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Se l’Agenzia delle Entrate richiama nell’atto le disposizioni di legge sbagliate, l’atto contrasta con l’art. 7 dello Statuto, e deve essere annullato. La CTR conferma la nullità integrale del provvedimento dell’Agenzia.

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Estratto: a mente dell'art. 7 L.212/2000 nonché del rimando ivi sancito all'art. 3 L.241/1990, gli atti dell'Amministrazione finanziaria devono essere motivati indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione amministrativa. Orbene, l'Ufficio stesso, nella propria memoria integrativa, riconosce come il provvedimento di sospensione recasse presupposti normativi errati. All'accertamento dell'erroneità dei presupposti normativi indicati nell'atto impugnato dalla contribuente deve necessariamente conseguire la conferma dell'illegittimità dello stesso”.

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Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 1

Sentenza del 11/06/2019 n. 2475 -

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'Agenzia delle Entrate D.P.l di Milano, propone appello avverso la sentenza della CTP di Milano n. 1586/18/2018 che, in accoglimento del ricorso proposto dalla società contribuente B. V. B., ha annullato il provvedimento di sospensione del rimborso IVA per l'anno 2013, prot. 2017/9… , per un importo di € 544.315,00.

La contribuente, infatti, in qualità di capogruppo estera delle controllate italiane B. C. I. spa, B. C. Ma. I. spa e D. srl, per l'anno d'imposta 2013 optava per la liquidazione IVA di gruppo ai sensi dell'art. 73, terzo comma, D.P.R. 633/1972 e del D.M. 13.12.1979, e presentava richiesta di rimborso per € 1.244.315,00, importo che veniva parzialmente rimborsato alla contribuente nella misura di € 700.000,00; il rimborso della restante porzione di € 544.315,00 veniva sospeso con il provvedimento de quo, emesso a seguito di una verifica sulle società del gruppo, in esito alla quale era emersa le pendenza di contenziosi tributari a carico delle controllate.

La B. V. B. N. deduceva l'illegittimità dell'atto di sospensione del rimborso IVA per i vizi formali di emissione del provvedimento in assenza di contraddittorio, di inesistenza della notificazione, di mancata notifica alle società controllate e di sottoscrizione illegittima; nel merito lamentava un difetto di motivazione, la riferibilità del credito alla sola controllante nonché l'illegittima emissione nei confronti di un soggetto estraneo ai rapporti tributari di cui ai contenziosi pendenti, esclusivamente a carico delle controllate.

Il Primo Collegio accoglieva il ricorso della contribuente, disattendendo le difese dell'Ufficio sia quanto all'eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso, sia quanto alla pretesa legittimità dell'operato dell'UT di Milano ai sensi dell'art.38 bis D.P.R. 633/1972. I giudici di primo grado rilevavano come non sussistessero, nel caso di specie, né i presupposti per l'applicazione dell'art. 38 bis D.P.R. 633/1972, relativo alle ipotesi in cui si proceda penalmente per frodi fiscali nei confronti del richiedente il rimborso, né quelli di cui all'art. 23 D.Lgs 472/1997, non essendo ravvisabile alcuna obbligazione solidale della contribuente rispetto ai contenziosi tributari in attesa di definizione. La CTP di Milano annullava quindi l'atto di sospensione avviso di accertamento, affermando che: "In sintesi, laddove il rimborso IVA è stato richiesto e riconosciuto (nonché parzialmente versato) alla ricorrente in base a una propria eccedenza IVA, la impugnata sospensione parziale di detto rimborso appare invece illegittimamente riferita in modo generico a situazioni di contribuenti terzi, sebbene società controllate dalla ricorrente medesima. ".

L'Ufficio appella la suddetta sentenza, lamentando l'erroneo convincimento del Primo Collegio in ordine al mancato riconoscimento, in capo alla società capogruppo, della natura di coobbligata con le società controllate. L'appellante rileva come la B. V. B. N., detentrice del controllo totale, abbia un'influenza dominante sulle controllate in relazione alle comuni attività economiche commerciali svolte e agli scambi commerciali infragruppo, originanti le eccedenze a debito e credito IVA; rileva altresì come tutti i contenziosi tributari delle controllate, espressamente indicati in atti, siano riferibili alla contestazione della violazione di norme in tema di transfer pricing, di talché non si potrebbe considerare l'appellata come soggetto estraneo ai carichi pendenti gravanti sulle società del gruppo.

