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Nel presente articolo analizziamo un caso giurisprudenziale sottoposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale ha annullato gli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle Entrate a seguito di verifica fiscale a carico di un’attività di ristorazione. 

Avvisi formati con metodologia induttiva (ossia desumendo i ricavi dall’entità degli acquisti effettuati a monte). 

Tuttavia, la prospettiva sarà differente rispetto al consueto esame della sentenza. 

Infatti, procederemo ad esaminare la fattispecie, non dalla prospettiva del corpo letterale della sentenza (di cui citiamo gli estremi in calce per chi voglia analizzarne il contenuto), ma dalla prospettiva dei motivi di ricorso. 

Si nota, infine, che nel caso di specie la stessa Agenzia delle Entrate ha ritenuto di non appellare la sentenza di primo grado, che è divenuta definitiva senza necessità di difendere gli interessi dei contribuenti anche in appello. 

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 In questo articolo, esaminiamo, in luogo di una sentenza, le argomentazioni processuali espresse in un caso di:

rettifica del valore di una plusvalenza tramite avviso di accertamento;

avviso di accertamento formato richiamando il precedente avviso di rettifica e liquidazione emesso ai fini dell'imposta di registro.

Argomentazioni processuali che, nel caso in discussione, hanno permesso di ottenere l'annullamento dell'avviso di accertamento, a seguito della mera proposizione del reclamo.

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In questo articolo, esaminiamo, in luogo di una sentenza, le argomentazioni processuali espresse in un caso di:

- Vizio del procedimento;

- Utilizzo di procedura automatizzazione di liquidazione dell'imposta fuori dai casi consentiti;

- Errato disconoscimento di crediti IVA;

- Violazione e falsa applicazione dell'art. 54 del D.P.R. n. 633/1972;

Argomentazioni processuali che, nel caso in discussione, hanno permesso di ottenere l'annullamento dell'atto in via di autotutela da parte dell’Agenzia delle Entrate prima della fine del processo, senza necessità, quindi, di giungere alla sentenza di primo grado.

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Raccolta di sentenze favorevoli alle ragioni del contribuente in casi in cui veniva contestato l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti

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Estratto: “Appare preliminare affrontare la fondatezza della sollevata prescrizione del credito azionato dall'Ufficio. Nel caso in esame devono essere applicati i seguenti principi di diritto, applicabili mutatis mutandis, al di là della fattispecie di riferimento , secondo i quali la scadenza del termine - pacificamente perentorio, nel caso di specie - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della 1. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 c.c.” 

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La Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha annullato un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società di catering che aveva portato in deduzione costi relativi a servizi resi dalla propria capogruppo.

In particolare, a parere dell’Agenzia delle Entrate, i costi sostenuti dalla società italiana, a fronte di servizi resi dalla capogruppo, non erano sufficientemente documentati.

Eppure, a seguito della redazione del PVC, la ricorrente aveva offerto maggiori delucidazioni in ordine ai costi sostenuti, e ciò all’interno delle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000.

La Commissione Tributaria ha ribadito che le osservazioni devono essere valutate all’interno dell’avviso, e se tale attività è omessa l’avviso stesso è nullo.

D’altronde non avrebbe senso riconoscere al contribuente il diritto di presentare le osservazioni se l’Ufficio potesse non esaminarle e redigere l’avviso negli stessi termini in cui l’avrebbe redatto se le stesse non fossero mai state depositate.

Tale vizio formale ha dunque giustificato la dichiarazione di annullamento dell’avviso.

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La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 28700 del 2017, ha accolto il ricorso di un ristoratore avverso la sentenza dei Giudici di merito.

Questi ultimi, confermando la sentenza di primo grado, avevano ritenuto legittimo l'avviso di accertamento formato con metodo analitico-induttivo, in seguito a ispezioni presso i locali del ristorante-pizzeria.

Di diverso avviso invece la Corte di Cassazione che ha annullato l'avviso ritenendo condivisibili le doglianze del ristoratore che lamentava l'irregolarità dell'avviso di accertamento emesso prima dello scadere del termine dei 60 giorni dalla notifica del PVC.

In altri termini, l'Amministrazione avrebbe dovuto aspettare prima di notificare l'avviso di accertamento, e dare per l'effetto un termine congruo al contribuente per replicare.

La richiesta di pagamento è stata annullata per aver l'Agenzia delle Entrate negato al contribuente questo diritto inviolabile, e dunque il ristoratore non dovrà pagare a prescindere dell'esistenza di eventuali irregolarità.

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La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13330 del 2017, ha rigettato il ricorso per cassazione dell'Agenzia delle Entrate, che si lamentava dell'annullamento da parte dei Giudici di merito degli avvisi di accertamento emessi nei confronti di una società edile, a cui era stato contestato l'utilizzo di fatture a fronte di operazioni inesistenti.

Le indagini condotte dall'Agenzia delle Entrate avrebbero rilevato una discrepanza tra gli importi delle fatture e i movimenti in uscita sul conto corrente bancario della società.

In giudizio il contribuente aveva tuttavia offerto la prova dell'effettività delle prestazioni ed aveva altresì compiutamente delineato le modalità di pagamento delle prestazioni. In particolare, parte dei compensi erano stati corrisposti in contanti, ragion per cui i movimenti bancari riportavano un importo inferiore rispetto a quello delle fatture.

Dopo le corti di merito anche la Corte di Cassazione dà ragione al contribuente, confermando l'annullamento degli avvisi.

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Nel caso esaminato dalla sentenza in discussione, la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto doveroso annullare in toto un avviso di accertamento con cui si contestava la registrazione nella contabilità sociale di una fattura ritenuta emessa a fronte di un’operazione oggettivamente inesistente.

In sede penale, il PM aveva richiesto l’archiviazione, non ritenendo potesse essere provata la fittizietà dell’operazione. Circostanza che i Giudici Tributari non hanno mancato di considerare.

Se infatti è vero che i due processi sono separati, l’archiviazione penale può ben costituire elemento di valutazione da parte delle Commissioni Tributarie.

In definitiva, la CTR ha ritenuto l’atto meritevole di integrale annullamento, e qualsiasi pretesa di pagamento è venuta meno.

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Estratto: "L'Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare i presupposti della responsabilità dei soci nei confronti dei quali agisce, anche nei limiti di cui all'art. 2495 c.c. e, cioè che, in concreto, vi sia stata distribuzione dell'attivo e che una quota di quest'ultimo sia stata effettivamente riscossa".

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