Estratto: “Convinzione di questo Collegio è che il cittadino italiano possessore, all'estero, per esempio di obbligazioni, quote di fondi di investimento o di partecipazioni sociali deve in ogni caso (anche se si sono verificate delle perdite anziché dei guadagni) uniformarsi alla previsione di cui all'art. 4 sopra citato (in quanto i valori mobiliari in questione sono sempre produttrici di possibili redditi) ma se lo stesso individuo è titolare di un conto corrente (molto utile visto che le permanenze in Francia della coppia - la sig.ra XXX è di origine transalpina - sono frequenti ) infruttifero, l'obbligo non esiste. La lettera della legge è chiara - debbono esistere redditi prodotti all'estero, che nel caso che occupa sono assenti - ma anche lo spirito della norma depone a favore di un obbligo dovuto almeno alla potenzialità reddituale - anche questa assente -. La volontà del contribuente sig. XXX di avere a disposizione, all'estero, una somma, ancorché improduttiva, ma sempre disponibile, non fa scattare l'obbligo dichiarativo richiesto dall'Ufficio. Nel merito, la pretesa dell'Erario non può trovare giustificazione.
Estratto: “l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente”.
Estratto: “l'Agenzia delle Entrate richiama una serie di elementi presuntivi (quali l'acquisto di immobili in Italia e la richiesta di talune autorizzazioni amministrative) il cui valore, a suo avviso, sarebbe stato misconosciuto dalla Commissione Tributaria Regionale e riconduce, altresì, la vicenda nell'ambito della violazione degli artt. 20 D.Lgs. 74/200 e 654 cod. proc. pen., alla luce dell'autonomia tra il giudizio penale e quello tributario, ma, per tale via, chiedendo una diversa valutazione dell'iter decisorio del giudice di secondo grado al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (sul punto, fra le altre, Cass. n. 19547 del 2017). 3.3. Il ricorso deve, quindi, essere respinto”.
Estratto: “ai sensi dell'art. 21, settimo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, il cedente o prestatore che emette fatture per operazioni inesistenti è tenuto, in base al principio di cartolarità, al versamento dell'imposta per l'intero ammontare indicato; - tuttavia, tale obbligo non sussiste qualora abbia tempestivamente corretto o annullato la fattura ai sensi dell'art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972, sì da consentire l'applicazione dell'esatta imposta dovuta ed il corretto esercizio del diritto di detrazione da parte del destinatario”.
Estratto: “la CTR, peraltro, ha del tutto omesso di specificare i presupposti in fatto idonei ad individuare le specifiche ragioni della valutazione, sicché resta oscuro quali siano le incongruenze e le presunzioni che, in concreto, avrebbero dignità di legittimare la modalità induttiva di rettifica”.
Estratto: “La fattispecie concreta, in cui una cartella esattoriale è stata emessa a seguito di controllo automatizzato per l'anno 2002 per aver la contribuente fruito in quell'anno di un credito IVA, riportato dalla precedente annualità, a mezzo della compensazione con altre imposte pur in assenza di dichiarazione annuale del 2001, è sostanzialmente sovrapponibile a quella decisa dalle Sezioni Unite, con la sentenza 8 settembre 2016 n. 17757. Orbene, in tale occasione questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: "la neutralità dell'imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l'eccedenza d'imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione”.
Estratto: "le Sezioni Unite, a partire dalle sentenze n. 1211 e 12108 del 2009 hanno statuito il principio di diritto secondo cui con riguardo al presupposto dell'IRAP, il requisito dell'autonoma organizzazione — previsto dall'art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 —, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente; a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (criteri confermati dalla recente SU 9451 del 2016 e richiamati, fra le più recenti, da Cass. n. 9786 del 9 maggio 2018)".
Estratto: “S'intende dare continuità all'indirizzo della Corte in virtù del quale: «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, [...] l'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 - che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva - esclude che l'Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro (Cass.17 maggio 2017, n. 12265; Cass. 6 giugno 2016, n. 11543).». La decisione della CTR ha fatto corretta applicazione di tale principio di diritto”.
Estratto: “Le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell'Agenzia delle entrate, non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio del bene oggetto di accertamento, ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria e catastale, essendo idonee a condurre ad indicazioni di valore di larga massima (Cass. n. 25707 del 2015). Il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI, per aree edificabili del medesimo comune, non è quindi idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell'immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l'ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonché lo stato delle opere di urbanizzazione (Cass. n. 18651 del 2016; Cass. n. 11439 del 2018). 10.2. Ne consegue che un avviso di liquidazione fondato esclusivamente sui valori OMI non può ritenersi fondato sotto il profilo motivazionale ed, in difetto di ulteriori elementi forniti dall'Agenzia delle entrate, non può indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene”.
Massima: “L'effettiva ratio dell'art. 51 del d.P.R. 131/1986 e quella di garantire che l'imposta di registro sia applicata su una base imponibile il più possibile conforme al valore effettivo dell'azienda in condizioni di libero mercato. Ciò comporta l'esigenza di dare rilevanza al valore dell'avviamento anche se di segno negativo senza che possa considerarsi dirimente la circostanza che la norma preveda la decurtazione delle sole passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa (Conf. Cass. 978/2018).”