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Esaminando i fatti si sarebbe potuti arrivare a diverse conclusioni. Accolto il ricorso per cassazione del contribuente. Cassata la sentenza che aveva riformato la sentenza di primo grado (che già vedeva vittorioso il contribuente).

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Estratto: “in presenza di operazioni non fittizie ma reali, la CTR ha utilizzato argomentazioni in parte generiche e in parte apodittiche per ritenere sussistenti i caratteri dell'operazione abusiva, senza approfondirne le caratteristiche alla luce dei principi in materia enunciati dal giudice Europeo prima, e dal giudice della Legittimità poi e quindi omettendo l'esame di fatti controversi la cui corretta disamina avrebbe potuto condurre a diverse conclusioni”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5 ,

Ordinanza n. 25068 dell'8 ottobre del 2019

Rilevato che:

- con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure riformava la decisione della CTP relativa a operazioni doganali eseguite nel corso del 2008, che aveva annullato l'atto impugnato;

- con tal atto l'Erario recuperava maggiori dazi e IVA all'importazione sulle merci in parola, in quanto sosteneva l'utilizzo abusivo, in sintesi, di certificati AGRIM per l'importazione a dazio agevolato di carne bovina dall'Uruguay a beneficio della società XXXXXX la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione la società contribuente affidato a tre motivi; resiste l'Amministrazione finanziaria con controricorso;

Considerato che:

- con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. circa un fatto controverso del giudizio, consistente nella natura "abusiva" dell'operazione posta in essere dalle società coinvolte nella stessa;

- il secondo motivo denuncia analoga violazione in ordine alla insussistenza di insufficiente motivazione dell'avviso di accertamento, ancora in con riferimento alla natura "abusiva" delle operazioni di importazione contestate;

- parte ricorrente, in sintesi, ritiene che la CTR abbia erroneamente ritenuto che l'operazione doganale contestata sia stata perfezionata in frode alla legge, derivandone un vantaggio tributario in capo alle contribuenti non consentito, sia pur indirettamente, dall'ordinamento indicando, quale fatto controverso, l'accertamento in ordine al reale ruolo svolto dalla società contribuente nell'ambito delle importazioni di cui si discuteva ed all'eventuale esistenza di un vero e proprio aggiramento della normativa volto a realizzare importazioni a dazio agevolato in numero superiore al consentito;

- gli stessi sono strettamente connessi, possono quindi esaminarsi congiuntamente e sono fondati;

- invero, nota la Corte come - a fronte di una apparente denuncia di vizio motivazionale - il contribuente censuri in realtà la sentenza impugnata anche per erronea applicazione della disciplina eurounitaria in tema di "abuso del diritto", segnalando come la CTR non abbia chiarito e abbia quindi commesso errore di diritto nel ritenere certamente sussistente un utilizzo abusivo delle relazioni contrattuali tra le parti per ottenere indirettamente l'applicazione del dazio agevolato sulla carne suina oggetto delle importazioni, senza che ne sussistano i presupposti (poiché in ciò consiste l'operazione abusiva del diritto); - secondo l'amministrazione doganale, infatti, i contratti posti in essere dalla contribuente con la XXXXXXXX s.r.l. comportavano, in sintesi, l'acquisto da parte di quest'ultima della merce allo stato estero, quindi la cessione della stessa, ai soli fini del risparmio del dazio, alla ricorrente; CNSs.r.I., a sua volta, una volta sdoganati i beni senza neppure averne la disponibilità li rivendeva a XXXXXXX;

- a fronte di tale situazione, in presenza di operazioni non fittizie ma reali, la CTR ha utilizzato argomentazioni in parte generiche e in parte apodittiche per ritenere sussistenti i caratteri dell'operazione abusiva, senza approfondirne le caratteristiche alla luce dei principi in materia enunciati dal giudice Europeo prima, e dal giudice della Legittimità poi e quindi omettendo l'esame di fatti controversi la cui corretta disamina avrebbe potuto condurre a diverse conclusioni;

- questa Corte ha infatti affermato (Cass. n. 8041 del 2017; n. 2067) 2068 e 2069 del 2017, in ultimo anche Cass. n. 707 del 2017) che "in applicazione dei principi rivenienti »dalla sentenza della Corte di giustizia dell'UE del 14 aprile 2016, causa C131/14, Cervati e Malvi, se in via astratta di principio il diritto dell'UE (e, in particolare, le norme rilevanti ivi indicatedei regolamenti 565/2002 e 2988/95) non osta a un meccanismo mediante il quale un importatore tradizionale, che non disponga di un titolo nell'ambito del contingente GATT, si rivolga a un altro operatore comunitario che, acquistata la merce da un fornitore extracomunitario, la ceda allo stato estero ad altro importatore il quale, senza trasferire il proprio titolo, immetta la merce nel mercato dell'UE e poi la rivenda all'importatore tradizionale, compete in ogni caso al giudice nazionale verificare in concreto che detto meccanismo non si connoti come abuso del diritto;

- tale abuso va quindi accertato secondo un case-by-case approach verificando in concreto che: a) anzitutto, in relazione alle esigenze che il meccanismo, dal punto di vista dell'elemento oggettivo, sia rivelatore di una pratica abusiva:

- non comporti un'influenza indebita di un operatore sul mercato e, in particolare, un'elusione, da parte degli importatori tradizionali, del divieto di superamento di quantità superiore alla quantità di riferimento dell'importatore di cui trattasi;

- non comporti violazione dell'obiettivo secondo cui le domande di titoli devono essere connesse ad un'attività commerciale effettiva, e non meramente apparente;

