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Non vi era la prova della consapevolezza del contribuente. Anche la Cassazione conferma la nullità degli avvisi con cui si contestava la partecipazione ad una frode carosello. Agenzia delle Entrate condannata a pagare 30.000 euro di spese processuali Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “l'Agenzia delle entrate non può sostituire alla valutazione del giudice di merito la propria diversa interpretazione dei medesimi fatti, né gli elementi la cui valutazione sarebbe stata omessa possono essere considerati decisivi ai fini della decisione, non potendo ragionevolmente trarsi dagli stessi conclusioni inequivoche in relazione alla conoscenza della frode da parte della società contribuente; 4. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna dell'Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 28043 del 31 ottobre 2019

RILEVATO CHE

1. con sentenza n. 48/24/12 del 09/05/2012 la Commissione tributaria regionale del Veneto (di seguito CTR) accoglieva l'appello proposto dalla D. s.p.a. avverso la sentenza n. 41/06/11 della Commissione tributaria provinciale di Vicenza (di seguito CTP), che aveva respinto i ricorsi riuniti della società contribuente avverso tre avvisi di accertamento a fini IRES, IRAP ed IVA relativi agli anni di imposta 2003-2005;

1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR: a) gli avvisi di accertamento erano stati emessi sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione del 17/07/2008, che dava conto di una indagine di polizia tributaria riguardante le operazioni commerciali (cessioni di telefoni cellulari) intraprese dalla società contribuente con altre società, reali o fittizie, e le rivendite della merce alla P. s.r.I., con partecipazione della stessa a un complesso meccanismo volto a frodare il fisco (cd. frodi carosello); b) la CTP, previa riunione dei tre ricorsi proposti dalla D. s.p.a., li respingeva; c) la sentenza della CTP era impugnata dalla società contribuente;

1.2. su queste premesse, la CTR motivava l'accoglimento dell'appello evidenziando, per quanto ancora interessa in questa sede, che gli indizi forniti dalla Agenzia delle entrate non erano sufficienti per ritenere che la D. s.p.a. potesse accorgersi della truffa che si stava perpetrando ai danni dell'Erario, risultando estranea alla frode supposta dai verificatori;

2. l'Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con tempestivo ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo;

3. la D. s.p.a. resisteva con controricorso.

CONSIDERATO CHE

1. con l'unico motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., motivazione insufficiente su fatto controverso, evidenziando che la CTR avrebbe confuso le due distinte operazioni oggetto di accertamento (partecipazione della D. s.p.a. ad una frode carosello in qualità di soggetto interposto; acquisto della merce da soggetti fittizi) e avrebbe escluso per entrambe l'insussistenza della consapevolezza della società contribuente alla frode perpetrata ai danni dell'Erario valorizzando solo alcuni elementi indiziari e parcellizzando la loro valutazione;

3. il motivo è inammissibile per almeno due ordini di ragioni; 3.1. in primo luogo, come anche eccepito dalla controricorrente, il motivo difetta della necessaria specificità;

3.1.1. è vero che la difesa erariale riporta ampi stralci dell'avviso di accertamento, ma si fa per lo più riferimento alla sentenza di primo grado e non già al materiale probatorio da quest'ultima esaminato e, in particolare, al processo verbale di constatazione: trattasi di riferimenti assolutamente necessari ai fini della delibazione del motivo proposto, che questa Corte non può reperire altrove;

3.2. secondariamente e in ogni caso, il motivo tende ad ottenere una rivalutazione nel merito del materiale probatorio, a dispetto della valutazione comunque compiuta dalla CTR;

3.2.1. come di recente evidenziato dalla S.C., «in tema di IVA, l'Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta; la prova della consapevolezza dell'evasione richiede che l'Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l'operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda);

3.3. posto che nel caso di specie non è in discussione la sussistenza delle due frodi perpetrate ai danni dell'Erario, il fatto controverso di cui si discute è la consapevolezza della D. s.p.a. in ordine alla sussistenza di tale frode, espressamente esclusa dalla CTR che ha dato conto delle ragioni del proprio convincimento sulla base dell'esame degli elementi probatori dalla stessa ritenuti rilevanti;

3.4. secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione» (Cass. n. 19547 del 04/08/2017);

3.4.1. è stato, inoltre, evidenziato che «con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità» (Cass. n. 29404 del 07/12/2017);

3.5. nella fattispecie, tralasciando ogni questione attinente alla ripartizione dell'onere probatorio tra le parti, non oggetto di specifica denuncia da parte della difesa erariale, questa Corte non ritiene che la CTR abbia parcellizzato gli elementi di prova presuntiva, avendo il giudice di appello correttamente scelto gli elementi ritenuti rilevanti, indicando quelli posti a base del proprio convincimento;

3.6. l'Agenzia delle entrate non può sostituire alla valutazione del giudice di merito la propria diversa interpretazione dei medesimi fatti, né gli elementi la cui valutazione sarebbe stata omessa possono essere considerati decisivi ai fini della decisione, non potendo ragionevolmente trarsi dagli stessi conclusioni inequivoche in relazione alla conoscenza della frode da parte della società contribuente;

4. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna dell'Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avito conto di un valore della lite dichiarato di euro 20.469.772,00.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 30.000,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del quindici per cento e agli accessori di legge. Così deciso in Roma il 5 febbraio 2019.

 

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