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Analisi casi processuali – Ricorso contro avviso di liquidazione. Imposta sulle donazioni. Annullamento totale dell’avviso. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Analisi casi processuali – Ricorso contro avviso di liquidazione. Imposta sulle donazioni. Annullamento totale dell’avviso.

Nel presente articolo analizziamo un caso giurisprudenziale sottoposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Padova, la quale, in accoglimento del nostro ricorso, ha confermato l’integrale annullamento dell’avviso di liquidazione emesso dalla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate (che chiedeva un ingente pagamento - ritenuto non dovuto dalla sentenza in accoglimento del ricorso - a titolo di imposta sulle donazioni).

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Tuttavia, la prospettiva sarà differente rispetto al consueto esame della sentenza.

Infatti, procederemo, come in precedenti occasioni, ad esaminare la fattispecie, non dalla prospettiva del corpo letterale della sentenza (di cui citiamo gli estremi in calce per chi voglia analizzarne il contenuto), ma dalla prospettiva difensiva, analizzando le argomentazioni sviluppate nel ricorso da noi predisposti in difesa degli interessi del contribuente.

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Estratto del ricorso:

FATTO E DIRITTO

La signora XXX, odierna ricorrente, in data XXX, riceveva la notifica dell’avviso di liquidazione di cui in epigrafe.

All’interno di quest’ultimo la Direzione Provinciale di Padova richiede il pagamento di euro XX.XXX,XX avvisando la stessa che, in caso di mancato pagamento delle somme entro 60 giorni, l’esborso sarà ottenuto in via forzosa ed inoltre sarà richiesto in pagamento il 30% in più (circa ulteriori 20.000,00 euro: “le maggiori imposte accertate con il presente atto saranno riscosse mediante iscrizione a ruolo unitamente ai relativi interessi maturati e maturandi e alle sanzioni pecuniarie irrogate”, e “si renderà applicabile, inoltre, la sanzione pecuniaria pari al 30 per cento delle imposte non versate”: pag. X dell’avviso di liquidazione).

L’Ufficio redigente richiama una donazione da parte della sorella della contribuente, risalente al XXXX, donazione avvenuta all’estero, al fine di sottoporla ad imposizione, oggi, a distanza di 8 anni dalla manifestazione di capacità contributiva.

A tal fine cita la disciplina sulle donazioni indirette di cui all’art. 56-bis del T.U.S. (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, n. 346 del 31 ottobre 1990).

Tuttavia, la Direzione Provinciale si ferma ad un richiamo parziale.

Infatti, innanzitutto, non specifica che la norma subordina la sua applicazione alla precedente esistenza di un “procedimento diretto all’accertamento di tributi” (deve sussistere un preesistente procedimento instaurato d’impulso d’ufficio, come usualmente accade a seguito di invito a comparire o questionario o avviso), e nel caso di specie l’Ufficio non aveva instaurato nessun procedimento diretto all’accertamento di tributi.

Ancora, l’Ufficio richiama la prima parte della norma (maggiormente funzionale a sostenere la richiesta), ma dappoi interrompe il richiamo. A ben vedere la prosecuzione nella lettura della norma identifica ulteriori motivi di invalidità dell’atto. Infatti, la disposizione in parola stabilisce espressamente che è necessaria la “presenza di entrambe le seguenti condizioni: (…) b) le liberalità abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all'importo di 350 milioni di lire. 2. Alle liberalità di cui al comma 1 si applica l'aliquota del sette per cento, da calcolare sulla parte dell'incremento patrimoniale che supera l'importo di 350 milioni di lire”.

L’Ufficio non riconosce alla contribuente né la franchigia né l’aliquota citati dalla norma (350 milioni delle vecchie lire, ed imponibilità solo dell’eccedenza rispetto a tale cifra), errando pertanto tanto nell’individuazione della base imponibile, che dell’aliquota (l’Ufficio applica immotivatamente l’aliquota massima dell’8%). Per di più non applica neanche l’aliquota, ancora minore, dipendente dal rapporto di parentela (donazioni tra sorelle, pur riconoscendo il rapporto parentale nella parte in cui applica la franchigia - in nota: Franchigia diversa da quella di cui ut supra si è discorso - delle donazioni tra sorelle).

