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L'esterovestizione societaria

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L'esterovestizione societaria

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Un fenomeno piuttosto diffuso è quello dell'imprenditore che decide di trasferire la propria azienda all'estero, al fine di poter ricavarne qualche vantaggio. Tuttavia, non sempre la procedura seguita per tale trasferimento è corretta e, di conseguenza, è piuttosto facile poter incorrere nel caso di esterovestizione societaria. Per questo motivo, cercheremo di inquadrare tale fattispecie, indicando i casi in cui trova applicazione e cosa è opportuno fare per evitare delle conseguenze fiscali.

Innanzitutto, prima di analizzare l'esterovestizione è rilevante spiegare cosa si intende per residenza fiscale, in quanto sono due aspetti strettamente collegati fra loro. A tal proposito, si richiama l'articolo 73 del DPR 917/1986, il quale così dispone: " Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato". Si evince, che le società, sono considerate residenti in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni), hanno in alternativa la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Di conseguenza, essendo criteri alternativi sarà sufficiente la sussistenza di uno solo di essi per poter considerare il soggetto residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato.

Nell'articolo sopra citato, il 73 del TUIR, sono stati introdotti due commi il 5-bis e il 5-ter i quali disciplinano il caso della presunzione di residenza in Italia di società ed enti esteri, se sono presenti determinate condizioni. L'articolo 73, comma 5-bis, Tuir dispone nel modo seguente: «si presumono residenti in Italia, salvo prova contraria, quelle società o quegli enti che, pur avendo la sede legale o amministrativa all’estero, detengono direttamente partecipazioni di controllo ai sensi dell’art. 2359 comma 1 c.c., in una società di capitali o altro ente commerciale residente in Italia e, allo stesso tempo, sono assoggettati al controllo, anche indiretto, da parte di soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano oppure presentano un organo di gestione composto prevalentemente da amministratori residenti in Italia».

Giova richiamare la circolare n.28 del 2006 dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha specificato che: “il soggetto estero si considera, ad ogni effetto, residente nel territorio dello Stato e sarà quindi soggetto a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che l'ordinamento prevede per le società e gli enti residenti”. Ed ancora in merito alla prova contraria: “Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all'estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero”.

Nell’ambito dell’esterovestizione societaria è possibile notare la coesistenza di due differenti modi di intendere la residenza: formale, che si evince dall’atto costitutivo o dal medesimo statuto, mediante i quali è possibile identificare il luogo in cui si determina lo scopo sociale; sostanziale, invece, coincide con il luogo in cui le decisioni operative sono determinate dagli organi che si trovano all’apice della struttura imprenditoriale.

Di conseguenza, la fattispecie dell’esterovestizione coincide con un fenomeno in cui i due concetti detti di residenza sono dissociati proprio perché si cerca di voler sfruttare un regime fiscale più vantaggioso rispetto a quello previsto dal Paese in cui vi è l’effettiva residenza.

Dunque, per poter dire che si è in presenza del fenomeno descritto devono esserci due elementi. Il primo è quello della natura fittizia della localizzazione all’estero della società, poiché in tal luogo non viene esercitata nessun tipo di attività economica ed un altro elemento è proprio quello inerente l’aspetto fiscale, ovvero l’indebito risparmio d’imposta. In altri termini l'attività economica non è esercitata in detto altro Paese, non configurandosi atti di organizzazione e di attività imprenditoriale stabilmente localizzati.

Un caso di esterovestizione è quello che ha visto coinvolti Dolce e Gabbana. Infatti, in questo caso l’Agenzia delle Entrate ha contestato la costituzione in Lussemburgo della società col nome di GADO Sarl, alla quale era stata ceduta la proprietà dei marchi della griffe prima posseduti da Dolce e Gabbana. Questa operazione avvenuta nel 2004 è stata ritenuta un tentativo finalizzato a ottenere indebiti vantaggi fiscali.

Dopo una disputa legale, la Cassazione ha dato ragione ai due stilisti, affermando che la posizione della società lussemburghese Gado Sarl, poi Dolce&Gabbana Trademarks deve essere riesaminata sulla base dei principi del diritto comunitario sulla libertà di stabilimento, un principio fondante dell’Unione Europea che garantisce la mobilità delle imprese e dei professionisti nell’UE. Infatti, la Corte di giustizia europea, al quale fa riferimento la stessa Cassazione, ritiene che il fatto che una società sia collocata all’estero per ottenere un risparmio fiscale non implica automaticamente esterovestizione: «Con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, si è quindi sottolineato [...] che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà». La Corte di cassazione con le sentenze n. 33234/2018 e 33235/2018, accogliendo le motivazioni dei contribuenti, sulla base del “ principio che la residenza fiscale italiana delle controllate estere non è automaticamente accertabile per il solo fatto che gli impulsi volitivi e le direttive di carattere amministrativo provengono dall’Italia, ma è necessario che la società sia qualificabile come schermo, cioè come costruzione di puro artificio creata esclusivamente per farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali” e specifica “perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale”.

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In base a quanto detto, l’esterovestizione costituisce un fenomeno piuttosto ampio e complesso. Questo fenomeno anche se è molto conosciuto nell'ambito degli accertamenti fiscali, tuttavia non lo è da parte degli imprenditori. Pertanto, si è scelto di trattare questa tematica sottolineando l’importanza che è necessario porre nella pianificazione fiscale in ambito internazionale e tutelarsi da questa pratica illegale.

Quindi, quando si vuole trasferire la propria azienda all'estero è sempre meglio non agire da soli e affidarsi a professionisti specializzati, perché il rischio di commettere qualche errore è elevato. Del resto, meglio agire con prudenza all'inizio poiché se prendiamo una simile decisione è proprio per ottenere dei vantaggi, e se procediamo in modo non corretto finiremo solo per ottenere l'effetto opposto, delle amare conseguenze.

 

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