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ISCRIZIONE IPOTECARIA SU DI UN FONDO PATRIMONIALE DESTINATO A SODDISFARE IL FABBISOGNO FAMILIARE. UN CASO DI ILLEGITTIMITÀ. ACCOLTO L'APPELLO PROPOSTO DAL CONTRIBUENTE

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Estratto: “Quando è in discussione, come nel caso di specie, la valutazione delle "possibilità economiche familiari" del contribuente è, tuttavia, proprio e soltanto il titolare della pretesa tributaria l'unico soggetto legittimato a contraddire la difesa avversaria, eccependo e fornendo la prova di un tenore di vita in concreto superiore - alle disponibilità offerte dai redditi legalmente dichiarati, tale da giustificare l'impiego a tal fine anche dei proventi illeciti”.

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Sentenza del 05/02/2020 n. 113 - Comm. Trib. Reg. per il Veneto Sezione/Collegio 6

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con appello notificato il 25/29 marzo 2019 D.B. impugnava la sfavorevole sentenza in epigrafe che aveva rigettato il ricorso proposto avverso l'iscrizione ipotecaria eseguita da Agenzia Entrate Riscossione su alcuni beni che erano stati conferiti nel 2005 su di un fondo patrimoniale destinato a soddisfare i bisogni della famiglia.

Lamentava in primis la violazione degli artt. 169 e 170 c.c. in quanto la sentenza di primo grado aveva erroneamente escluso che la normativa trovasse applicazione anche con riferimento alla semplice iscrizione ipotecaria, essendo diretta soltanto a regolare l'attività di esecuzione sui beni del fondo e non essendo suscettibile di applicazione analogica al caso dell'iscrizione di ipoteca (atto in sé privo del carattere esecutivo).

Segnalava, al riguardo, che a tale conclusione era pervenuto lo stesso giudice tributario provinciale che aveva accolto il distinto ricorso proposto dal marito, producendo la relativa sentenza 312/2/2018 della Commissione tributaria provinciale di Treviso depositata l'11.9.2018.

Inoltre contestava la ritenuta legittimità di tale iscrizione essendosi provato - con prove non valutate dal giudice di prime cure- sia il carattere estraneo ai bisogni della famiglia del debito tributario garantito dalla predetta iscrizione sia la consapevolezza di tale estraneità da parte del creditore (atteso il carattere illecito che stava alla base del recupero tributario).

A tal fine allegava un prospetto specifico dei redditi familiari nel periodo di riferimento da cui risultava la la capienza degli stessi a provvedere ampiamente ai bisogni della famiglia, senza necessità di ricorrere ai proventi dell'attività illecita che era stata oggetto di recupero tributario.

Infine contestava che fosse stato correttamente dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'Agenzia delle Entrate dal momento che il richiesto accertamento dell'inerenza del credito tributario ai bisogni della famiglia avrebbe necessariamente comportato il coinvolgimento del titolare della pretesa erariale, sotto tale profilo passivamente legittimato al contenzioso tributario instaurato.

Chiedeva, pertanto, la riforma della sentenza impugnata, anche in ordine alla condanna alle spese, con conseguente declaratoria di illegittimità parziale della suddetta iscrizione ipotecaria. Con vittoria di spese.

Si costituiva con memoria del 24 maggio 2019 l'Agenzia delle Entrate che chiedeva il rigetto dell'appello, con vittoria delle spese, sostenendo che fosse passato in giudicato (perché non impugnato) il capo che aveva dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva.

In subordine contestava nel merito l'appello ma non prendeva posizione in ordine all'inerenza o meno del credito erariale con i bisogni della famiglia dell'appellante.

Si costituiva anche Agenzia delle Entrate - Riscossione, con memoria dell'8 gennaio 2020, con cui chiedeva il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria delle spese, riportando ampia giurisprudenza di merito e di legittimità ad integrazione di quella richiamata nella sentenza impugnata.

