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Frode Carosello: se l’Agenzia delle Entrate ti contesta la partecipazione ad una frode carosello deve provarlo. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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In questo articolo si forniranno alcune indicazioni di massima su una particolare tipologia di contestazione fiscale: il caso in cui l'Agenzia delle Entrate contesta al contribuente di aver partecipato ad una c.d. frode carosello, chiarendo che la prova spetta, da ultimo, all’Agenzia delle Entrate.

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Di che si tratta?

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente una presunta partecipazione ad una c.d. frode carosello, sta contestando al contribuente la presunta partecipazione ad un meccanismo finalizzato ad evadere l’IVA, attraverso un uso strumentale della normativa che regola gli acquisti intracomunitari.

In particolare, tutti noi sappiamo che, di regola, quando viene acquistato qualcosa chi che versa l’IVA nelle mani dello Stato è il venditore (e lo vediamo ogni volta che acquistiamo da un negoziante, noi paghiamo l’IVA al negoziante che verserà l’IVA allo Stato). Questa è la regola (anche se vi sono molte eccezioni).

Ben diverso è il sistema che regola gli acquisti intracomunitari.

Negli acquisti intracomunitari, il soggetto IVA italiano che acquista da un fornitore comunitario (residente in altro Stato Membro), è lui stesso (che in quella transazione è acquirente e non venditore), ad essere gravato degli obblighi di versamento dell’IVA.

In pratica in questo caso è l’acquirente che verserà l’IVA. Inoltre, quando venderà il bene sarà, anche rispetto a tale operazione, il soggetto che è tenuto a versare l’IVA (stavolta nella qualità di venditore, in conformità alla regola che abbiamo visto sopra).

Posto tale meccanismo, si è diffusa la pratica evasiva di costituire (nelle ipotesi classiche era lo stesso acquirente a promuoverne la costituzione) società cartiere italiane che facevano finta di essere i veri acquirenti e per l’appunto acquistano dall’estero i beni che in realtà era un terzo (reale acquirente) a voler acquistare; società cartiere che poi rivendevano al reale acquirente il bene.

Così le cartiere accumulavano un rilevante debito IVA, sia in quanto acquirenti che venditori, e venivano presto chiuse, con l’effetto di permettere all’acquirente reale, in sostanza, di acquistare senza IVA.

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La giurisprudenza è intervenuta ribadendo in più occasioni come l’Agenzia delle Entrate, se contesta una presunta partecipazione del contribuente ad una frode carosello, deve fornirne la prova.

Ecco alcune di tali sentenze

In tema d'I.V.A., l'Amministrazione Finanziaria che contesta la cd. "frode carosello" deve provare, anche a mezzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, gli elementi di fatto attinenti al cedente (la sua natura di "cartiera", l'inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell'I.V.A.), oltre alla connivenza da parte del cessionario. Vanno in altre parole individuati gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell'irregolarità delle operazioni. Per converso, spetta invece al contribuente che ha portato in detrazione l'IVA, la prova contraria di aver concluso realmente l'operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l'impiego della dovuta diligenza, di evitare lo stato d'ignoranza in merito al carattere fraudolento delle operazioni. Tuttavia, qualora l'Ufficio non assolva al proprio onere probatorio non è necessario procedere ad alcuna ulteriore verifica in merito al comportamento diligente o alla buona fede del contribuente. Ne deriva, altresì, che in assenza di un minimum di condotta penalmente rilevante, è illegittimo il raddoppio dei termini di decadenza dell'azione accertatrice”: Comm. Trib. Reg. per le Marche Sezione/Collegio 5; Sentenza del 09/01/2017 n. 6;

“l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente”: Corte di Cassazione, Sez. V, Ordinanza n. 26464 del 19 ottobre 2018;

 dalla lettura della motivazione della impugnata sentenza ("sono proprio le modalità - la cui illustrazione, si badi, è del tutto assente nel corpo della decisione - attraverso le quali si sono realizzate le operazioni commerciali, che palesano la carenza di buona fede da parte del contribuente"), infatti, non è dato cogliere quali siano gli elementi (anche, per quanto detto, di carattere presuntivo) valorizzati dalla C.T.R. onde giungere alla conclusione della consapevolezza, ad opera della S., di partecipare ad una frode carosello; - che l'impugnata decisione debba essere, pertanto, cassata”: Corte di Cassazione, Sez. 5, Ordinanza n. 20497 del 30 luglio 2019;

Dai menzionati principi di diritto si evince che, ai fini del disconoscimento della detraibilità dell'IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l'Agenzia delle entrate ha l'onere di provare, sulla base di elementi indiziari: a) la fittizietà del soggetto interposto; b) la consapevolezza del soggetto beneficiario, sulla base di elementi indiziari non limitati alla mera fittizietà del fornitore, della sussistenza di una evasione fiscale”: Corte di Cassazione, Sez. 5, Ordinanza n. 8146 del 22 marzo 2019.

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Le ipotesi sono tuttavia moltissime e non è possibile esaminare dettagliatamente la tematica in questa sede.

 

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