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Studi di settore e rilevanza dello scostamento: se la divergenza è modesta il relativo avviso di accertamento è illegittimo. La Cassazione accoglie il ricorso originario del contribuente.

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Estratto: “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente” (…) “alla luce dei principi enunciati, la sentenza impugnata risulta censurabile sotto il profilo della violazione di legge, poiché il giudice di appello non ha considerato l'entità dello scostamento, che risulta molto modesto nel caso in esame, tanto che non può ritenersi che si sia verificata una divergenza significativa, tale da giustificare l'emissione dell'avviso di accertamento sulla base degli studi di settore”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Ordinanza n. 33736 del 18 dicembre 2019

RILEVATO CHE:

1. l'Agenzia delle entrate, utilizzando gli studi di settore, ai sensi dell'art. 62 sexies d.l. 331/1993, accertava, per l'anno di imposta 2007, nei confronti del PA e T. s.n.c. di T.M. e C. uno scostamento tra l'ammontare dei ricavi dichiarati e quello derivante dalla applicazione degli studi di settore;

a seguito di contraddittorio con i contribuenti e di successivo reclamo, l'Ufficio formulava alla società la proposta di un accordo di mediazione, con la riduzione dei ricavi accertati da 293.659,00 a 291.153,00 e conseguenti maggiori ricavi per euro 11.309,00;

la società ed i singoli soci non accettavano la proposta di mediazione ed impugnavano gli avvisi innanzi alla C.T.P. di Perugia, che, previa riunione, accoglieva i ricorsi dei contribuenti;

2. con la sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale dell'Umbria (di seguito C.T.R.) accoglieva in parte l'appello dell'Ufficio, ritenendo fondato l'accertamento nei limiti della proposta di mediazione formulata dall'Ufficio, con compensazione delle spese di lite;

3. avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione la società ed i soci, affidato ad un unico motivo;

4. resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate;

5. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 5 novembre 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;

6. i ricorrenti hanno depositato memoria;

CONSIDERATO CHE:

1.1. preliminarmente va rilevata l'infondatezza dell'eccezione d'inammissibilità del controricorso per la tardività della notifica ai ricorrenti; invero, il ricorso risulta notificato alla controricorrente in data 30/3/2015 e la notifica del controricorso da parte di quest'ultima risulta effettuata in data lunedì 11 maggio 2015, cioè il primo giorno utile successivo al giorno festivo (domenica 10 maggio 2015), in cui scadeva il termine per la notifica del controricorso, ai sensi dell'art. 370 c.p.c.;

passando all'unico motivo di impugnazione, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 62 sexies, comma 3, d.l. 331/1993, degli artt. 62 e 62 bis e ss. stesso decreto, dell'art. 39, comma 1 lett. d) d.p.r. 600/1973 della legge, dell'art.54 d.P.R. n.633/72, degli artt.2727 e 2729 c.c., degli artt.115 e 132 c.p.c., in relazione all'art. 360 comma 1 , nn. 3, 4 e 5, c.p.c., in quanto la Commissione regionale non avrebbe tenuto conto che i modelli di studi di settore applicati (clusters) erano invece inapplicabili alla fattispecie in esame per il rincaro del prezzo di acquisto della farina e per l'uscita di un socio dalla compagine societaria;

inoltre, i ricorrenti deducono l'insussistenza delle gravi incongruenze, in quanto, dopo il contraddittorio, la stessa Amministrazione aveva ridotto la propria pretesa, contestando, sui ricavi dichiarati di euro 279.844,00 rispetto a quelli accertati di euro 293.659,00, una differenza di euro 13.815,00, con un scostamento inferiore al 5%;

1.2. il motivo è fondato e va accolto;

1.3. la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente;

una volta attivato il contraddittorio, "l'onere probatorio negli accertamenti da studi di settore è così ripartito: a) all'ente impositore fa carico la dimostrazione dell'applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell'accertamento; b) al contribuente, che può utilizzare a suo vantaggio anche presunzioni semplici, fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o della specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo cui l'accertamento si riferisce" (Sentenze Corte di Cassazione, SS.UU. nn. 26635/2009, 26636/2009, 26637/2009, 26638/2009);

inoltre, come è stato detto con un orientamento di gran lunga prevalente, al quale si ritiene di aderire, "l'Amministrazione finanziaria non è legittimata a procedere all'accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dagli artt. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell'art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, allorché si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore di cui all'art. 62 bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ma solo quando venga ravvisata una "grave incongruenza" secondo la previsione del successivo art. 62 sexies, trovando riscontro la persistenza di tale presupposto - nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva - anche dall'art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur non contemplando espressamente il requisito della grave incongruenza, compie un rinvio recettizio al menzionato art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993. (Nella specie, la S.C., confermando la sentenza di merito, ha ritenuto non grave uno scostamento nella misura del sette percento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli desumibili dai parametri previsti dagli studi di settore)" (Sez. 5, Sentenza n. 20414 del 26/09/2014; Sez. 5, Ordinanza n. 8854 del 29/03/2019); alla luce dei principi enunciati, la sentenza impugnata risulta censurabile sotto il profilo della violazione di legge, poiché il giudice di appello non ha considerato l'entità dello scostamento, che risulta molto modesto nel caso in esame, tanto che non può ritenersi che si sia verificata una divergenza significativa, tale da giustificare l'emissione dell'avviso di accertamento sulla base degli studi di settore;

la sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l'accoglimento del ricorso originario della contribuente; atteso il definitivo consolidarsi dell'orientamento giurisprudenziale citato solo in epoca successiva alla proposizione del ricorso, sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese processuali;

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario dei contribuenti;

compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma, il giorno 5 novembre 2019.

 

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