- ogni fase del meccanismo si svolga a fronte di un prezzo corrispondente al prezzo di mercato (in tal senso ogni operatore coinvolto deve percepire una remunerazione adeguata per l'importazione, la vendita o la rivendita della merce di cui trattasi, che gli consenta di mantenere la posizione assegnatagli nell'ambito della gestione del contingente);

- l'importazione a dazio agevolato venga effettuata mediante titoli legalmente ottenuti dal loro intestatario in secondo luogo, una volta accertato il sussistere dell'elemento oggettivo predetto, Ma in relazione all'esigenza che sussista l'elemento soggettivo di conferire al secondo acquirente nell'unione un vantaggio indebito:

- l'importazione sia stata finalizzata a conferire un tale vantaggio indebito a detto secondo acquirente;

- le operazioni siano prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale per l'importatore nonché per gli altri Operatori intervenuti nel meccanismo (dato riscontrabile dal giudice nazionale, ad esempio, a seconda di se il prezzo di vendita della merce sia fissato a un livello tale da permettere o meno all'importatore e agli altri operatori intervenuti nel meccanismo di trarre un guadagno considerato normale o abituale, nel settore interessato, per il tipo di merce e di operazione in questione);

- la CTR non ha esaminato né valutato la sussistenza o meno di alcuno degli elementi di cui si è appena detto;

 pertanto essa non ha adeguatamente valutato la sussistenza di fatti controversi essenziali per il giudizio;

il terzo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 12 comma 7 del d.lgs.  212 del 2001 in quanto il secondo giudice ha ritenuto erroneamente che la violazione di tali disposizioni non abbia comportato l'illegittimità dell'atto impugnato; il motivo è infondato; va premesso che questa Corte ha da tempo ritenuto che la garanzia partecipativa di cui all'art. 12 opera e si giustifica nelle sole ipotesi in cui l'amministrazione utilizzi gli strumenti degli accessi, ispezioni o verifiche da effettuarsi presso i locali di esercizio dell'attività del contribuente od altrimenti su beni in sua disponibilità.

Diversamente, nel caso in cui l'attività dell'accertamento sia svolta - come nel presente caso - in ufficio sulla base di informazioni già nella disponibilità dei verificatori, non è necessario assicurare un intervallo temporale intermedio per raccogliere eventuali osservazioni da parte del destinatario dell'avviso di rettifica. La ratio dell'art. 12 è quella che le maggiori garanzie procedimentali devono essere assicurate solo a seguito di accessi, ispezioni e verifiche fiscali svolte nei locali destinati ad attività commerciali, agricole, artistiche o professionali compiute sulla base di esigenze effettive di indagini e controllo sul luogo e garantendo la massima riservatezza e discrezione nell'attività ispettiva. A sostegno di tale interpretazione, si richiama l'articolo 92 del d.l. 1/2012, con il quale è stata espressamente prevista una diversa tutela procedimentale dell'operatore in caso di controlli eseguiti successivamente all'effettuazione dell'operazione doganale, anche qualora il controllo si sia svolto esclusivamente presso gli uffici doganali; - la norma in questione ha aggiunto il comma 4-bis dopo il comma 4 dell'art. 11 del d.lgs. 374 del 1990, decreto che espressamente ha riguardato il "riordinamento degli istituti doganali e revisione delle procedure di accertamento (...)" allo scopo di dare adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia del 17 giugno 2010 (causa C423/08) in materia di riscossione a posteriori e accreditamento delle risorse proprie comunitarie. La norma in vigore, seppur ispirata ai principi dello Statuto - pur definendo una diversa previsione temporale (30 giorni in questo caso, 60 nel caso dell'articolo 12 dello statuto del contribuente) entro la quale l'operatore interessato può comunicare osservazioni e richieste -, è diretta conseguenza dell'articolo 16, paragrafo 4 del Reg. 450/2008, che ha stabilito il diritto d'ascolto in materia doganale (e, come tale, norma speciale e di settore), con ciò dimostrando che l'art. 12 dello Statuto del contribuente non doveva essere applicato fuori dai limiti normativi previsti; - alla luce di quanto sopra, risulta quindi ora chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte che in tema di avvisi di rettifica in materia doganale è invero del tutto inapplicabile l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, operando in tale ambito proprio lo jus speciale di cui all'art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, nel testo utilizzabile ratione temporis, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto all'impugnazione in giudizio del suddetto avviso, come confermato dalla normativa sopravvenuta (d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27), la quale, nel disporre che gli accertamenti in materia doganale sono disciplinati in via esclusiva dall'art. 11 del d.lgs. n. 374 cit., ha introdotto un meccanismo di contraddittorio assimilabile a quello previsto dallo Statuto del contribuente (Cass. 2 luglio 2014, n. 15032; in ultimo anche Cass. 52 gennaio 2019, n. 2175); - in materia doganale, infatti, il rispetto dei principio del contraddittorio nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente previsto dal Reg. (CEE) n. 2913 del 1992 (codice doganale comunitario) - sostituito dal Reg. (UE) n. 952 del 2013 (codice doganale dell'Unione) - deriva dunque dal disposto dell'art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 e costituisce, in ogni caso, un principio generale del diritto dell'Unione europea, che trova applicazione tutte le volte che l'Amministrazione possa assumere nei confronti di un soggetto un atto lesivo (Cass. 23 maggio 2018, n. 12832); - pertanto, il ricorso deve esser accolto limitatamente ai motivi accolti e la sentenza cassata con rinvio entro detti limiti;

p.q.m.

accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso;

rigetta il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Liguria, in diversa composizione, che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.

 

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