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Beni strumentali dell’impresa. Accolto il ricorso per cassazione del contribuente. La sentenza di 2° grado non appare adeguatamente motivata.

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Estratto: “Tanto premesso, in ordine alla ricorrenza, in punto di fatto, della "novità" dell'immobile acquisito dalla contribuente, la motivazione della sentenza impugnata appare oscura, e comunque apodittica, laddove riferisce di una «evidente» discrasia tra le dichiarazioni della contribuente e della terza S. s.p.a., senza precisare né quali siano gli «atti prodotti» dai quali risulterebbe tale contrasto, né quale sarebbe l'oggetto della contraddizione. Tanto meno risultano comprensibili i riferimenti alla mancanza del «requisito della volontà al momento richiesto», all' «adempimento dell'onere della prova durante l'accertamento» ed alla «identica» «decisione dell'atto di acquisto». In tale contesto, assolutamente insufficiente a dare cognizione delle ragioni della decisione sul punto, neppure è identificabile un riferimento univoco e concreto alle circostanze, attinenti le caratteristiche del bene ed i lavori sullo stesso eseguiti, cui si riferisce la documentazione che la ricorrente ha prodotto nel giudizio di merito (come risulta dalle plurime indicazioni contenute nel ricorso e non contestate dalla controricorrente)”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Sentenza n. 5799 del 3 marzo 2020

FATTI DI CAUSA

1.L'Agenzia delle Entrate, all'esito di una verifica fiscale e del relativo processo verbale di constatazione, ha emesso nei confronti della V. s.r.l. avviso di accertamento, relativo all'anno d'imposta 2002, in materia di Irpef, con il quale ha, preliminarmente, negato l'efficacia preclusiva della definizione automatica di cui all'art. 9, comma 3 -bis, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, della quale la contribuente si era avvalsa ai fini sia dell'Iva che delle imposte dirette, compilando la dichiarazione integrativa ed effettuando i conseguenti versamenti degli importi dovuti, determinati nella misura di 500,00 euro per ciascuna annualità, in attuazione delle modalità prescritte per i soggetti che hanno dichiarato ricavi e compensi di ammontare non inferiore a quelli determinabili sulla base degli studi di settore di cui all'articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, e nei confronti dei quali non sono riscontrabili anomalie negli indici di coerenza economica; nonché per i soggetti che hanno dichiarato ricavi e compensi di ammontare non inferiore a quelli determinabili sulla base dei parametri di cui all'articolo 3, commi da 181 a 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e successive modificazioni.

Ha infatti rilevato l'Agenzia che il predetto art. 3 della legge n. 549 del 1995 - richiamato dall' art. 9, comma 3 -bis, della legge n. 289 del

2002- prevede, al comma 182, che le disposizioni di cui ai commi da 179 a 189 dello stesso articolo non si applicano nei confronti dei contribuenti che hanno dichiarato ricavi o compensi di ammontare superiore a 10 miliardi di lire.

Pertanto, poiché la società contribuente ha, nell'anno 2001, dichiarato ricavi per lire 13.511.174.000, non le era consentito accedere alla definizione automatica di cui all'art. 9, comma 3-bis, della legge n. 289 del 2002, che non poteva essere limitata al solo anno d'imposta 2002, ma doveva comprendere necessariamente tutti i periodi d'imposta per i quali i termini per la presentazione delle relative dichiarazioni erano scaduti entro il 31 ottobre 2002 , e quindi anche il 2001, al quale era tuttavia inapplicabile in virtù del predetto art. 3, comma 182, della legge n. 549 del 1995.

1.1. Tanto premesso in ordine all'inoperatività della definizione automatica ed alla conseguente insussistenza di una preclusione all'accertamento, l'Agenzia ha quindi contestato alla contribuente di avere indebitamente beneficiato dell'agevolazione prevista dall'art. 4 della legge 18 ottobre 2001 n. 383, relativo alla detassazione del reddito di impresa e di lavoro autonomo reinvestito, con riguardo all'acquisto di un immobile ristrutturato e trasformato da opificio industriale a caserma adibita all'uso da parte di una sezione della Polizia stradale.

2. Avverso l'avviso d'accertamento la contribuente ha proposto ricorso dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Prato, che lo ha rigettato.

3.La contribuente ha allora impugnato la sentenza di primo grado e l'adita Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza n. 47/16/11, depositata il 21 settembre 2011, ha rigettato l'appello.

4.La contribuente ha quindi proposto ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della predetta sentenza d'appello.

