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Se l’atto non indicava i requisiti minimi per essere considerato impugnabile, l’Agenzia non può ritenere cristallizzata la pretesa non opposta. I vizi dell’atto sono eccepibili anche in sede di impugnazione della cartella. Confermato l’annullamento.

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Estratto: “individuato quali erano i difetti dell'invito al pagamento tali da renderlo non autonomamente impugnabile; in particolare, il giudice del rinvio ha rilevato la mancanza di 1) indicazione della quantità della merce introdotta illecitamente in Italia, 2) indicazione dell'ammontare dei diritti dovuti in relazione a ciascun quantitativo di merce, 3) specificazione dei termini e dell'organo giurisdizionale al quale avanzare contestazioni rispetto all'atto”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 14615 del 29 maggio 2019

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 122 del 21/6/2005 la C.T.R. della Campania rigettava l'appello dell'Agenzia delle Dogane contro la pronuncia di primo grado, che aveva accolto il ricorso di D. e S. contro le cartelle di pagamento ad essi notificate per la somma di Euro 1.111.827,89, a titolo di dazi, imposte ed interessi di mora a seguito di invito al pagamento non opposto. Questa Corte, con sentenza n. 15548 del 30/6/2010, accoglieva il ricorso dell'Agenzia e cassava la decisione di merito con rinvio ad altra sezione della C.T.R. Campania. Per quanto rileva in questa sede, la pronuncia di legittimità accoglieva il ricorso, rilevando che «1.1. ... Non è d'altro canto dubbia, in via generale, l'autonoma impugnabilità dell'invito al pagamento ... 3.1. ... Se il giudice tributario - premessa, per quanto si e detto sub 1.1., la impugnabilità, in linea di principio, dell'invito al pagamento in materia tributaria - ritiene che, in concreto, l'invito al pagamento difettasse di elementi essenziali tali da precludere l'utile svolgimento della sua funzione, deve esplicitamente indicare quali siano gli elementi mancanti e non può limitarsi ad affermare genericamente la sua inidoneità ad essere considerato atto impugnabile.». Nel giudizio di rinvio, con sentenza n. 277/1/12 del 22/5/2012, la C.T.R. della Campania respingeva l'appello dell'Agenzia ritenendo che l'avviso di pagamento, atto presupposto delle cartelle impugnate, difettasse dei requisiti essenziali per essere considerato impugnabile. Avverso tale decisione l'Agenzia delle Dogane propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso S., che ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Anche il Pubblico Ministero ha depositato memoria, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo l'Agenzia deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) degli artt. 380, 383, comma 1, e 384, commi 1 e 2, cod. proc. civ. per avere la C.T.R. di rinvio violato il principio di diritto formulato nella sentenza di questa Corte n. 15548 del 2010; in particolare, si sostiene che - in ragione della ribadita inammissibilità, nel giudizio di impugnazione della cartella di pagamento, di questioni attinenti al merito della pretesa tributaria - il giudice di merito avrebbe dovuto verificare se col ricorso originario erano state dedotte questioni di merito oppure vizi propri della cartella, mentre la C.T.R. campana ha eluso la decisione di legittimità confermando l'annullamento della cartella per motivi riguardanti l'invito al pagamento.

