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Accertamento sul conto corrente della convivente. Doveva essere considerato che i soldi prelevati e poi versati sul conto della convivente ben potevano essere gli stessi. Accolto il ricorso. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto“Il motivo è fondato nei termini che seguono. La commissione tributaria regionale non si è pronunciata sul motivo d'appello della duplicazione del maggiore reddito presunto derivante dal concorrente computo, da parte dell'ufficio accertatore, dei prelevamenti dai conti del contribuente e dei versamenti, dei medesimi importi, su quelli della sua convivente”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 34400 del 23 dicembre 2019

FATTI DI CAUSA

G. (titolare di uno studio professionale di architetto e, all'epoca dei fatti, dirigente del Comune di I.) ricorre, sulla base di cinque motivi, illustrati con una memoria, contro l'Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, menzionata in epigrafe, che - in controversia concernente l'impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRPEF, ADD. COM. e REG., IRAP, IVA, per il periodo d'imposta 2005, maggiori redditi non dichiarati, accertati all'esito di indagini bancarie sui conti correnti intestati al contribuente e alla sua convivente - ha respinto l'appello principale del contribuente e ha accolto l'appello incidentale dell'Agenzia avverso la sentenza della CTP di Frosinone che, a sua volta, in parziale accoglimento del ricorso del contribuente, aveva annullato in parte la ripresa fiscale, reputando che quest'ultimo avesse dato idonea prova dei versamenti correlati agli stipendi (per un ammontare di euro 78.123,00) pagati dal Comune di I. e dei prelevamenti e successivi versamenti, in contanti, sui propri conti, per euro 5.000,00, in previsione di spese correnti, poi non sostenute. La CTR ha escluso che il contribuente, gravato del relativo onere, avesse fornito la prova contraria, necessariamente specifica, rispetto alle presunzioni conseguenti ai controlli dei conti correnti bancari, di cui agli artt. 32, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 51, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ferma la constatazione che l'ufficio non aveva considerato, ai fini del recupero fiscale, i prelevamenti di modico importo, i prelevamenti indicanti le relative causali e i bonifici connessi a un contratto di locazione; ha soggiunto che, in sede di verifica sui conti correnti bancari, sono imputati a compensi sia i prelevamenti che i versamenti sui conti e che, con riferimento all'IVA, erano condivisibili le conclusioni dell'ufficio, secondo cui le movimentazioni finanziarie passive, prive di idonea giustificazione, devono considerarsi acquisti senza fatture e in evasione d'imposta, che comportano la sola sanzione per omessa regolarizzazione, nella specie effettivamente applicata; in merito all'appello incidentale dell'Amministrazione finanziaria, la commissione regionale, con riferimento agli emolumenti corrisposti in contanti dal detto Comune, ha affermato che, in sede amministrativa e in giudizio, non era stato possibile effettuare i necessari confronti tra le date dei versamenti sui conti bancari e le date di percezioni dei compensi medesimi; con riferimento alla somma di euro 5.000,00, ha negato che il contribuente avesse dato la prova contraria rispetto a quanto ricostruito dall'ufficio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso [I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c., dell'art. 116 c.p.c. e dei principi in materia di prova legale; in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 3 c.p.c. Violazione degli artt. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché dell'art. 36, comma 2 n. 4, D.Lgs. 31/12/1992 n. 56, per motivazione soltanto apparente o affetta da illogicità manifesta; in subordine omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; in relazione all'art. 360, comma 1°, nn. 4 e 5, c.p.c.], il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto, con motivazione superficiale e illogica, in accoglimento dell'appello incidentale dell'Agenzia e in riforma della sentenza di primo grado - la quale aveva annullato la ripresa fiscale in misura pari all'ammontare delle retribuzioni (euro 78.123,00) corrisposte, nell'anno d'imposta 2005, al proprio dirigente G., dal Comune di I. -, legittimo l'accertamento, trascurando che quel dato di fatto doveva essere assunto come pienamente provato, in forza della dichiarazione (prodotta nel giudizio di merito e trascritta, per autosufficienza, nel ricorso per cassazione) del responsabile del servizio finanziario del medesimo comune che lo confermava.

