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Verifica fiscale dell’Agenzia delle Entrate a carico del panificio. Controlli fiscali. 3 casi in cui i contribuenti hanno vinto nel processo contro l’Agenzia delle Entrate instaurato a seguito di ricorso.

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Verifica fiscale dell’Agenzia delle Entrate a carico dei panettieri. Controlli fiscali. 3 casi in cui i contribuenti hanno vinto nel processo contro l’Agenzia delle Entrate instaurato a seguito del ricorso.

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Mancato rilascio dello scontrino fiscale: questa è l’accusa principale che viene mossa a chi esercita un’attività di produzione di pane.

Quando si parla di panetterie si fa quindi riferimento a quelle attività dedite alla produzione di prodotti di panetteria freschi, con o senza attività di rivendita al dettaglio.

Stando a quanto spesso contestato dagli accertatori, la tecnica principale di evasione riscontrata nel settore della produzione di pane e panificati riguarderebbe, proprio, l’occultamento dei corrispettivi realizzata, sostanzialmente, attraverso la vendita in nero dei prodotti realizzati.

Quello che però sfugge alle cronache giornalistiche ed alle notizie diffuse dai mass media è che, nella maggior parte dei casi, queste attività subiscono un costante controllo da parte delle forze di polizia tributaria, impegnate molto più di prima in attività di controllo capillare del territorio.

All’esito di questi controlli, molto spesso, gli importi accertati e presuntivamente non dichiarati al fisco sono irrisori ma comportano per l’artigiano e la sua famiglia conseguenze ben più gravi.

Queste piccole aziende, infatti, nella quasi totalità dei casi sono piccole attività a carattere artigianale, organizzate e gestite in forma tipicamente familiare e così rappresentando, l’unica fonte di reddito per diversi nuclei familiari.

Subire dei controlli significa riscontrare piccole irregolarità che, però, causano il pagamento di elevate sanzioni e, in taluni casi, anche l’interruzione o la chiusura dell’esercizio ed in taluni casi, addirittura, la proposta di sospensione della licenza o dell’autorizzazione.

Questo significa, in sostanza, dichiarare la fine di un’attività di impresa avviata e gestita con enormi sacrifici, anche a livello di forza lavoro quotidiana. Lavorare in un panificio, significa infatti rinunciare ad avere una vita normale in quanto la maggior parte del lavoro viene svolta di notte.

Come se ciò non bastasse, lo stesso avvio dell’impresa richiede un investimento economico rilevante atteso che la produzione di pane e panificati comporta l’acquisto di strumentazione molto costosa quali macchine impastatrici, forni, camere di lievitazione, ecc.

Dal punto di vista fiscale l’aspetto principale su cui vertono i controlli effettuati della Guardia di Finanza, su incarico dell’Agenzia delle Entrate, riguarda in primis l’acquisto di farina e lievito.

Attraverso poi, il c.d. “paninometro”, ovvero l’accertamento analitico-induttivo adoperato dagli accertatori per le attività di produzione/commercializzazione del pane, si arriverebbe alla ricostruzione dei ricavi sulla base dei consumi delle due materie prime essenziali: per l’appunto farina e lievito, senza dei quali sarebbe impossibile svolgere l’attività.

Insomma, l’attività di controllo, che parte dagli accessi magari effettuati nelle primissime del mattino quando si ritiene che la produzione sia nel suo picco massimo, mira a raccogliere elementi, dati, notizie attraverso cui si riuscirebbe a ricostruire l’esatto volume di affari del panificio.

Ordini, agende, appunti, oltre ai libri ed alle scritture contabili obbligatorie, vengono passate al setaccio, insieme alla rilevazione del personale presente per scovare, sulla base spesso di statistiche / presunzioni, quanto non si ritiene sia stato pagato al fisco.

Si ritiene quindi, che adoperando calcoli e presunzioni, si riesca a definire con esattezza la determinazione dei corrispettivi dei guadagni effettivamente conseguiti e, di conseguenza, avviare un’azione di rettifica, di accertamento o di pagamento dell’imposta o della maggiore imposta dovuta all’erario.

Vediamo, però, alcuni esempi di casi in cui le accuse sono state avanzate nei confronti dei contribuenti, ma gli stessi si sono difesi in giudizio ed hanno vinto.

Comm. Trib. Reg. per la Basilicata, sentenza n. 441 del 28 luglio 2015

La vicenda in questione è partita da un avviso di accertamento con cui Agenzia delle Entrate accertava presunti maggiori ricavi di un’attività dedita alla produzione e vendita di pane e prodotti da forno.

