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L’inizio della revisione d’ufficio della dichiarazione doganale non preclude la richiesta di revisione su istanza di parte, che può sostenere, non solo che l’entità del dazio pagato era corretta, ma anche che lo stesso non era dovuto in alcuna misura

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Estratto: “Nel merito è comunque condivisibile la tesi della ricorrente in ordine al carattere non ostativo dell'avvenuto avvio della revisione d'ufficio rispetto alla richiesta di revisione su istanza di parte. Nessuna norma, infatti, prevede una simile preclusione. L'art. 11 d.lgs. n. 374 del 1990 si limita a stabilire (comma 1) che «La revisione è eseguita d'ufficio, ovvero quando l'operatore interessato ne abbia fatta richiesta con istanza presentata, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data in cui l'accertamento è divenuto definitivo», senza prevedere un rapporto di alternatività tra l'iniziativa officiosa e quella proveniente dal contribuente che, anzi, sono sullo stesso piano anche con riguardo al termine decadenziale entro il quale l'accertamento in revisione può essere attivato”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 12476 del 10 maggio 2019

FATTI DI CAUSA

L'Agenzia delle dogane, a seguito di verifica, emetteva nei confronti della T. 5 avvisi di accertamento con cui, per quattro di essi, in rettifica delle dichiarazioni doganali di importazione di partite di "fusioni grezze di acciaio" effettuate tra il 2006 e il 2008, la merce era stata classificata nella voce NC 7325 9990 90, con dazio al 2,7%, anziché nella voce NC 7325 1099 90, con dazio al 1,7%, recuperando le maggiori somme dovute per dazi ed Iva, mentre per il quinto, per merce classificata nella voce NC 7325 1099 90, intimava il pagamento dei diritti dovuti ma non riscossi. Avverso detti avvisi la contribuente proponeva impugnazione in via amministrativa ex art. 65 TULD innanzi alla Direzione regionale di Trieste, chiedendo altresì, per tutti gli avvisi, la variazione della classificazione originaria nella voce NC 8431 4980 00, in esenzione di dazio. La Direzione Generale, con decisione del 26 luglio 2010, confermava gli avvisi e la classificazione operata dall'Ufficio. T. Srl impugnava gli avvisi di rettifica, e la decisione emessa in sede di ricorso amministrativo, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Gorizia, contestando la pretesa poiché i prodotti importati, pur non finiti, avevano le caratteristiche fisiche della voce NC 8431 4980 00, di cui chiedeva il riconoscimento. L'impugnazione, accolta dalla CTP, era rigettata dal giudice d'appello. La contribuente ricorre per cassazione con tre motivi. Resiste l'Agenzia delle dogane con controricorso. T. Srl deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione dell'art. 11 d.lgs. n. 374 del 1990 e della normativa doganale in tema di accertamento successivo e su istanza di parte (artt. 6 e 243 CDC).

1.1. Il secondo motivo denuncia, sulla medesima questione, violazione dell'art. 112 c.p.c. per ultrapetizione.

2. I motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono fondati. 2.1. La contribuente si duole, infatti, che la CTR abbia escluso, con rilievo officioso di una questione - la ritenuta tardività dell'istanza di revisione - in alcun modo sollevata dalla controparte, l'ammissibilità della revisione su istanza di parte a fronte della avviata revisione d'ufficio e, dunque, l'esame della richiesta di riconoscimento, per la totalità delle importazioni, della voce NC 8431 4980 00.

2.2. Emerge dagli atti - riprodotti in termini adeguati ai fini dell'osservanza del principio di autosufficienza - che la questione dell'asserita tardività dell'istanza di revisione non era stata in alcun modo introdotta nel giudizio dall'Ufficio, sicché sussiste il dedotto vizio processuale. Né può essere invocata, a sostegno della rilevabilità d'ufficio, un asserito ordine pubblico comunitario, tanto più che la questione attiene alla pienezza delle deduzioni che il contribuente è legittimato a proporre in sede di contraddittorio doganale.

2.3. Nel merito è comunque condivisibile la tesi della ricorrente in ordine al carattere non ostativo dell'avvenuto avvio della revisione d'ufficio rispetto alla richiesta di revisione su istanza di parte. Nessuna norma, infatti, prevede una simile preclusione. L'art. 11 d.lgs. n. 374 del 1990 si limita a stabilire (comma 1) che «La revisione è eseguita d'ufficio, ovvero quando l'operatore interessato ne abbia fatta richiesta con istanza presentata, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data in cui l'accertamento è divenuto definitivo», senza prevedere un rapporto di alternatività tra l'iniziativa officiosa e quella proveniente dal contribuente che, anzi, sono sullo stesso piano anche con riguardo al termine decadenziale entro il quale l'accertamento in revisione può essere attivato. Il successivo comma 5 («Quando dalla revisione, eseguita sia d'ufficio che su istanza di parte, emergono inesattezze, omissioni o errore relativi agli elementi presi a base dell'accertamento ...») conferma, poi, la considerazione normativa di sostanziale parità tra le due iniziative, mentre, infine, il comma 6 si limita a disciplinare il regime di impugnazione amministrativa dell'istanza di parte e, dunque, non assume rilievo a tal fine.

2.4. Si può anche ritenere, invero, che la revisione su istanza di parte non possa essere avviata ove la questione dell'esatta classificazione abbia già formato oggetto di una controversia doganale decisa dal direttore generale per l'ovvia considerazione che, in tale evenienza, il contraddittorio è stato già compiutamente svolto, con possibilità per l'interessato di dedurre le proprie osservazioni e, dunque, a fronte di una decisione non favorevole in tale sede, debba necessariamente essere attivato lo strumento del ricorso giurisdizionale. Ma proprio tale ragione conferma che è possibile chiedere anche in sede di ricorso amministrativo (pur avviato contro la procedura di revisione d'ufficio) unitamente al diniego della rettifica operata (in pejus) dall'Ufficio anche il riconoscimento di una diversa e più favorevole classificazione. Va sottolineato sul punto, che l'originaria dichiarazione doganale, seppure determini un vincolo per il dichiarante, non può ritenersi definitivamente preclusiva di eventuali rettifiche su istanze di parte ove l'interessato abbia commesso errori determinanti, a suo avviso, una più gravosa liquidazione dei diritti dovuti.

2.5. Orbene, nella vicenda in esame la stessa CTR dà atto che la richiesta era «stata introdotta al momento della controversia doganale» e, dunque, non poteva incontrare alcuna legittima preclusione (salva solo l'eventuale tardività, nella specie non sussistente e, comunque, non dedotta, rispetto al termine triennale dalla definitività dell'accertamento). Ricorre, anzi, proprio la situazione sopra prospettata: nella controversia doganale il contribuente, nel presentare le sue osservazioni, ha chiesto una riclassificazione più favorevole, perché riteneva inesatta quella inserita nella bolletta doganale, rimasta invece stata disattesa dalla decisione del direttore generale (che ha ritenuto corretta la revisione operata dall'Ufficio), da cui la necessità di dedurla nella sede contenziosa.

3. Il terzo motivo - con cui si deduce la violazione dell'art. 7 I. n. 212 del 2000 - resta conseguentemente assorbito.

3. In accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Friuli Venezia Giulia in diversa composizione. Deciso in Roma, il 13 marzo 2019

 

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