5.L'Ufficio si è costituito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, la contribuente denuncia, ai sensi dell'art. 360 primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione dell'art. 9, comma 10, lett. a), della legge n. 289 del 2002, in relazione ai commi 2 e 3-bis dello stesso art. 9 ed all'art. 2, comma 44, lett. d), della legge del 24 dicembre 2003, n. 350, nonché in relazione al principio di sanabilità dell'errore scusabile, con conseguente perfezionamento della definizione agevolata, sancito anche dall'art. 16, comma 9, della stessa legge n. 289 del 2002.

Nell'articolato motivo, la ricorrente assume, in sintesi, che anche i contribuenti che, nei periodi d'imposta per i quali i termini per la presentazione delle relative dichiarazioni erano scaduti entro il 31 ottobre 2002, avevano dichiarato ricavi o compensi di ammontare superiore a 10 miliardi di lire, potevano comunque accedere alla definizione agevolata di cui all'art. 9 della legge n. 289 del 2002, ma dovevano pagare gli importi determinati ai sensi dei commi 2 e 3, e non del comma 3 -bis, di tale norma. Pertanto, la società contribuente, quantificando e pagando gli importi dovuti con i criteri, meno onerosi, di cui al comma 3 -bis, era soltanto incorsa in un errore, scusabile, che aveva determinato un pagamento in misura inferiore a quella dovuta, che, ai sensi dell'art. 16, comma 9, della ridetta legge n. 289 del 2002, legittimava la successiva regolarizzazione della definizione automatica, entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell'Ufficio.

Nel caso di specie, la contribuente aveva provveduto al versamento integrativo del maggior importo dovuto in data 30 settembre 2005, ovvero prima che decorressero trenta giorni dalla ricezione, il 5 settembre 2005, della notifica dell'avviso d'accertamento, in materia d'Iva, relativo all'anno d'imposta 2001, tramite il quale era venuta a conoscenza delle ragioni del ritenuto mancato riconoscimento dell'avvenuto perfezionamento del condono in questione.

L'intervenuta tempestiva regolarizzazione degli importi della definizione automatica avrebbe quindi perfezionato, secondo la ricorrente, il condono tombale (anche) per l'anno d'imposta 2002, con la conseguenza che l'accertamento qui controverso sarebbe stato precluso.

Avrebbe pertanto errato il giudice a quo nell'escludere l'efficacia della regolarizzazione sul presupposto che, nel caso di specie, non sarebbe ravvisabile «un errore ostativo, né scusabile.

Si tratta invece di un'invocazione di benefici non spettanti sul piano sostanziale.». 2.Con il secondo motivo, la contribuente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione dall'art. 16, comma 9, della legge n. 289 del 2002, nonché la falsa applicazione dell'art. 9, comma 14, lett. a), e comma 15, della stessa legge n. 289 del 2002 e dell'art. 2, comma 44, lett. e), della legge n. 350 del 2003. La ricorrente assume, in sintesi, che alla data dell'entrata in vigore della legge n. 289 del 2002, non aveva ricevuto la notifica di alcuno degli atti che, ai sensi dell'art. 9, commi 14 e 15, della medesima fonte, potevano precludere la definizione automatica in questione rispetto all'anno d'imposta 2001.

Tanto meno, secondo la ricorrente, poteva ritenersi preclusa la successiva regolarizzazione, avvenuta prima che l'Ufficio comunicasse alla contribuente, mediante la notifica dell'accertamento qui controverso, che il pagamento effettuato era inferiore a quello dovuto; e comunque intervenuta prima che trascorressero trenta giorni dalla notifica dell'accertamento, in materia d'Iva, relativo all'anno d'imposta precedente.

Non era dunque maturata la decadenza della ricorrente dalla facoltà di regolarizzazione dell'errore scusabile, in ordine alla quantificazione del versamento, prevista dall'art. 16, comma 9, della legge n. 289 del 2002.

Avrebbe pertanto errato il giudice a quo nell'escludere l'efficacia della regolarizzazione anche sul presupposto che, nel caso di specie, il versamento integrativo era avvenuto solo dopo otto mesi dell'accesso effettuato dall'Agenzia presso la contribuente, concluso con il processo verbale di constatazione preliminare all'accertamento, in materia d'Iva, relativo all'anno d'imposta 2001, ma non a quello successivo, oggetto dell'atto impositivo qui sub iudice.