1.1. Il motivo - nella sua triplice articolazione di omessa pronuncia su un motivo d'appello, motivazione apparente e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio - è infondato. In passato, questa Corte (Cass. 27/07/2012, n. 13430) aveva affermato i seguenti princìpi: «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù della presunzione di cui all'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici - sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d'impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito. Pertanto, il contribuente può fornire prova contraria, che deve essere valutata dal giudice in rapporto agli elementi risultanti dai conti correnti, per verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo di attività, soggetti coinvolti), se ed eventualmente a quali operazioni la documentazione fornita dal contribuente si riferisca, così da escludere dal calcolo dell'imponibile soltanto quanto risultante dai singoli movimenti bancari" (Cass. 16650/11; cfr. in tema di accertamenti bancari, ex art. 51 d.iva, Cass. 10396/11).». Tale orientamento, come si desume dalla più recente giurisprudenza di legittimità, è tuttora (parzialmente) condivisibile, con la sola precisazione che, per quanto riguarda i contribuenti titolari di redditi diversi da quello di impresa (ed è il caso di specie, nel quale il contribuente è titolare di redditi di lavoro dipendente e di redditi di lavoro autonomo), la presunzione legale di cui all'art. 32, cit., vale solo per le operazioni di versamento sui conti bancari e non anche per i prelievi bancari. Infatti, in tema d'imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l'art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l'accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l'efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti. (Cass. 16/11/2018, n. 29572). Nella fattispecie concreta, diversamente da quanto prospetta il ricorrente, la commissione regionale si è pronunciata sul motivo d'appello e, senza negare la veridicità della certificazione del Comune di I., con una motivazione chiara e concisa, scevra di aporie logiche, ha affermato che l'appellante non aveva fornito i necessari riscontri circa la correlazione tra le date di percezione dei compensi e quelle dei versamenti in contestazione.

2. Con il secondo motivo [II) Nullità della sentenza per omesso esame, in violazione dell'art. 112 c.p.c., del motivo di appello del contribuente concernente la provenienza delle somme versate sui conti correnti bancari in parte da due compravendite immobiliari, in parte da parcella relativa all'anno 2004; in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c. In subordine violazione degli artt. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché dell'art. 36, comma 2 n. 4, D.Lgs. 31/12/1992 n. 56, per motivazione soltanto apparente; in ulteriore subordine omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; in relazione all'art. 360, comma 1°, nn. 4 e 5, c.p.c.], il ricorrente, innanzitutto, censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sul motivo d'appello concernente la mancata considerazione, prima da parte dell'Agenzia e poi da parte del giudice di primo grado, della disponibilità di denaro, in capo al contribuente, derivante dalla vendita di immobili di sua proprietà, conclusa nel 2004, poco più di un mese prima dell'inizio del 2005, oggetto d'accertamento. In secondo luogo, egli fa valere l'omessa pronuncia sul motivo d'appello per il quale il versamento, in data 14/08/2005, dell'assegno di euro 14.393,86, era collegato alla parcella n. 6, di identico importo, per prestazioni professionali (il ricorrente è architetto), emessa in data 21/12/2004, consegnata agli accertatori durante la verifica, con la precisazione che è del tutto normale il pagamento, nel 2005, di una parcella emessa negli ultimi giorni dell'anno precedente. L'errore della commissione regionale è dedotto, in via subordinata, come vizio motivazionale.

2.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono. La commissione tributaria ha omesso di pronunciare sul motivo d'appello con il quale il contribuente (gravato del relativo onere probatorio) giustificava le menzionate rimesse bancarie. L'accoglimento del primo profilo di critica (error in procedendo) esime dall'esame degli altri aspetti del complesso motivo (motivazione apparente e omesso esame di un fatto decisivo). 

3. Con il terzo motivo [III) Nullità della sentenza per omesso esame, in violazione dell'art. 112 c.p.c., del motivo di appello del contribuente concernente la provenienza delle somme versate sul conto corrente bancario della convivente, dai conti del contribuente medesimo; in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c. In subordine violazione degli artt. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché dell'art. 36, comma 2 n. 4, D.Lgs. 31/12/1992 n. 56, per motivazione soltanto apparente; in ulteriore subordine omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; in relazione all'art. 360, comma 1°, nn. 4 e 5, c.p.c.], il ricorrente censura l'omessa pronuncia sul motivo d'appello (o, in subordine, il vizio dello sviluppo argomentativo della sentenza impugnata), per il quale la circostanza che i versamenti (in particolare: uno di euro 800,00 e uno di euro 5.000,00) effettuati sul conto acceso presso C. (Banca) da D., convivente del contribuente, avessero ad oggetto le stesse somme prelevate dai conti di quest'ultimo, generava un effetto di duplicazione del maggiore reddito recuperato a tassazione: una volta come prelievi dal conto del contribuente e una volta come versamenti sul conto della convivente.

3.4. Il motivo è fondato nei termini che seguono. La commissione tributaria regionale non si è pronunciata sul motivo d'appello della duplicazione del maggiore reddito presunto derivante dal concorrente computo, da parte dell'ufficio accertatore, dei prelevamenti dai conti del contribuente e dei versamenti, dei medesimi importi, su quelli della sua convivente. Di nuovo (cfr. § 2), l'accoglimento del primo profilo di critica (error in procedendo) rende superfluo l'esame degli altri aspetti del complesso mezzo d'impugnazione (motivazione apparente e omesso esame di un fatto decisivo).

