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Triangolazioni ritenute “sospette” dall’Agenzia. È sull’Agenzia delle Entrate che grava l’onere di provare che si tratta di operazioni oggettivamente inesistenti. Confermato l’annullamento dell’avviso.

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Estratto: “l'affermazione dell'Agenzia delle Entrate che la CTR non avrebbe esaminato il thema decidendum, consistente nella verifica della reale esistenza di un rapporto negoziale effettivo, in presenza di "sospette triangolazioni", a prescindere dalla "materiale" esistenza delle operazioni contestate non tiene conto che la ripartizione dell'onere della prova imponeva comunque alla pubblica amministrazione di dimostrare che il "rapporto negoziale effettivo" e le "sospette triangolazioni" si erano tradotte in operazioni "oggettivamente" inesistenti”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 17946 del 4 luglio 2019

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'Agenzia delle Entrate ha rilevato con avviso di accertamento che l'O. aveva posto in essere per l'anno 2007 delle operazioni inesistenti per un importo complessivo di € 1.146.000,00, con IVA pari ad € 229.200,00, da ritenere non detraibile. La O. srl ha proposto ricorso che la CTP di Teramo, nel contraddittorio delle parti, ha accolto con sentenza n. 289/2016. L'Agenzia delle Entrate ha proposto appello, cui ha resistito la società contribuente proponendo anche gravame incidentale. La CTR dell'Abruzzo, con sentenza n. 863/4/17, ha respinto tutte le impugnazioni. L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. La società contribuente ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale fondato su un motivo. La sola società contribuente ha depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l'Agenzia delle Entrate lamenta l'omessa motivazione della decisione impugnata, poiché la CTR non avrebbe valutato se le "triangolazioni" oggetto di causa non celassero intenti elusivi e si sarebbe limitata ad aderire semplicemente alle risultanze del processo penale svoltosi. La doglianza è infondata. In tema di IVA, qualora l'Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all'Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass., Sez. 6-5, n. 11873 del 15 maggio 2018). Nella specie, la CTR ha dettagliatamente indicato gli elementi da cui ha desunto l'effettiva realizzazione delle operazioni. A prescindere, infatti, dalla decisione di assoluzione degli imputati dai reati contestati concernenti i profili tributari, la quale, peraltro, è stata correttamente considerata alla stregua di un elemento di prova in ordine ai fatti in essa accertati sulla base delle prove raccolte nel relativo giudizio (Cass., Sez. 5, n. 4924 del 27 febbraio 2013), la CTR ha valorizzato, al fine di rigettare il gravame dell'Agenzia delle Entrate, le seguenti circostanze: la presenza dei macchinari relativi alle due fatture interessate presso lo stabilimento della società contribuente in XXX; l'indicazione nelle fatture e nelle bolle di consegna come luogo di destinazione della sede della A. srl, quale indirizzo di consegna temporaneo, ove fare collaudare i macchinari da personale specializzato; l'effettivo pagamento del prezzo a mezzo banche; l'indicazione negli estratti conto della società acquirente che la O. era ospitata presso i locali della A. srl; il fatto che la società di diritto spagnolo (la G.) fornitrice dei macchinari non avesse legami con il gruppo O. e non fosse una cartiera; l'acquisto, ad opera della società contribuente, di beni ulteriori dalla G., il che impediva di individuare una corrispondenza univoca e certa "fra quanto acquistato dalla società spagnola in Italia e quanto dalla stessa... fatto rientrare in Italia a beneficio della società italiana O. srl". In tale ottica, le considerazioni dell'Agenzia delle Entrate in ordine alla motivazione della decisione gravata, nella parte in cui la CTR avrebbe riconosciuto l'emissione di un bonifico della AI srl in favore della A. srl, dopo il pagamento della fattura emessa dalla prima nei confronti della seconda e pur in assenza di rapporti commerciali fra le due società, sono prive di pregio, da un lato, in quanto il giudice di appello ha rilevato che i serbatoi inox oggetto della fattura erano nella disponibilità della società contribuente, dall'altro, atteso che la doglianza si traduce in una contestazione della logicità della detta motivazione, ormai preclusa nel giudizio di legittimità ai sensi dell'attuale disposto dell'articolo 360, n. 5, c.p.c. D'altronde, l'affermazione dell'Agenzia delle Entrate che la CTR non avrebbe esaminato il thema decidendum, consistente nella verifica della reale esistenza di un rapporto negoziale effettivo, in presenza di "sospette triangolazioni", a prescindere dalla "materiale" esistenza delle operazioni contestate non tiene conto che la ripartizione dell'onere della prova imponeva comunque alla pubblica amministrazione di dimostrare che il "rapporto negoziale effettivo" e le "sospette triangolazioni" si erano tradotte in operazioni "oggettivamente" inesistenti, nonostante i beni trasferiti fossero in realtà nella disponibilità della O.

