capogruppo.

In particolare, a parere dell’Agenzia delle Entrate, i costi sostenuti dalla società italiana, a fronte di servizi resi dalla capogruppo, non erano sufficientemente documentati.

Eppure, a seguito della redazione del PVC, la ricorrente aveva offerto maggiori delucidazioni in ordine ai costi sostenuti, e ciò all’interno delle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000.

La Commissione Tributaria ha ribadito che le osservazioni devono essere valutate all’interno dell’avviso, e se tale attività è omessa l’avviso stesso è nullo.

D’altronde non avrebbe senso riconoscere al contribuente il diritto di presentare le osservazioni se l’Ufficio potesse non esaminarle e redigere l’avviso negli stessi termini in cui l’avrebbe redatto se le stesse non fossero mai state depositate.

Tale vizio formale ha dunque giustificato la dichiarazione di annullamento dell’avviso.

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La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 28700 del 2017, ha accolto il ricorso di un ristoratore avverso la sentenza dei Giudici di merito.

Questi ultimi, confermando la sentenza di primo grado, avevano ritenuto legittimo l'avviso di accertamento formato con metodo analitico-induttivo, in seguito a ispezioni presso i locali del ristorante-pizzeria.

Di diverso avviso invece la Corte di Cassazione che ha annullato l'avviso ritenendo condivisibili le doglianze del ristoratore che lamentava l'irregolarità dell'avviso di accertamento emesso prima dello scadere del termine dei 60 giorni dalla notifica del PVC.

In altri termini, l'Amministrazione avrebbe dovuto aspettare prima di notificare l'avviso di accertamento, e dare per l'effetto un termine congruo al contribuente per replicare.

La richiesta di pagamento è stata annullata per aver l'Agenzia delle Entrate negato al contribuente questo diritto inviolabile, e dunque il ristoratore non dovrà pagare a prescindere dell'esistenza di eventuali irregolarità.

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