Costituitasi in giudizio, la contribuente contesta tutte le deduzioni formulate dall'appellante, eccependo l'inammissibilità dell'appello per illegittimità della sottoscrizione, la formazione del giudicato interno sul capo della sentenza relativo all'insussistenza dei presupposti ex art. 38 bis D.P.R.633/72 e sulla riferibilità del credito chiesto a rimborso esclusivamente alla società controllante, l'infondatezza nel merito dell'appello e riproponendo in via incidentale le domande formulate in primo grado, ivi compresa la richiesta di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria.

La Commissione Tributaria Regionale

OSSERVA

L'appello non è fondato.

Preliminarmente deve essere rigettata l'eccezione, avanzata dalla contribuente, di inammissibilità dell'atto introduttivo del gravame per difetto di sua sottoscrizione.

Il file digitale contenente l'atto, infatti, risulta correttamente munito di estensione ".p7m ", comprovante la sottoscrizione, e non risulta alcun vizio relativo al certificato di firma digitale rilasciato alla firmataria.

Esaminando invece il merito del gravame, si condivide l'assunto della contribuente circa la formazione del giudicato in ordine all'insussistenza dei presupposti applicativi dell'art. 38 bis D.P.R. 633/72.

Come correttamente rileva la contribuente, nell'atto introduttivo del presente gravame le censure mosse alla sentenza impugnata dall'appellante riguardano unicamente la statuizione relativa alla inapplicabilità dell'art. 23 D.Lgs. 472/1997, afferente alla ritenuta insussistenza di un rapporto di coobbligazione tra la capogruppo e le controllate in ordine ai contenziosi tributari a carico di queste ultime.

Nulla deduce l'Ufficio invece, nell'atto di appello, in ordine al capo della sentenza impugnata nel quale i Primi Giudici, accogliendo il motivo di ricorso della contribuente relativo all'illegittimità del provvedimento sospensivo, escludevano l'applicabilità dell'art. 38 bis D.P.R. 633/72.

Ciò premesso, è opportuno rilevare come, nella fattispecie per cui è causa, l'Ufficio avesse espressamente titolato il provvedimento sospensivo riferendolo all'art.38 bis D.P.R. 633/72, e non già di altra normativa, ivi incluso l'art. 23 D.Lgs. n. 472/1997, limitandosi a menzionare l'esistenza di carichi pendenti a carico delle controllate italiane della contribuente.

Come noto, a mente dell'art. 7 L.212/2000 nonché del rimando ivi sancito all'art. 3 L.241/1990, gli atti dell'Amministrazione finanziaria devono essere motivati indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione amministrativa.

Orbene, l'Ufficio stesso, nella propria memoria integrativa, riconosce come il provvedimento di sospensione recasse presupposti normativi errati.

All'accertamento dell'erroneità dei presupposti normativi indicati nell'atto impugnato dalla contribuente deve necessariamente conseguire la conferma dell'illegittimità dello stesso.

In ogni caso, poi, risulta pacifica l'insussistenza di pendenze a carico della contribuente, che non è stata destinataria dei medesimi avvisi di accertamento emessi nei confronti delle controllate italiane, ai quali l'Ufficio fa rifermento nella motivazione del provvedimento di sospensione.

Tali avvisi di accertamento ed i relativi contenziosi tributari avviati dalle controllate, peraltro, non riguardano l'IVA, bensì l'IRES e l'IRAP, di talché risulta inapplicabile al caso di specie l'art. 6 D.M. 13 dicembre 1979, dal quale l'appellante farebbe discendere una solidarietà tributaria tra società capogruppo e controllate.

Pertanto l'appello non può trovare accoglimento.

Nel caso di specie va tuttavia respinta la richiesta risarcitoria formulata incidentalmente dalla contribuente ex art. 96 c.p.c. in quanto questo Collegio ritiene non sussista alcun elemento di responsabilità aggravata per lite temeraria, posto che dalle verifiche effettuate era effettivamente emersa la circostanza della presenza di contenziosi tributari a carico delle società del gruppo, idonea ad escludere profili di malafede o di colpa grave in capo all'Agenzia delle Entrate.

PQM

la Commissione rigetta l'appello e conferma la sentenza impugnata.

Condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento, a favore della contribuente, delle spese di lite per il presente grado di giudizio quantificate nella somma di € 6.612,50 oltre 15% per spese generali, oltre IVA, c.p.a. e contributo unificato versato.

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DLP