2.1. Il primo ed il secondo motivo sono strettamente connessi e vanno trattati congiuntamente.

E' opportuno premettere che non è in discussione che la ricorrente, in conseguenza dell'entità dei ricavi dichiarati nell'anno d'imposta 2001, non poteva accedere alla definizione automatica alle condizioni di cui all'art. 9, comma 3-bis, della legge n. 289 del 2002, e quindi non poteva, come ha invece fatto, né legittimamente compilare e presentare la dichiarazione integrativa e definitoria degli anni d'imposta precedenti, indicando di rientrare tra i contribuenti cui si applica tale ultima norma; né limitarsi a pagare gli importi ridotti da essa previsti. Neppure è in contestazione che la contribuente abbia, in data 30 settembre 2005, provveduto al versamento integrativo del maggior importo dovuto, calcolato ai sensi dei commi 2 e 3 del medesimo art. 9. E' invece in discussione se l'originaria dichiarazione integrativa ed il conseguente versamento possano ritenersi un caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, frutto di un errore scusabile, del quale sia consentita la regolarizzazione ai sensi dell'art. 16, comma 9, della legge n. 289 del 2002.

Ed in caso di risposta affermativa a tale prima domanda, è altresì controverso se la regolarizzazione effettuata dalla contribuente sia stata tempestiva.

2.2. Premesso che le questioni controverse debbono essere esaminate alla luce della disciplina dell'errore scusabile contenuta nella legge n. 289 del 2002, deve darsi atto che, secondo la ricorrente (pag. 23 del ricorso), l'errore invocato sarebbe caduto, a monte, sulla dichiarazione dei redditi del 2001, nel senso che la contribuente « non si è avveduta di avere ecceduto la "soglia" massima-ricavi pari a 10 miliardi di lire- prevista per l'applicazione dei parametri di cui alla I. n. 549/1995, avendo realizzato nello stesso anno ricavi per lire 13.511.174.000.».

Pertanto, secondo la stessa ricorrente, non si è trattato di un errore materiale sul quantum dovuto, in sé e per sé considerato; ma neppure di una falsa percezione di un dato che si sia rivelato direttamente incidente sull'ammontare del versamento dovuto per la chiusura della lite, essendo indiscussa l'entità dei ricavi dichiarati negli anni d'imposta precedenti al condono.

Piuttosto, la contribuente assume di non avere affatto preso in considerazione il presupposto della misura dei ricavi, che, nell'ambito dell'art. 9 della legge n. 289 del 2002, costituisce un requisito soggettivo che discrimina le diverse fattispecie condonistiche e quindi le condizioni di accesso e perfezionamento di ciascuna di queste.

Dunque, se errore vi è stato, si è trattato di errore di diritto, ovvero di sussunzione di concreti dati oggettivi, inequivoci, nella fattispecie condonistica astratta sbagliata. Si verte, quindi, al di fuori dell'area dell'errore sull'ammontare del versamento dovuto per la chiusura della lite, di cui all'art. 16, comma 9, della legge n. 289 del 2002, finanche se interpretato nel senso più ampio di cui alla giurisprudenza citata dalla stessa ricorrente (Cass. 04/02/2011, n. 2723, in motivazione).

Tanto premesso in ordine all'inapplicabilità della fattispecie di cui alli art. 16, comma 9, della legge n. 289 del 2002, deve inoltre considerarsi che la ricorrente, che ne era onerata, neppure ha allegato elementi idonei a connotare la natura scusabile dell' assunto errore, necessaria ai sensi della predetta norma e comunque difficilmente conciliabile rispetto ad un dato (i ricavi di cui all'anno d'imposta 2001) dichiarato

dalla stessa contribuente e nella piena disponibilità di quest'ultima, che non poteva quindi «non avvedersene» senza negligenza.

Tanto meno, poi, sono state allegate obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione (riguardo ai requisiti soggettivi di accesso alla specifica fattispecie condonistica della quale si è avvalsa la contribuente) della norma tributaria, che comunque al più rileverebbero, eventualmente, ai soli fini della disapplicazione delle sanzioni ex art. 10, comma 3, legge 27 luglio 2000, n. 212. 2.3. L'esclusione dell'applicabilità della regolarizzazione di cui all' art. 16, comma 9, della legge n. 289 del 2002, alla fattispecie controversa assorbe ogni questione relativa alla controversa tempestività del versamento integrativo effettuato dalla contribuente a tale titolo. Giova solo precisare che è improprio il riferimento della ricorrente al comma 12 dell'art. 9 della legge n. 289 del 2002, al fine di affermare che,, anche nel caso di specie, il versamento di una somma inferiore a quella dovuta in relazione alla fattispecie condonistica cui ha aderito «non determina l'inefficacia della integrazione». Infatti, la norma invocata riguarda il diverso caso del contribuente che utilizzi la facoltà di parziale adempimento rateale (delle somme eccedenti le soglie di 3.000 euro per le persone fisiche e di 6.000 euro per gli altri soggetti) degli «importi da versare ai sensi del presente articolo», dunque presuppone che lo stesso contribuente abbia i requisiti soggettivi necessari per aderire alla fattispecie di definizione di cui alla relativa dichiarazione ed abbia effettuato il corrispondente versamento nella misura corretta, nei limiti non rateizzabili.

