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Se l’Agenzia contesta che vi è stata una plusvalenza maggiore a seguito della vendita di un immobile, è essa stessa che deve provare che vi è simulazione parziale relativamente al prezzo di vendita. Accolto il ricorso della società immobiliare. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso di un'unità immobiliare, l'onere di fornire la prova che l'operazione è parzialmente (quanto al prezzo di vendita) simulata, spetta all'Amministrazione finanziaria, la quale adduca l'esistenza di maggiori ricavi”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 30364 del 21 novembre 2019

FATTI DI CAUSA

1. L'Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della A. s.r.l., per l'anno 2004, rideterminando i prezzi di vendita degli immobili, alla stregua delle fatture di vendita, dei contratti notarili, dei dati catastali (categoria, classe, livello di piano, finiture, dimensioni, pertinenze e servizi), muovendo dai dati dell'Osservatorio del Mercato Mobiliare (OMI), applicando i coefficienti di adeguamento di cui al Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 27-7-2007, raffrontando tali elementi con "altre banche dati in possesso dell'Ufficio", con maggiori ricavi per € 592.391,00.

2. La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l'appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia, che aveva accolto il ricorso della contribuente,

evidenziando che l'Agenzia delle entrate non aveva fondato l'avviso solo sui valori OMI, ma anche sulle fatture di vendita, sugli atti notarili, sui dati catastali, con il confronto con altre banche dati in possesso dell'Ufficio, tra cui quella fornita dall'Osservatorio Immobiliare istituito presso la Camera di Commercio, aggiungendo che la contribuente non aveva fornito la prova contraria, che non vi era stata violazione della Direttiva 2006/122 CE, e che la stessa non aveva dimostrato che gli immobili erano destinati all'attività propria dell'impresa ai sensi dell'art. 40 d.p.r. 917/1986, non essendo suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.

4. Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 39 comma 1 lettera d d.p.r. 600/1973 e 54 d.p.r. 633/1972 in relazione all'art. 2697 - 2727 e 2729 c.c. - ex art. 360 n. 3 c.p.c.", in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto che l'avviso di accertamento attiene all'anno 2004, quando non era ancora in vigore il d.l. 223/2006, che non ha portata retroattiva. Solo con l'art. 35 comma 3 del d.l. 223/2006, che ha modificato l'art. 39 d.p.r. 600/1973 e l'art. 54 d.p.r. 633/1972, è stata introdotto la presunzione legale relativa con riferimento alla determinazione del valore normale del bene, determinato ai sensi dell'art. 9 comma 3 del d.p.r. 917/1986. Inoltre, l'art. 1 comma 267 della legge 255/07 ha previsto che per gli atti formati prima del 4 luglio 2006 le presunzioni di cui all'art. 35 commi 2 , 3 e 23 bis del d.l. 223/2006, valgono, agli effetti tributari, solo come presunzioni semplici. Il giudice di appello ha utilizzato come presunzioni gravi, precise e concordanti presunzioni che, invece, erano prive di tali caratteri, anche perchè i valori OMI non potevano essere utilizzati come presunzioni legali relative per atti compiuti nel 2004, prima dell'entrata in vigore del d.l. 223/2006. Nè la Commissione regionale ha tenuto conto delle prove contrarie fornite dalla società. Anche gli ulteriori indizi, diversi dai valori OMI, e quindi l'indicazione delle fatture di vendita e degli atti notarili, non sono né gravi, né precisi, né concordanti ma assolutamente generici. Allo stesso mono non godono di tali caratteristiche i dati catastali ed il "raffronto con altre banche dati in possesso dell'Ufficio".