L’Ufficio dunque erra tanto nella determinazione della base imponibile quanto nella determinazione dell’aliquota.

Per di più nulla viene spiegato alla contribuente.

Non il motivo per cui l’Ufficio ha ritenuto inapplicabile la franchigia prevista dalla norma in tema di donazioni indirette, non il motivo per cui ha preteso di applicare l’aliquota massima.

Se pretende di invocare una norma o disposizione per sostenere che abbia correttamente individuato la base imponibile o l’aliquota deve d’altronde farlo in sede di avviso, altrimenti la Direzione Provinciale finisce per negare alla contribuente la possibilità di comprendere pienamente il ragionamento che ha condotto alla formazione di una simile richiesta di pagamento, e ciò in violazione dell’art. 7 L. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente).

Ma ancora, stiamo parlando, come detto ut supra, di una donazione intervenuta 8 anni prima dell’avviso di liquidazione.

L’Ufficio sostiene che non esista nessun tipo di limite temporale alla tassabilità delle donazioni indirette, e fintanto che possa rivendicare una dichiarazione dell’interessato, a parere dello stesso, non dovrebbe rilevare che siano trascorsi 6, 10 o 40 anni dalla donazione. L’Ufficio ritiene che dal presupposto d’imposta (id est donazione) non decorra alcun termine, con palese incostituzionale disparità di trattamento (e correlata violazione con il combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost.) tra termini di accertamento della donazione diretta (2, 3 o, al limite, in caso di omissione, 5 anni dalla donazione) e indiretta (per l’Ufficio vi sarebbe una tassabilità sine die, anche a distanza di decenni dalla donazione e quindi dal “presupposto” dell’imposta, dato che, sempre ad avviso dello stesso, un nuovo termine decorrerebbe egualmente da qualsiasi dichiarazione del contribuente).

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L’avviso di liquidazione appare invalido in considerazione dei motivi che seguono:

- primo motivo: decadenza dell’ufficio – violazione e falsa applicazione dell’art. 60 del t.u.d.  (T.U. n. 346 del 31 ottobre 1990) e art. 76 d.p.r. n. 131 del 1986.

L’atto, innanzitutto, si mostra invalido in quanto notificato a distanza di 8 anni dall’intervenuta donazione e dunque dopo la decorrenza del termine stabilito dal combinato disposto degli artt. 60 T.U.D. e 76 del T.U.D. (pertanto l’avviso si mostra emesso in violazione e/o falsa applicazione di tali disposizioni e l’Ufficio deve ritenersi decaduto dal potere di emissione dell’atto).

In particolare, ai fini dell’accertamento dell’imposta sulle donazioni (che richiama quanto previsto dal Testo Unico sull’imposta di registro), la notifica deve avvenire nel termine di due anni dal pagamento o tre anni dalla dichiarazione, o nella peggiore delle ipotesi (ossia in caso di omessa dichiarazione), nel termine di cinque anni.

L’Ufficio è dunque decaduto dalla potestà impositiva, e non si può in alcun modo condividere la pretesa interpretativa avanzata dallo stesso, ossia che rientri nei suoi poteri procedere alla notifica sine die, anche a distanza di molti anni, magari decenni, dal presupposto di imposta (id est donazione).

L’interpretazione della Direzione Provinciale stride con il dettato costituzionale per contrasto con l’art. 3 e con l’art. 53 Cost., in quanto conduce a:

- da un lato, ritenere sottoponibile a tassazione nel termine di due, tre, o, al limite, cinque anni, dal “presupposto” impositivo, la donazione diretta, e sottoponibile a tassazione senza un termine predeterminato, e magari anche di decenni successivo rispetto al “presupposto”, la donazione c.d. indiretta. Dunque, tale tesi conduce a trattare situazioni, del tutto analoghe, in maniera completamente difforme, e ciò in violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione (in nota: Anche in combinato disposto con l’art. 53 Cost. Sul punto Corte Cost. n. 120/1972 “Il precetto enunciato nell'art. 53, primo comma, Cost., per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in ragione della loro capacità contributiva, va interpretato quale specificazione del generale principio di uguaglianza, nel senso che a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario differenziato”.)