L'appellante insisteva con memoria, producendo l'attestazione relativa al passaggio in giudicato della sentenza che aveva riconosciuto illegittima l'iscrizione ipotecaria a carico degli stessi beni per la quota di proprietà del coniuge.

All'odierna udienza le parti discutevano come da verbale e la causa era decisa, all'esito della camera di consiglio, come da sentenza e relativo dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'appello è fondato e va, conseguentemente, accolto.

Invero - anche a prescindere dalla questione (in ipotesi pregiudiziale) del giudicato formatosi sull'illegittimità dell'iscrizione ipotecaria sugli stessi beni per la quota del coniuge dell'appellante e degli effetti di tale giudicato sul presente giudizio - resta il fatto che il primario tema giuridico su cui la sentenza impugnata si poggia (vale a dire l'asserito carattere speciale delle norme codicistiche in materia e loro inidoneità ad essere applicate analogicamente a situazioni diverse dall'esecuzione) sia stato risolto dalla Suprema Corte in termini opposti a quelli ritenuti dal giudice di prime cure.

Al riguardo giova richiamare un passaggio della più recente posizione giurisprudenziale del Supremo Collegio (Cass. civile Sez. 3 - Sentenza n. 20998 del 23/08/2018, successiva a quella pur richiamata nella sentenza 312/2/2018 della Commissione tributaria provinciale di Treviso): "Al riguardo, deve precisarsi che questa Corte, dopo alcuni arresti (cfr. Cass. 19667/2014, Cass. 15354/2015 e Cass. 10794/2016) che avevano affermato che l'esecuzione richiamata dall'art. 170 c.c. fosse estranea all'iscrizione ipotecaria che, quindi, doveva ritenersi generalmente consentita, ha statuito più specificamente, con principio al quale questo Collegio intende dare continuità, che "in tema di riscossione coattiva delle imposte, l'iscrizione ipotecaria di cui D.P.R. 602 del 1973, ex articolo 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall'articolo 170 cod. civ., sicché è legittima solo se l'obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l'estraneità ai bisogni della famiglia" (cfr. Cass. 23876/2015)".

La Corte, nell'occasione, ha anche opportunamente chiarito al punto 3.2 che "... i beni costituenti fondo patrimoniale non possono essere sottratti all'azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell'obbligazione sia quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso oggettivo, ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell'indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari.", specificando che è indispensabile che « ... l'indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell'obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti ai all'azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell'obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell'indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari."(cfr. Cass. 4011/2013; Cass. 5385/2013 )".

Così definito il paradigma normativo di riferimento, è agevole constatare la fondatezza dell'appello, dal momento che la sentenza impugnata non risulta aver affrontato, neanche indirettamente, quella che la Suprema Corte ritiene dover essere, invece, l'oggetto necessario dell'indagine giudiziaria in simili fattispecie.

Va premesso che la natura in sé illecita dell'attività a monte del credito tributario comporta la necessaria conoscenza, da parte del creditore, della sua intrinseca estraneità ai bisogni della famiglia.

Per il resto sembra proprio che la sentenza appellata (contrariamente a quella resa dalla stessa Commissione tributaria provinciale, in diversa composizione, nei confronti del marito, che ha abbondantemente motivato sul punto) abbia omesso di compiere alcuna valutazione su quelle che erano state rappresentate - senza alcuna contestazione avversaria e, dunque, da ritenere per questo provate - come le concrete "possibilità economiche familiari" allo scopo di stabilire se anche i proventi dell'attività illecita oggetto della pretesa tributaria fossero o meno indispensabili al sostentamento della famiglia.

Così nella tabella a pag. 10 dell'appello è documentato- in base a quanto ritualmente prodotto nel giudizio tributario - che mediamente la famiglia dell'appellante ha avuto, nel periodo oggetto di contestazione tributaria, la disponibilità di un reddito lordo medio annuo di circa 150.000,00 euro, vale a dire una disponibilità economica pari al triplo di quella di cui normalmente godono le famiglie del ceto medio (impiegati ed insegnanti).