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce "motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.", in quanto gli elementi e le circostanze indicate nella motivazione del giudice di appello non hanno una valenza specifica di prova. In particolare, la Commissione regionale si è limitata ad indicare quali presunzioni idonee al raggiungimento della prova dei maggiori ricavi elementi privi dei caratteri di gravità, precisione e concordanza. Tali caratteri non si rinvengono, infatti, né nella asserzione dell'avvenuto esame, da parte dell'Ufficio, delle "fatture di vendita" e dei "relativi atti notarili", né nel riferimento ai dati catastali ed ai valori OMI, né nel raffronto "con altre banche dati in possesso dell'Ufficio".

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della "violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del d.p.r. 600/1973 e 56 del d.p.r. 633/1972 in relazione all'obbligo di motivazione - ex art. 360 n. 3 c.p.c.", in quanto sin dal ricorso introduttivo la società ha dedotto che l'avviso di accertamento era nullo, perchè faceva riferimento ad altri atti non conosciuti né ricevuti dalla contribuente e non allegati. Il giudice di appello, invece, non ha tenuto conto della carenza di motivazione dell'avviso di accertamento, nonostante non fossero stati allegati i dati OMI e delle altre banche dati, non conosciuti né ricevuti dalla contribuente.

4. Con il quarto motivo di impugnazione (rubricato sub 6 nel ricorso per cassazione a pagina 54) la ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 54 d.p.r. 633/1972, come modificato dal d.l. 223/2006, in relazione al contrasto con la normativa comunitaria e con l'art. 73 della Direttiva del Consiglio 28-11-2008 n. 2006/112/Ce - ex art. 360 n. 3 c.p.c.", in quanto l'art. 73 della Direttiva del Consiglio del 28-11-2008 prevede che, tranne esplicite deroghe, per le cessioni di beni la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore da parte dell'acquirente. Pertanto, la norma nazionale che consente la determinazione della base imponibile dalle cessioni di beni immobili, secondo il loro valore normale, anziché secondo il corrispettivo versato, non rientra in alcuna ipotesi di deroga, sé da imporre al giudice nazionale la disapplicazione della norma in contrasto con la direttiva. Inoltre, la legge comunitaria n. 88/2009, all'art. 24 ("adeguamento comunitario di disposizioni tributarie") ha modificato il terzo comma dell'art. 54 d.p.r. 633/1972, ripristinando la situazione anteriore alla legge 248/2006, con l'eliminazione di ogni riferimento al valore normale.

5. Con il quinto motivo di impugnazione (rubricato sub 7 a pagina 62 del ricorso per cassazione) la ricorrente lamenta "motivazione omessa circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.", in quanto era fatto decisivo verificare se l'art. 54 d.p.r. 633/1973, che consentiva di accertare maggiori ricavi sulla scorta della presunzione legale relativa del valore normale dei beni, era in contrasto con i principi comunitari. La Commissione regionale invece, non ha ritenuto ravvisabile alcun contrasto dell'art. 54 d.p.r. 633/1972 con l'art. 73 della Direttiva CE 2006/112, senza indicare gli elementi di fatto che l'hanno condotta alla formazione del suo convincimento.

6. Con il sesto motivo di impugnazione (rubricato sub 8 a pagina 70 del ricorso per cassazione) la ricorrente deduce "violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c. - nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c.", in quanto la Commissione regionale, in assenza di uno specifico motivo di impugnazione in tal senso, ha ritenuto che la società non ha dimostrato che gli immobili erano destinati esclusivamente all'utilizzazione dell'impresa, e quindi erano beni strumentali, sicchè, ai sensi dell'art. 40 d.p.r. 917/1986, all'epoca vigente, non erano suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni.

6.1. I motivi primo, secondo, quarto e quinto, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

6.2. Invero, l'art. 54 comma 3 del d.p.r. 633/1972 (lo stesso principio valeva per l'art. 39 d.p.r. 600/1973), dopo il d.l. 223/2006, prevedeva che "per le cessioni aventi ad oggetto i beni immobili e relative pertinenze, la prova di cui al precedente periodo s'intende integrata anche se l'esistenza delle operazioni imponibili o l'inesattezza delle indicazioni di cui al secondo comma sono desunte sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell'articolo 14 del presente decreto". Sussisteva, quindi, una presunzione legale relativa di corrispondenza tra il valore normale dei beni immobili ceduti calcolato ai fini dell'imposta di registro e quello reale.