- dall’altro lato, ritenere sottoponibile a tassazione una capacità contributiva non “attuale”. La Corte Costituzionale ha in più occasioni avuto modo di evidenziare che sono requisiti fondamentali della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost, l’effettività, la certezza (in nota: Per dichiarazioni di illegittimità costituzionale per violazione dei requisiti di effettività e certezza della capacità contributiva ex pluribus cfr. Corte cost. n. 131/1973. Per dichiarazioni di illegittimità costituzionale per violazione del requisito di attualità della capacità contributiva, ex multis cfr. Corte Cost. n. 44/1966) e l’attualità della capacità contributiva.

Orbene, la previsione di termini di decadenza decorrenti dal presupposto impositivo, stabilita per ogni singola imposta, è legata - non solo al principio di certezza del diritto ma anche - al principio di attualità della capacità contributiva, infatti, sottoporre ad imposizione una capacità contributiva (id est ricchezza) sine die significa sottoporre ad imposizione una capacità contributiva non più attuale.

Peraltro, la Corte Costituzionale non ha mancato di dichiarare incostituzionali disposizioni che non prevedevano termini di decadenza ai fini della notifica (in nota: Ad esempio, Corte Cost., 15 luglio 2005, n. 280, che ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 25, D.P.R. n. 602/1973, come modificato dal D.Lgs. n. 193/2001, esattamente nella parte in cui non prevedeva un termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario dovesse notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell'art. 36-bis, D.P.R. n. 600/1973; Corte Cost., 4 luglio 2013, n. 170, con la quale è stato dichiarato incostituzionale l'art. 23, commi 37, ultimo periodo, e 40, D.L. 6 luglio 2011 n. 98, conv., con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011 n. 111, nella parte in cui estendeva, nell'ambito della procedura fallimentare, il novero dei crediti erariali assistiti dal privilegio anche a quelli sorti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legge medesimo).

Sul punto ci si riserva, una volta lette le controdeduzioni dell’Ufficio, di sollevare questione di legittimità costituzionale (Contrasti emergono quantomeno con i seguenti disposti: art. 3 Cost., art. 24 Cost., art. 53 Cost.) all’interno del presente giudizio, ove la Direzione Provinciale sostenga che le norme vadano interpretate nel senso di ritenere non decorrente alcun termine dal momento di manifestazione della capacità contributiva (id est donazione), anche se riteniamo che l’apparente contrasto possa essere risolto con un’interpretazione costituzionalmente conforme della norma.

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- secondo motivo: inesistenza del presupposto applicativo della norma di cui all’art. 56-bis t.u.s.  – violazione e falsa applicazione dell’art. 56-bis t.u.s.

In secondo luogo, la disposizione di cui all’art. 56-bis T.U.S. è stata falsamente applicata perché non ricorre, nel caso di specie, la condizione di cui alla lettera a) del primo comma.

Infatti, è condizione, ai fini dell’applicazione dell’art. 56-bis cit., che vi sia stato un impulso dell’Ufficio, nello specifico che quest’ultimo abbia iniziato un “procedimento diretto all’accertamento di tributi” (il caso scolastico in cui viene invocata tale norma è il procedimento instaurato dall’Ufficio a seguito di invito a comparire o questionario nei confronti di persona fisica chiamata a giustificare la provvista in relazione a spese sostenute).

Che vi sia l’impulso dell’Ufficio è elemento caratterizzante della fattispecie, che non parla solamente di dichiarazione dell’interessato.