Latitolare impugnava l’avviso ritenuto illegittimo in quanto fondato erroneamente unicamente su ricorso agli studi di settore attraverso cui l’Agenzia aveva accertato ricavi maggiori rispetto ai dichiarati. Inoltre, non erano stati forniti ulteriori elementi che dimostrassero in maniera grave e precisa un maggior reddito percepito dall’esercito dell'attività di panetteria. In particolare, l’Agenzia non aveva minimamente preso in considerazione alcune circostanze fondamentali occorse nel periodo di riferimento: l’attività aveva subito una contrazione anche a causa dell’infarto che aveva colpito il marito con gli inevitabili ripercussioni negative nella gestione della attività. La situazione di crisi era confermata anche dal fatto che una delle due figlie proprio nel periodo di imposta aveva intrapreso una autonoma attività lavorativa.

L’attività sottoposta al controllo versava quindi in una situazione critica che non consentiva neppure di soddisfare i bisogni della contribuente nè dei suoi familiari.

Eppure l’Agenzia delle Entrate, visti gli incassi ridotti, aveva emesso l’avviso contestando il nero ed indicando in via ipotetica (con presunzioni) quanto sarebbe stato venduto in nero.

Il contribuente si è però difeso presentando ricorso.

I motivi di ricorso sono stati accolti sia in primo grado che dalla CTR ritenendo l’illegittimità del metodo di accertamento adottato fondato sugli studi di settore.

A parere dei giudici, infatti, il reddito ricostruito in forza della applicazione degli studi di settore non costituisce, quindi, motivazione sufficiente per supportare la pretesa fiscale azionata.

Corte di Cassazione - sentenza n. 18233 del 16 settembre 2016

Anche questa vicenda ha preso avvio da un avviso di accertamento basato sugli studi di settore notificato ad un esercente l’attività di panetteria con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rideterminato il reddito di impresa.

In particolare, il contribuente, titolare di due esercizi commerciali, uno dei quali era stato appena avviato, lamentava che la sentenza della Ctr a lui sfavorevole, contenesse un’insanabile contraddizione tra la motivazione, favorevole al contribuente, e la decisione finale.

Rimessa la questione alla Suprema Corte, anche i giudizi di Piazza Cavour hanno dato ragione al contribuente in quanto la CTR nella sua lunga motivazione ha precisato che gli studi di settore andrebbero integrati con ulteriori elementi concreti, che applicando questi studi statistici il rapporto con la realtà è tutto da dimostrare e che gli indici provenienti da tali dati potrebbero essere non significativi. Queste motivazioni, in sostanza, portavano a credere in una pronuncia favorevole al contribuente, cosa che non si è verificata.

La Cassazione ha perciò accolto il ricorso e rimesso la decisione ad un nuovo giudice per un doveroso riesame.

CTR dell'Umbria, con la sentenza n. 58/04/10

Infine, questo particolare caso ha avuto avvio da un avviso di accertamento notificato ad un imprenditore agricolo esercente anche l'attività di panettiere e di produzione di altri prodotti da forno.

La contestazione riguardava, nello specifico, le dichiarazioni del contribuente il quale aveva considerato la sua attività esclusivamente come agricola, comprendendo anche quella relativa alla trasformazione dei prodotti agricoli. Secondo l’agenzia delle Entrate, invece, l'attività di produzione di pane e simili doveva essere considerata una vera e propria attività commerciale e pertanto soggetta al regime imponibile ordinario.

Per tali motivi erano stati accertati maggiori ricavi da imputare a tassazione ai fini IRPEF, IRAP, IVA ed addizionali.

La Ctr ha accolto le ragioni del contribuente ritenendo che l’attività di produzione di pane fresco, pizza, dolci ed altri prodotti da forno svolta dal contribuente poteva dirsi strettamente connessa a quella agricola e, per tali motivi, era imponibile secondo il regime forfettario. Ciò significa che i proventi derivanti dall’attività di commercializzazione di pane e panificati rientrava nel reddito agrario, da determinare su base catastale, e pertanto, il maggior reddito derivante da questa attività di lavorazione dei prodotti agricoli non era soggetta alla tassazione ordinaria.

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Le informazioni sopra riportate sono state scritte da un avvocato che collabora con professionisti del nostro studio ma la loro rispondenza al sistema vigente non è garantita da DLP Studio Tributario, né nessuno dei suoi avvocati, né nessun altro, non rispecchia la professionalità media di DLP Studio Tributario e non sono state sottoposte ad ulteriori controlli da parte del nostro studio.

Ulteriori approfondimenti sono comunque dovuti in dipendenza delle specificità dei singoli casi concreti, anche (ma non solo) per verificare che le informazioni siano aggiornate al momento in cui servono.

 

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