6.3. Peraltro, l'art. 1, comma 265, della legge 244/2007, in vigore dal 1-1- 2008, ha stabilito che le presunzioni legali relative, legate al valore normale, si applicavano soltanto per gli atti formati a decorrere dal 4-7-2006, mentre per gli atti formati anteriormente valevano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici.

6.4. Successivamente la legge comunitaria del 2008 (articolo 24 comma 5 della legge 88/2009) ha, poi, modificato tale disposizione (sia l'art. 39 d.p.r. 600/1973 sia l'art. 54 d.p.r. 633 del 1972), eliminando le disposizioni introdotte con l'art. 35 del d.l. 223 del 2006, con la conseguente previsione di una presunzione semplice, seppure corroborata dalla gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi. È stato così ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, con la soppressione della presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, sicchè il giudice può desumere l'esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti (Cass., 12 aprile 2017, n. 9474, in cui si evidenzia l'effetto retroattivo della legge comunitaria).

6.5. Questa Corte, con pronunce, cui si intendere dare seguito, ha affermato, sul punto, che, in seguito alla sostituzione dell'art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell'art. 24, comma 5, della I. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell'Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dall'art. 35, comma 3, del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla I. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l'esistenza di attività non dichiarate può essere desunta "anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti"), l'accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell'atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass.Civ., 12 aprile 2017, n. 9474; Cass.Civ., 32287/2018; Cass.Civ., 14388/2017).

6.6. Poichè l'avviso di accertamento attiene al 2004, e quindi ai contratti di compravendita stipulati in quell'anno, non poteva, comunque, trovare applicazione il d.l. 223/2006, in vigore dal 4-7-2006, stante la natura non retroattiva di tali norme, anche in relazione alla norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 1, comma 265, della legge 244/2007, in vigore dal 1-1-2008.

6.7. Inoltre, per questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso di un'unità immobiliare, l'onere di fornire la prova che l'operazione è parzialmente (quanto al prezzo di vendita) simulata, spetta all'Amministrazione finanziaria, la quale adduca l'esistenza di maggiori ricavi, e può essere adempiuto, ai sensi dell'art. 39, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale), rimanendo a carico del contribuente l'onere di superare la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato ed il prezzo incassato (Cass., 9 gennaio 2014, n. 245, che fa riferimento all'art. 53 del d.p.r. 917/1986 che considera "ricavi.. .i corrispettivi della cessione di beni" e deduce ulteriori elementi indiziari di un prezzo maggiore dal fatto che era un unico atto di compravendita, con una differenza attiva di appena. 21 milioni di lire insufficiente a garantire un utile adeguato, il rischio di impresa, il capitale investito e l'attività del titolare).

6.8. Si è anche chiarito che, in tema di imposte sui redditi d'impresa, per la determinazione della plusvalenza realizzata con la vendita di un immobile, ai sensi dell'art. 54 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, occorre avere riguardo alla differenza fra il prezzo di cessione e quello di acquisto, e non, come per l'imposta di registro, al valore di mercato del bene, essendo i principi relativi alla determinazione del valore di un bene, che viene trasferito, diversi a seconda dell'imposta da applicare. Ne consegue che, in presenza di contabilità formalmente regolare, per procedere all'accertamento previsto dall'art. 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, le valutazioni effettuate dall'UTE non sono sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili, ma possono essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica dell'impresa, e, ove concorrano con altre indicazioni documentali o presuntive gravi, precise e concordanti (quali l'assoluta sproporzione tra corrispettivo dichiarato e il valore di mercato dell'immobile), costituire elementi validi per la determinazione dei redditi da accertare (Cass., 12 novembre 2014, n. 24054, per la quale ciò che rileva, ai fini della determinazione del reddito di impresa, ai sensi dell'art. 54 d.p.r. 917/1986, non è il valore venale del bene, come accade per l'imposta di registro, ma unicamente il prezzo di vendita pattuito).

