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Verifica fiscale dell’Agenzia delle Entrate nei confronti dell’impresa edile. 3 esempi di casi in cui l’impresa edile ha presentato ricorso e vinto.

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Verifica fiscale dell’Agenzia delle Entrate nei confronti dell’impresa edile. 3 esempi di casi in cui l’impresa edile ha presentato ricorso e vinto.

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Quando si parla di imprese edili si fa riferimento ad una categoria estremamente variegata di soggetti che va dalle grandi imprese di costruzioni al piccolo imprenditore edile.

Quale che sia la loro dimensione le imprese edili si occupano prevalentemente dell’attività di costruzione e ristrutturazione di immobili, compravendita degli stessi, realizzazione di opere edili a favore di terzi.

Può quindi trattarsi sia di strutture complesse impiegate nella realizzazione delle grandi opere d’ingegneria civile e che svolgono al loro interno ogni attività (dalla carpenteria alla muratura, all’impiantistica) oppure di micro imprese o ditte individuali che si avvalgono di professionisti esterni. Tra queste due esiste poi una fascia intermedia di imprese edili impiegate sia nell’ambito delle costruzioni private che di edilizia pubblica.

Insomma, una categoria composita quella degli imprenditori edili che ogni giorno è costretta a destreggiarsi tra adempimenti burocratici, concessioni, autorizzazioni ma anche ad affrontare accertamenti fiscali “a sorpresa” diretti a comprometterne la loro operatività.

L’obiettivo si queste verifiche è quello di giustificare un recupero di imposta spesso fondato su calcoli presuntivi ed approssimativi e senza escludere che, quello dell’edilizia, è un settore altalenante dove a periodi di intenso lavoro si alternano anche momenti di arresto in attesa di nuove commesse.

Su cosa si fondano gli accertamenti fiscali delle imprese edili

Le presunte irregolarità che vengono contestate alle imprese edili riguardano in genere il totale o parziale occultamento dei ricavi oppure la sottofatturazione delle prestazioni eseguite.

Tuttavia, l’indagine sui ricavi di un’impresa edile dovrebbe partire da assunto di base: calcolare l’esatto volume d’affari di un’impresa di costruzione è alquanto difficile che non può non tenere in considerazione i periodi di inattività o regime ridotto dell’azienda.

Insomma, statistiche, le presunzioni e gli studi di settore non possono trovare applicazione in un ambito in forte detrazione come quello dell’edilizia o comunque se applicato possono non infrequentemente condurre a risultati non realistici.

L’imprenditore edile è tenuto a giustificare, in contraddittorio con l’Amministrazione Finanziaria, i corrispettivi presuntivamente percepiti e che l’Agenzia assume come sottratti al Fisco.

Le conseguenze fiscali per l’imprenditore edile possono, però, assumere conseguenze sproporzionate fino addirittura a compromettere l’operatività dell’azienda che risente ancora oggi della flessione delle commesse e degli ordini.

In particolare, l’accertamento dei ricavi è mirato a ricostruire l’effettivo volume d’affari dell’impresa basandosi su alcuni elementi d’allarme (es. l’esistenza di depositi, l’acquisto o il noleggio di attrezzatura, il numero di commesse, la fornitura di materiali, la stipula di atti di compravendita, l’importo dei muti contratti dagli acquirenti, ma anche il possesso di auto di lusso o residenze secondarie, ecc.) che però non comportano l’automatico riscontro della sua redditività.

La verifica dei ricavi quindi viene spesso fondata su accertamenti induttivi standardizzati, basati su dati e notizie acquisiti durante i controlli attraverso i quali si arriva ad una ricostruzione statistica del volume d’affari.

Insomma, il costruttore non coinvolto in condotte evasive, ma additato come evasore, in alcuni casi (cfr. giurisprudenza) sulla base di avvisi scarsamente motivati, si trova costretto a difendersi in sede di contenzioso dalla pretesa tributaria. In queste sede, infatti, egli può impugnare l’atto ritenuto infondato e viziato nei suoi presupposti impositivi e, soprattutto, può fornire tutte le prove di cui intende avvalersi per dimostrare le sue ragioni.

Come può difendersi il costruttore. 3 esempi di casi che hanno visto vincere l’impresa edile.

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 12273 del 18 maggio 2018

Con questa importante pronuncia i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto di non dover applicare gli studi di settore alle imprese edili che risentono della crisi economica.

La vicenda, nello specifico, ha avuto origine da un avviso di accertamento notificato ad un’impresa edile in crisi, che aveva risentito di una flessione delle commesse e degli ordini e perciò era stata costretta a licenziare il personale dipendente. All’interno della stessa prestava servizio un solo dipendente che era un collaboratore familiare.

Tutte queste ragioni hanno portato i giudizi a ritenere che la procedura di accertamento induttivo fondata sugli studi di settore rappresenta un sistema di presunzioni semplici inidoneo a giustificare lo scontamento tra il reddito dichiarato e gli standard considerati. L’avviso, quindi, è stato considerato illegittimo in quanto non era supportato da elementi gravi, precisi e concordanti in grado di giustificare lo scostamento rilevato.

Inoltre, a parere della Corte, l’impresa edile può dimostrare con ogni mezzo la situazione di difficoltà in cui versa l’impresa che comporta l’esclusione dell’azienda dall’applicazione degli studi di settore di cui sopra.

Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari, sentenza n. 403 del 31 marzo 2017

Questa vicenda ha avuto origine da un avviso di accertamento intimato ad un’impresa edile di Cagliari alla quale venivano contestate maggior imposte IRPEF, IVA ed IRAP per un importo superiore a 200 mila euro.

La Cassazione, a seguito del ricorso promosso dalla difesa del contribuente, ha dichiarato la nullità dell’avviso ritenuto carente di motivazione. Difatti, non erano chiari quali erano stati i criteri su cui l’Amministrazione Finanziaria avesse determinato il valore delle rimanenze ovvero delle opere e dei lavori di durata pluriennale non ancora portati a termine e quindi non ancora fatturati.

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 27622 del 29 ottobre 2019

Questo caso ha preso avvio da un avviso di accertamento notificato ad un contribuente relativamente all’acquisto di terreni in qualità di titolare di un’impresa edile individuale e con il quale era stato rettificato il suo reddito.

La Cassazione, così come i due precedenti gradi di merito, ha dato ragione al piccolo costruttore il quale aveva provato di aver confezionato di atti di compravendita in qualità di titolare della sua impresa edile e non in qualità di privato. Inoltre, era emerso che la vendita non doveva essere fatturata e neppure assoggettata ad Iva dal momento che i terreni erano stati acquistati da soggetti privati non esercenti attività di impresa.

La Suprema Corte ha ritenuto che non vi fosse contraddittorietà nella decisione dei giudici di merito in quanto questi con la terminologia di “privati” hanno fatto riferimento alla posizione dei due venditori di terreni e non al singolo acquirente.

Il costruttore ingiunto, inoltre, aveva ampiamente dimostrato di aver compiuto quelle operazioni di compravendita in qualità di titolare dell’impresa edile e, pertanto, l’Amministrazione Finanziaria non avrebbe potuto fondare l’accertamento sintetico su quelle spese.

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