Il mantenimento di una famiglia normale è, dunque, assicurato (e dimostrato) con una simile disponibilità economica continuativa che rende oggettivamente superfluo a tali fini (oltre che non giustificato sul piano logico) l'impiego anche di risorse economiche aggiuntive date dai proventi dell'attività illecita.

E' ben vero che tale constatazione potrebbe perdere di rilevanza ave fosse risultato che la famiglia in questione, per mantenere, in ipotesi, uno speciale tenore di vita di cui concretamente avesse goduto, avesse avuto necessità di disporre di risorse superiori ai redditi fiscalmente denunciati e fosse stata costretta ad impiegare, dunque, a tal fine anche i proventi dell'attività illecita ai danni dell'erario svolta dalle società di cui i coniugi erano soci.

Così, per fare un esempio, se fosse risultato che la famiglia poteva disporre, negli anni di riferimento, di grandi imbarcazioni, magari con impiego di equipaggio, di super cars, di aerei privati o di qualunque altro bene di lusso, è evidente che quello stesso reddito lordo di 150.000,00 euro l'anno sarebbe stato del tutto insufficiente a garantirne la fruizione.

Ma tale eventualità - qualora si fosse verificata - avrebbe dovuto essere eccepita e provata dalle appellate Amministrazioni finanziarie, nel rispetto del principio di cui all'art. 2697, secondo comma c.c., le quali, invece, nulla hanno eccepito al riguardo, nella erronea convinzione - l'osservazione vale soprattutto per l'Agenzia delle Entrate, titolare di tutte le informazioni rilevanti al fine di ricostruire il tenore di vita del contribuente che la materia non riguardasse il titolare della pretesa impositiva.

Tale erronea convinzione è stata, poi, condivisa dalla sentenza appellata che per questo ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'Agenzia delle Entrate non considerando che fossero stati in discussione, a causa del fatto che erano stati colpiti beni protetti ai sensi dell'art. 170 c.c., aspetti relativi al tenore di vita della contribuente da cui dipendeva il giudizio sulla legittimità dell'iscrizione ipotecaria.

Quando è in discussione, come nel caso di specie, la valutazione delle "possibilità economiche familiari" del contribuente è, tuttavia, proprio e soltanto il titolare della pretesa tributaria l'unico soggetto legittimato a contraddire la difesa avversaria, eccependo e fornendo la prova di un tenore di vita in concreto superiore - alle disponibilità offerte dai redditi legalmente dichiarati, tale da giustificare l'impiego a tal fine anche dei proventi illeciti.

L'appello deve, pertanto, essere integralmente accolto dichiarando l'illegittimità dell'iscrizione ipotecaria, in violazione dell'art. 170 c.c., su beni dell'appellata, meglio indicati in dispositivo, in quanto già conferiti al fondo patrimoni al e a sostegno dei bisogni della famiglia.

Gli appellati soccombenti vanno quindi condannati al pagamento delle spese di lite per entrambi i gradi del giudizio, che si liquidano come da dispositivo, considerato da un lato il carattere consolidato della giurisprudenza della Suprema Corte sull'art. 170 c.c.; dall'altro l'esistenza di un precedente negativo specifico riguardante il coniuge, compiutamente motivato, che avrebbe dovuto indurre ad un ben diverso comportamento processuale in relazione a temi giuridici che pure erano venuti in rilievo in quella sede.

                                                            PQM

Definitivamente pronunciando così provvede:

1) accoglie l'appello, e, in totale riforma della sentenza impugnata, dichiara illegittima l'iscrizione ipotecaria nei confronti dell'appellante sui seguenti beni, meglio definiti in atti: a) abitazione in comune di Resana per la quota del 50%; b) terreno sito in comune di Resana per la quota del 50%;

2) per l'effetto ordina la cancellazione delle suddette iscrizioni ipotecarie a cura e spese del creditore procedente;

3) condanna infine gli appellati al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio che liquida per ciascuno di essi e per ciascun grado, nella misura di euro 3.000,00 oltre agli accessori di legge.

Venezia Mestre 4 febbraio 2020.

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