6.9. Più recentemente questa Corte ha affermato che, in tema di accertamento dell'IVA, la riformulazione dell'art. 54, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 ad opera della I. n. 88 del 2009 (comunitaria 2008), ha eliminato - con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto unionale - la stima basata sul valore normale nelle transazioni immobiliari, sicché la prova dell'esistenza di attività non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili, può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, secondo gli ordinari criteri di accertamento induttivo, che non sono esclusi dall'art. 273 della direttiva 2006/112/Cee, dovendo gli Stati membri assicurare l'integrale riscossione del tributo armonizzato e l'efficacia della lotta contro l'evasione (Cass., 4 aprile 2019, n. 9453).

7. La Commissione regionale, quindi, non solo non ha applicato correttamente le norme sopra richiamate, ma ha anche reso una motivazione del tutto insufficiente, in ordine agli elementi presuntivi che avrebbero consentito di dimostrare i maggiori ricavi della società, per il maggiore valore degli immobili venduti, rispetto al prezzo dichiarato nei rogiti notarili.

7.1. Invero, il giudice di appello, ha chiaramente aderito alla tesi per cui il d.l. 223/2006, in vigore dal 4-7-2006, era applicabile anche agli atti di compravendita stipulati prima di tale data, tanto che ha escluso il contrasto tra tale normativa e l'art. 73 della Direttiva CE 2006/112 (cfr. sentenza della CTR "quanto alla violazione - lamentata in primo grado e sulla quale il primo giudice ha omesso di pronunciarsi - dell'art. 73 della Direttiva CE 2006/112...non è ravvisabile, quanto meno prima facie, alcun contrasto con l'art. 54 del d.p.r. n. 633/1972 "Rettifica delle dichiarazioni").

7.2. Tuttavia, la Commissione regionale ha ritenuto che l'indizio di maggiori ricavi emerso dai valori OMI, era corroborato, comunque, da altri indizi, muniti dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, rinvenuti nelle "fatture di vendita" e nei relativi "atti notarili". Si premette che, poiché la sentenza della CTR è stata depositata il 27-12-2011, quindi prima della entrata in vigore del d.l. 83/2012, con la modifica dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., applicabile solo alle sentenze pubblicate a decorrere dall'11-9-2012, il vizio di motivazione può articolarsi anche nella insufficiente o contraddittoria motivazione, non essendo necessario indicare l'omessa esame di un fatto decisivo e controverso. Inoltre, la denuncia di violazione o falsa applicazione dell'art 2729 c.c. può essere, poi, prospettata sotto più profili (Cass.Civ., sez.un., 24 gennaio 2018, n. 1785). Il giudice di merito può affermare che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precisi e concordanti, incorrendo in un errore di diretta violazione della norma. Il Giudice di merito può, poi, fondare la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto alla conseguenza ignota, sì che la censura ricade ancora nell'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. Il terzo caso è quello in cui la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito si concreta in una attività diretta solo ad evidenziare che le circostanze di fatto avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, allegando una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice, ma in tal caso la censura impinge in un apprezzamento di merito, che riguarda la quaestio facti e si pone nel solco del vizio della motivazione ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. (Cass.Civ., sez.un., 8053 e 8054 del 2014).

