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Massima: “Secondo il T.U.I.R (art. 81 del d.P.R. n. 917 del 1986) sono soggette a tassazione separata, quali redditi diversi, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, e non anche di terreni sui quali insiste già un fabbricato. Infatti, l'art. 81 del D.P.R.917/1986 tende ad assoggettare ad imposizione la plusvalenza che trovi origine dall'avvenuta destinazione edificatoria del terreno, in sede di pianificazione urbanistica, e non derivante da un'attività produttiva del proprietario o del possessore”.

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Massima: “In presenza di crisi economica non imputabile all'imprenditore, che abbia adottato tutte le misure idonee a fronteggiare la crisi stessa, non può integrare il reato di cui all'art. 10 bis del decreto legislativo n. 74/2000 la condotta dell'amministratore societario che, con i fondi a disposizione, paga le retribuzioni dei propri dipendenti, omettendo invece il versamento di ritenute. Infatti, è assente l'elemento soggettivo del dolo (da intendersi come consapevolezza della illiceità della condotta) e quindi l'antigiuridicità, nell'operato dell'imprenditore in crisi che omette il versamento delle ritenute soltanto per far fronte ad improcrastinabili adempimenti verso altri creditori, quali i lavoratori dipendenti, ugualmente tutelati dalla Costituzione, in ordine al diritto al lavoro ed alla conseguente retribuzione. Parimenti, in situazioni similari, può essere ravvisabile anche l'esistenza dell'esimente della forza maggiore, poiché l'omissione sarebbe compiuta per indisponibilità della somma, in considerazione della necessità dell'imprenditore di assicurare un sostentamento ai propri dipendenti ed alle loro famiglie”.

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Estratto: L'errore revocatorio deve necessariamente cadere su di un fatto materiale: e, quando oggetto di revocazione sono i provvedimenti di questa Corte, di un fatto materiale interno al giudizio di legittimità ed afferente ai suoi stessi atti. L'errore di fatto di cui all'art. 395 c.p.c., n. 4, deve consistere in una disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale conseguenza l'affermazione o la negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, vale a dire in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti, concretizzandosi in una svista materiale su circostanze decisive, risultanti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali, essendo esclusa dall'area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatosi sulla base di una valutazione effettuata dal giudicante (Cass. 20.2.2006, n. 3652; Cass. 28.6.2005, n. 13915; Cass. 15.5.2002, n. 7064; Cass. 26.9.2013, n. 22080). 2.4. Nel caso in esame va certamente ricondotta ad un errore di percezione l'affermazione della Corte che "dal testo degli avvisi di accertamento, riprodotti in ricorso, risulta chiaramente che l'Ufficio ha applicato l'aliquota del 16,2 per cento", ritenendo conseguentemente infondata la dodicesima censura, quando l'esistenza di tale aliquota era indicata negli avvisi di accertamento ma solo come aliquota riferita all'ILOR, mentre con riferimento all'IRPEF non risulta indicata, essendo riportato solo un minimo ed un massimo e restando vuota la casella di specificazione”.

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Estratto: “appare, quindi, eccessivamente restrittiva l'interpretazione della C.T.R. della Lombardia, che ritiene rilevante, ai fini della prova contraria, unicamente il rendiconto annuale della banca, da cui è dato evincere se vi sia stata ritenuta alla fonte sui redditi da capitale. Ed invero, il contribuente può fornire idonea documentazione, da cui il giudice può trarre indici sintomatici della riferibilità delle spese contestate a maggiori redditi esenti o tassati alla fonte, di cui lo stesso contribuente abbia avuto disponibilità nel periodo di imposta”.

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Estratto: “a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 7 della L. n. 212 del 2000, che ha esteso alla materia tributaria i principi di cui all'art. 3 della L. n. 241 del 1990, l'obbligo di motivazione dell'avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l'enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato, con le specificazioni in concreto necessarie per consentire al contribuente l'esercizio del diritto di difesa e per delimitare l'ambito delle ragioni deducibili dall'Ufficio nell'eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l'Amministrazione ha l'onere di provare l'effettiva sussistenza dei presupposti per l'applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Sez. 6-5, n. 11560 del 06/06/2016; Sez. 6-5, n. 11270 del 09/05/2017); che, nella specie, la CTR ha fatto un generico riferimento "ad immobili similari di prezzo noto" nonché ai valori OMI, i quali peraltro non costituiscono fonte tipica di prova ma strumento di ausilio ed indirizzo per l'esercizio della potestà di valutazione estimativa, sicché, quali nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, utilizzabili dal giudice ai sensi dell'art. 115, comma 2, c.p.c., sono idonee solamente a "condurre ad indicazioni di valori di larga massima" (Sez. 6-5, n. 25707 del 21/12/2015); che, pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza va cassata”.

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Massima: “E' errata la notifica di un avviso di accertamento all'indirizzo risultante nell'ultima dichiarazione dei redditi, se successivamente è stata presentata la comunicazione di variazione dati Iva con l'indicazione di un nuovo domicilio. Tale modello, infatti, rappresenta un documento idoneo ad informare l'amministrazione del luogo prescelto per la notifica dei provvedimenti e l'Agenzia delle Entrate deve tener presente della suddetta variazione”.

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Massima:Ai fini della determinazione del valore dell'avviamento, l'utilizzo del solo costo del personale non è sufficiente a dimostrare la capacità dell'azienda a produrre reddito; né l'utilizzo di un moltiplicatore costituisce un valido correttivo in quanto, trattandosi di un criterio meccanico, non tiene in considerazione le concrete caratteristiche dell'azienda”.

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Massima: “In tema di accertamento analitico del reddito di impresa, per presumere l'esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati ed assoggettati ad imposta non bastano semplici indizi, ma occorrono circostanze gravi, precise e concordanti. Ne consegue che non è legittima la presunzione di ricavi, maggiori di quelli denunciati, fondata sul raffronto tra prezzi di acquisto e di rivendita operato solo su alcuni articoli e neppure posta in relazione ai quantitativi acquistati, né si rende legittimo il ricorso al sistema dei valori percentuali medi del settore, che non rappresentano un fatto noto storicamente provato, ma sono presunzioni semplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza”.

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Massima: La cartella esattoriale che non riporta il calcolo degli interessi sul debito preteso è nulla in quanto in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento degli interessi maturati su un debito tributario dev'essere motivata per permettere al contribuente di verificare la correttezza del calcolo degli interessi. La cartella di pagamento è un atto impositivo emesso per la riscossione dei tributi non versati. Si tratta, quindi, di un atto tributario e come tale deve essere adeguatamente motivato, secondo le disposizioni dello Statuto dei diritti del Contribuente, in primis per permettere al destinatario la comprensione delle ragioni della notifica dell'atto; in secondo luogo per la verifica della correttezza degli importi intimati, nonché il calcolo degli interessi”.

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Massima: “Nel caso di vendita di un impianto fotovoltaico, anche se unitamente alla superficie vengono vendute le attrezzature (e i rapporti contrattuali per il suo sfruttamento commerciale), queste devono essere considerate strumenti per la produzione di energia elettrica senza che l'imprenditore abbia nulla da organizzare e coordinare perché hanno una funzione unica e prestabilita senza possibilità di variazione. Ne discende che, mancando l'elemento dell'organizzazione essenziale alla nozione d'azienda, la vendita di un impianto fotovoltaico non costituisce cessione d'azienda o di ramo d'azienda”.

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