E, nel caso di specie, l’impulso dell’Ufficio semplicemente non vi fu, provenendo la conoscenza dallo stesso da un atto (voluntary disclosure) che proviene dall’impulso del contribuente e non dell’Ufficio.

Anche per tale motivo (id est mancanza dei requisiti applicativi della norma in parola) l’avviso di liquidazione si palesa invalido.

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- terzo motivo – omessa applicazione della franchigia prevista dall’art. 56-bis t.u.s. – violazione e falsa applicazione dell’art. 56-bis t.u.s. - omessa motivazione – violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 212 del 2000 (c.d. statuto dei diritti del contribuente).

Ancora, l’Ufficio richiama la prima parte della norma, ma non la seconda parte, che stabilisce espressamente che è necessaria la presenza di entrambe le seguenti condizioni: (…) b) le liberalità abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all'importo di 350 milioni di lire. 2. Alle liberalità di cui al comma 1 si applica l'aliquota del sette per cento, da calcolare sulla parte dell'incremento patrimoniale che supera l'importo di 350 milioni di lire”.

In altri termini, l’Ufficio quando calcola la base imponibile disapplica totalmente la parte della disposizione di cui trattasi, secondo la quale la prima è costituita solo dall’importo eccedente i vecchi 350.000,00 milioni di lire.

Per di più non esplica al contribuente, in alcuna misura, per quale motivo ritiene inapplicabile tale franchigia, con ciò formando un atto che sotto tale profilo si presta a censure di omessa motivazione ai sensi dell’art. 7 L. 212 del 2000, che richiede l’indicazione a pena di nullità delle ragioni di fatto e di diritto (“Gli atti dell'amministrazione  finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione”).

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- Quarto motivo: omessa applicazione dell’aliquota prevista dall’art. 56-bis tus – violazione e falsa applicazione dell’art. 56-bis t.u.s. - omessa motivazione – violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 212 del 2000 (c.d. statuto dei diritti del contribuente).

Ancora, l’Ufficio applica all’errata base imponibile l’aliquota più elevata prevista in tutto il T.U.S.: l’8% e ciò malgrado la norma in materia di donazione indiretta (che peraltro come ut supra menzionato non sarebbe neanche applicabile per giustificare una tassazione) preveda un’aliquota più bassa “2. Alle liberalità di cui al comma 1 si applica l'aliquota del sette per cento, da calcolare sulla parte dell'incremento patrimoniale che supera l'importo di 350 milioni di lire”.

Per di più non esplica al contribuente, in alcuna misura, per quale motivo ritiene applicabile la massima aliquota prevista, con ciò formando un atto che sotto tale profilo si presta a censure di omessa motivazione ai sensi dell’art. 7 L. 212 del 2000, che richiede l’indicazione, a pena di nullità, delle ragioni di fatto e di diritto, e difficilmente si può sostenere che ciò non includa l’indicazione della ragione normativa alla base dell’applicazione di un’aliquota diversa da quella indicata dalla disposizione rivendicata dall’Ufficio.

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- quinto motivo: omessa applicazione dell’aliquota prevista in ragione del rapporto di parentela – violazione e falsa applicazione dell’art. 56-bis t.u.s. - omessa motivazione – violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 212 del 2000 (c.d. statuto dei diritti del contribuente).

Ancora, l’Ufficio applica all’errata base imponibile come detto l’aliquota più elevata prevista in tutto il T.U.S.: l’8% e ciò nonostante si tratti di donazione tra sorelle.

Per di più non spiega al contribuente, in alcuna misura, per quale motivo ritiene applicabile la massima aliquota prevista, con ciò formando un atto che sotto tale profilo si presta a censure di omessa motivazione ai sensi dell’art. 7 L. 212 del 2000, che richiede l’indicazione, a pena di nullità, delle ragioni di fatto e di diritto, comprendenti l’indicazione della ragione normativa alla base dell’applicazione di un’aliquota diversa da quella indicata dalla norma rivendicata dall’Ufficio.

La sentenza è la n. 427 del 2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Padova.

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