Nella specie, la censura si incentra proprio sul secondo caso, indicato dalle sezioni unite, quindi sulla insussistente in ogni singolo elemento preso in considerazione delle caratteristiche della gravità, della precisione e della concordanza, e sulla conseguente violazione di legge, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c, oltre che sulla terza ipotesi, relativa proprio al vizio di motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Invero, la mera indicazione di generiche "fatture di vendita" ed "atti notarili", senza la necessaria indicazione del contenuto di tali atti, da cui arguire la presenza di maggiori ricavi, non costituisce la sussistenza di presunzioni dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza. Nulla si dice in ordine al concreto oggetto di tali documenti e sulla loro idoneità a dimostrare prezzi dichiarati sugli atti inferiori a quelli effettivamente praticati ai clienti. Allo stesso modo, la formula "valore normale”, comunemente praticato per gli immobili di uguale pregio e natura" resta una formula "vuota", priva di un reale contenuto idoneo a dimostrare l'indicazione sui rogiti di prezzi di vendita inferiori a quelli in concreto realizzati. Nè il riferimento ai "dati catastali" aggiunge elementi in grado di confortare la ricostruzione del prezzo di vendita da parte dell'Agenzia delle entrate. Il "raffronto con altre banche dati in possesso dell'Ufficio" è del tutto generico, sì da non costituire ulteriore elemento di conforto della motivazione del giudice. Quanto alla valutazione della consulenza tecnica di parte, invece, si rileva che la stessa costituisce "mero argomento di prova" (Cass., 9 aprile 2018, n. 8621, sì da non poter integrare l'omesso esame di un fatto decisivo; Cass.,sez. 1, 18 ottobre 2018, n. 26305 Cass., 3 giugno 2013, n. 13902; Cass., sez. 5, 21132/2016; cass., 20347/2017; cass., sez. 5, 11 novembre 2011, n. 23590), quindi allegazione difensiva di contenuto tecnico (Cass., 26 settembre 2006, n. 20821; cass., sez 3, 29 gennaio 2010, n. 2063). Tuttavia, quando i rilievi contenuti nella consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella consulenza tecnica d'ufficio, ove il giudice trascuri di esaminarle analiticamente, ricorre il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (Cass., 10 gennaio 1995, n. 245).

8. Il terzo motivo è inammissibile. 8.1.Invero, la doglianza in ordine alla carenza di motivazione dell'avviso di accertamento, avanzata con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, dopo l'accoglimento integrale del ricorso da parte della Commissione tributaria provinciale in quanto il "sistema OMI è entrato in vigore nell'anno 2006 e la sua applicazione non può avere effetti retroattivi, conseguentemente essendosi svolte nel 2004 le operazioni immobiliari in contestazione l'accertamento è nullo", non è stata ritualmente riproposta in sede di controdeduzioni in appello ai sensi dell'art. 56 d.lgs. 546/1992 e 346 c.p.c. La domanda, poiché rimasta assorbita, dall'accoglimento da parte della CTP di altro motivo di ricorso, doveva essere riproposta con le controdeduzioni in sede di appello, dovendosi intendere, altrimenti, come "rinunciata". Infatti, per questa Corte, nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla I. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell'autoresponsabilità e dell'affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel "thema probandum" e nel "thema decidendum" del giudizio di primo grado (Cass., sez. un., 21 marzo 2019, n. 7940; nel solco di Cass., sez.un, 19 aprile 2016, n. 7700; Cass., sez.un.,12 maggio 2017, n. 11799). In particolare, nella pronuncia più recente delle sezioni unite (2019/7940), si è chiarito che la mancata riproposizione di una domanda non esaminata in primo grado non dà luogo a giudicato, ma ad una preclusione processuale, cui va attribuito il significato di perdita di una capacità processuale. Può, infatti, correttamente farsi riferimento alla nozione di "preclusione", in presenza di una facoltà estinta perchè non esercitata nel rispetto di un termine perentorio.

9. Il sesto motivo è assorbito, stante l'accoglimento dei motivi primo, secondo, quarto e quinto del ricorso.

10. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in ordine ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie i motivi primo, secondo, quarto e quinto del ricorso; dichiara inammissibile il terzo motivo; dichiara assorbito il sesto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata, limitatamente ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio dell'8 ottobre 2019

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