4. Con il quarto motivo [IV) Violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 D.P.R. 29/9/1973 n. 600, dell'art. 51 D.P.R. 26/10/1972 n. 633 e degli artt. 2697 e 2729 c.c.; in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 3 c.p.c. Violazione degli artt. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché dell'art. 36, comma 2 n. 4, D.Lgs. 31/12/1992 n. 56, per motivazione soltanto apparente, in relazione al motivo di appello principale che lamentava l'illegittimità del sistematico recupero a tassazione di somme pari a quelle uscite dai conti bancari sia per prelievi per contanti sia mediante addebiti di assegni bancari sia mediante bonifici, nonché in relazione al motivo di appello incidentale proposto sul punto dall'Agenzia delle Entrate; in subordine omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; in relazione all'art. 360, comma 1°, nn. 4 e 5, c.p.c.], il contribuente censura la sentenza impugnata (evocando i diversi parametri dei nn. 3, 4, 5, dell'art. 360, cod. proc. civ.) per non avere preso in considerazione il motivo d'appello che criticava l'accertamento fiscale nella parte in cui erano state sistematicamente e indiscriminatamente recuperate a tassazione le somme in uscita dai conti bancari, intestati al contribuente e alla sua convivente, per un ammontare di euro 73.722,00, senza esaminare le giustificazioni addotte dall'interessato, fin dalla fase amministrativa, e, ancora, trascurando il fatto notorio che il contribuente doveva pure avere a disposizione somme di denaro per provvedere alle normali esigenze di vita, proprie e della sua famiglia. Al riguardo, egli menziona: la complessiva somma di euro 21.000,00, attribuita, mediante assegni e bonifici, a R., figlia della convivente del ricorrente, per ragioni di solidarietà familiare; altri assegni utilizzati per l'acquisto di un viaggio, di una partita di vini pregiati e di un elettrodomestico; infine, il prelievo di euro 5.000,00, di cui al precedente mezzo d'impugnazione.

4.1. Il motivo, nella sua complessa articolazione, è fondato. È il caso di richiamare nuovamente (cfr. § 1) Cass. 29572/2018, secondo cui le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti. Tale principio ha un'immediata ricaduta sull'accertamento fiscale che, discostandosi da esso, ha recuperato a tassazione, oltre alle rimesse bancarie (sui conti del contribuente e della sua convivente), anche i prelievi. Da ciò discende che, in seguito all'annullamento della sentenza impugnata, che ha integralmente confermato l'atto impositivo, la commissione tributaria regionale dovrà riesaminare la vicenda alla luce del principio di diritto.

5. Con il quinto motivo [V) Nullità della sentenza per omesso esame, in violazione dell'art. 112 c.p.c., del motivo di appello del contribuente sollevato in via subordinata e concernente la deduzione dei costi ragionevolmente correlati alla produzione di redditi e ricavi oggetto di accertamento; in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c.], il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere esaminato il motivo d'appello, proposto in via subordinata (per il caso di rigetto dei motivi dell'appello principale, diretti a contestare la fondatezza della pretesa impositiva, e di accoglimento dell'appello incidentale dell'Agenzia), secondo cui, ai fini della quantificazione delle somme da recuperare a tassazione, dovevano essere dedotti i costi che avevano concorso a determinare la base imponibile.

5.1. Il motivo, nella sua complessa articolazione, è infondato. Nella fattispecie concreta, diversamente da quanto prospetta il ricorrente, la commissione regionale si è pronunciata sul motivo d'appello laddove, con un ragionamento chiaro e conciso (il che comporta anche l'esclusione del vizio di motivazione apparente o di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, dedotti in subordine), ha affermato che l'ufficio ha proceduto ad un accertamento analitico (e non induttivo) e che «il contribuente non ha dimostrato gli eventuali costi sopportati.». Tale conclusione è coerente con il saldo indirizzo della Corte (Cass. 29/09/2017, n. 22868; conf.: 19/04/2017, n. 9888), per il quale: «In tema di imposte sui redditi, l'Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo "puro" ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l'onere di provare l'esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l'Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario.».

6. Alla stregua di queste considerazioni, accolti il secondo, il terzo e il quarto motivo, rigettati il primo e il quinto motivo, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR del Lazio (sezione staccata di Latina), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. 

PQM

la Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo, rigetta il primo e il quinto motivo, cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti, rinvia alla commissione tributaria regionale del Lazio (sezione staccata di Latina), in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 20/11/2019 

 

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