Nel caso di specie, invece, è pacifico che il versamento originario è stato effettuato a saldo e la sua originaria insufficienza derivava non dalla rateazione di importi eccedenti, ma dalla dichiarata adesione della contribuente ad una specifica fattispecie di definizione che non le competeva (sulla differenza fattuale e normativa tra le due ipotesi, non assimilabili, cfr. la citata Cass. 04/02/2011, n. 2723, ampiamente in motivazione, al punto III) e che, ai sensi dell'art. 9, comma 2, della legge n. 289 del 2002 (« La definizione automatica si perfeziona con il versamento per ciascun periodo d'imposta: ...») non si è perfezionata e non ha prodotto l'inibizione all'accertamento e gli ulteriori effetti di cui al successivo comma 10.

Vanno quindi rigettati i primi due motivi di ricorso.

3.Con il secondo motivo, la contribuente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nella versione, applicabile ratione temporis, antecedente la novella di cui al d.l. 22 giugno 2012, n. 83), l'insufficiente motivazione circa un punto di fatto controverso e decisivo della controversia, attinente la "novità" dei beni strumentali acquisiti dalla contribuente, requisito necessario per fruire dell'agevolazione di cui all'art. 4 della legge n. 383 del 2001.

4.Con il quarto motivo, la contribuente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell'art. 4 della legge n. 383 del 2001, per avere il giudice a quo ritenuto che il requisito della "novità" dei beni strumentali acquisiti dalla contribuente vada determinato anche secondo i criteri dettati dalla prassi amministrativa costituita dalle circolari dell'Agenzia delle Entrate.

5.11 terzo ed il quarto motivo vanno trattati congiuntamente, per la loro connessione, e sono fondati.

Infatti, l'art. 4, comma 4, della legge n. 383 del 2001, per quanto qui interessa, dispone, ai fini della parziale esclusione dall'imposizione del reddito di impresa del volume degli investimenti in beni strumentali, che «Per investimento si intende la realizzazione nel territorio dello Stato di nuovi impianti, il completamento di opere sospese, l'ampliamento, la riattivazione, l'ammodernamento di impianti esistenti e l'acquisto di beni strumentali nuovi anche mediante contratti di locazione finanziaria.».

Deve escludersi che la determinazione del criterio della necessaria "novità" dei beni strumentali acquisiti, prevista dalla norma appena citata, possa essere circoscritta da ulteriori prescrizioni imposte da circolari amministrative, che non costituiscono fonti del diritto e, pertanto, non vincolano né i contribuenti né i giudici (cfr. Cass. 13/06/2018, n. 15482, in tema di mancato adempimento di oneri previsti nelle circolari amministrative in materia di agevolazioni tributarie; conforme Cass. 31/10/2018, n. 27782).

Tanto premesso, in ordine alla ricorrenza, in punto di fatto, della "novità" dell'immobile acquisito dalla contribuente, la motivazione della sentenza impugnata appare oscura, e comunque apodittica, laddove riferisce di una «evidente» discrasia tra le dichiarazioni della contribuente e della terza S. s.p.a., senza precisare né quali siano gli «atti prodotti» dai quali risulterebbe tale contrasto, né quale sarebbe l'oggetto della contraddizione.

Tanto meno risultano comprensibili i riferimenti alla mancanza del «requisito della volontà al momento richiesto», all' «adempimento dell'onere della prova durante l'accertamento» ed alla «identica» «decisione dell'atto di acquisto».

In tale contesto, assolutamente insufficiente a dare cognizione delle ragioni della decisione sul punto, neppure è identificabile un riferimento univoco e concreto alle circostanze, attinenti le caratteristiche del bene ed i lavori sullo stesso eseguiti, cui si riferisce la documentazione che la ricorrente ha prodotto nel giudizio di merito (come risulta dalle plurime indicazioni contenute nel ricorso e non contestate dalla controricorrente).

La sentenza impugnata va quindi cassata sul punto, con rinvio al giudice a quo.

P.Q. M.

Rigetta il primo ed il secondo motivo ed accoglie il terzo ed il quarto;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sule spese del giudizio di legittimità.

Così deciso, in Roma, il 20 dicembre 2019.

 

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