2. Il motivo è infondato. Ai sensi dell'art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992 «Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri»; a questa disposizione fa implicito riferimento la citata pronuncia n. 15548 del 30/6/2010, la quale ha espressamente affermato «la impugnabilità, in linea di principio, dell'invito al pagamento in materia tributaria» (in altra parte della motivazione si ribadisce, «in via generale, l'autonoma impugnabilità dell'invito al pagamento»). Nell'accogliere il secondo motivo di ricorso, però, questa Corte ha censurato la statuizione della C.T.R. campana che - con «generica affermazione (costituente la prima ratio decidendi)» - aveva affermato che l'invito al pagamento mancava di elementi necessari per essere considerato un valido atto impugnabile; si è precisato, infatti, che «se il giudice tributario ... ritiene che, in concreto, l'invito al pagamento difettasse di elementi essenziali tali da precludere l'utile svolgimento della sua funzione, deve esplicitamente indicare quali siano gli elementi mancanti e non può limitarsi ad affermare genericamente la sua inidoneità ad essere considerato atto impugnabile». Il giudice del rinvio era stato esplicitamente chiamato «ad un nuovo esame della fattispecie» e, cioè, ad una ulteriore valutazione dell'invito al pagamento con obbligo di specificare le eventuali ragioni per cui esso sarebbe privo di requisiti essenziali tali da renderlo atto non autonomamente impugnabile. In altri termini, proprio in virtù di quanto statuito da questa Corte con la sentenza n. 15548 del 30/6/2010, il principio di diritto enunciato al punto 1.1. trova eccezione laddove la cartella di pagamento sia il primo atto impugnabile (per carenza dei requisiti essenziali dell'atto presupposto), sicché al giudice del rinvio era rimesso proprio il compito di valutare se l'avviso presupposto costituisse (o no) atto autonomamente impugnabile. Con la sentenza qui impugnata la C.T.R. ha esplicitamente statuito: «Preliminarmente va affrontata la questione di diritto relativa alla mancanza dei requisiti essenziali dell'impugnato invito al pagamento. Da una verifica risulta che il suddetto atto impositivo manca della indicazione della quantità della merce introdotta illecitamente in Italia, dell'ammontare dei diritti dovuti in relazione a ciascun quantitativo di merce e della indicazione dei termini e dell'organo giurisdizionale presso cui poteva prodursi ricorso». 3. Col secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) degli artt. 7, comma 2, Legge n. 212 del 2000 e 3, comma 4, Legge n. 241 del 1990, norme erroneamente interpretate al fine di comminare all'invito al pagamento la sanzione di nullità e, conseguentemente, per definirne l'inoppugnabilità al solo scopo di consentire un riesame di merito della pretesa tributaria; l'Agenzia contesta che l'inottemperanza alle predette disposizioni possa condurre a nullità dell'atto ma, al più, ad una rimessione in termini per la sua impugnazione, la quale non può essere richiesta per la prima volta nel giudizio di rinvio.

4. Il motivo è inammissibile. Come sopra esposto, la C.T.R. campana ha individuato quali erano i difetti dell'invito al pagamento tali da renderlo non autonomamente impugnabile; in particolare, il giudice del rinvio ha rilevato la mancanza di 1) indicazione della quantità della merce introdotta illecitamente in Italia, 2) indicazione dell'ammontare dei diritti dovuti in relazione a ciascun quantitativo di merce, 3) specificazione dei termini e dell'organo giurisdizionale al quale avanzare contestazioni rispetto all'atto. La censura dell'Agenzia delle Dogane si incentra esclusivamente sulla pretesa insussistenza della ragione di nullità indicata sub 3), mentre il motivo non censura i riscontrati difetti dei requisiti essenziali sub 1) e 2). 5. È inammissibile anche il terzo motivo, col quale si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 654 cod. proc. pen. e dei principi in tema di efficacia esterna del giudicato penale, per avere la C.T.R. escluso l'attività di contrabbando sulla scorta della decisione penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Infatti, la denuncia dell'Agenzia - che attinge il merito della pretesa tributaria - è inidonea ad incidere sulla decisione impugnata poiché il riscontrato difetto di elementi essenziali dell'invito al pagamento (v. punto 4) impedisce il sindacato sulla sussistenza dell'obbligazione tributaria. Inoltre, il ricorso dell'Amministrazione censura plurimi errori «di comprensione del provvedimento del Tribunale penale di Napoli» perché il giudice di appello avrebbe escluso la rilevanza di una decisione pronunciata senza dibattimento in un procedimento penale in cui la responsabilità degli imputati era solo stata adombrata (anche nell'ipotesi di tentativo di delitto); l'errore percettivo denunciato in questa sede può, al più, giustificare il rimedio della revocazione della sentenza d'appello ma non costituisce motivo di ricorso per cassazione. 6. Lo stesso deve dirsi con riguardo al quarto motivo, col quale l'Agenzia denuncia il vizio della motivazione della sentenza impugnata per avere affermato - in contrasto con i documenti acquisiti - che l'invito al pagamento mancava della indicazione della quantità della merce introdotta illecitamente in Italia e dell'ammontare dei diritti dovuti in relazione a ciascun quantitativo di merce. In proposito si osserva che «La denuncia di un errore di fatto, consistente nell'inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ma di revocazione a norma dell'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.» (Cass., Sez. L., Sentenza n. 2529 del 09/02/2016, Rv. 638935-01; Cass., Sez. L., Sentenza n. 24166 del 13/11/2006, Rv. 593502-01). 7. In conclusione, il ricorso è respinto e la soccombente Agenzia va condannata alla rifusione delle spese sostenute dalla controricorrente per il giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente Agenzia delle Dogane a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 8.700,00, oltre a spese forfettarie e accessori di legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 16 aprile 2019.

 

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