L'Agenzia delle Entrate, peraltro, non ha indicato, nel ricorso, quali elementi, favorevoli alla sua ricostruzione, non sarebbero stati valutati dalla CTR.

2. Con il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta connessione, l'amministrazione ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 654 c.p.p. e 116 c.p.c., nonché degli articoli 2697 e 2729 c.c. e 109 TUIR poiché la CTR non avrebbe valutato adeguatamente la sentenza penale che aveva deciso la vicenda, in particolare non tenendo conto di alcune presunzioni gravi, precise e concordanti e non applicando correttamente la normativa in tema di presunzioni e ripartizione dell'onere della prova. Le doglianze sono inammissibili per difetto di specificità. L'Agenzia delle Entrate, che doveva dimostrare l'inesistenza delle operazioni in questione, si è limitata a riportare nel ricorso, per suffragare la sua contestazione, uno stralcio della richiesta di rinvio a giudizio concernente il menzionato giudizio penale, senza indicare dettagliatamente quali elementi non sarebbero stati considerati dalla CTR, in cosa sarebbe consistita la loro gravità, precisione e concordanza e le ragioni per cui tale omissione sarebbe stata decisiva e, perciò, censurabile, soprattutto alla luce del fatto che la detta CTR non era obbligata ad aderire passivamente all'impostazione della citata richiesta, come non era vincolata dalla decisione di assoluzione emessa in primo grado, ma aveva effettuato una propria autonoma valutazione della vicenda, indicando dettagliatamente gli elementi che la inducevano a ritenere esistenti le operazioni de quibus. Peraltro, si osserva che, in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l'apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per  valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall'articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. 6-1, n. 1234 del 17 gennaio 2019). Nella specie, a fronte della esposizione nella sentenza gravata delle ragioni che, ad avviso della CTR, conducevano a rigettare l'impostazione dell'Agenzia delle Entrate, questa si è limitata a riproporre le asserzioni contenute nella richiesta di rinvio a giudizio, neppure chiarendo sulla base di quali accertamenti dette asserzioni avessero trovato un riscontro effettivo.

3. Deve essere esaminato, quindi, l'unico motivo di ricorso incidentale, con il quale la società contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, poiché la decisione di merito avrebbe erroneamente determinato l'ammontare del contributo unico da versare in presenza di un gravame respinto e, comunque, avrebbe applicato nel processo tributario una disposizione, quale il citato articolo 13, comma 1 quater, che, invece, era prevista solo per quello ordinario. La doglianza è fondata. Infatti, l'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, sulla condanna al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nell'ipotesi di declaratoria di infondatezza o inammissibilità dell'impugnazione, non trova applicazione nei giudizi tributari, trattandosi, come evidenziato anche dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 18 del 2018, di una misura eccezionale di carattere lato sensu sanzionatorio, la cui operatività deve, pertanto, essere circoscritta al processo civile (Cass., Sez. 6- 5, n. 15111 dell'Il giugno 2018). Tale disposizione, peraltro, non può essere invocata nei gradi di merito, ma è pienamente operativa in sede di legittimità, in caso di impugnazione davanti alla Corte di cassazione di una decisione resa dalla CTR, trattandosi di un ordinario giudizio civile disciplinato dal codice di rito. La menzionata natura sanzionatoria e la stretta inerenza al processo, alla posizione giuridica controversa ed alla soccombenza della misura de qua, peraltro, impongono alla parte, che abbia interesse a contestare la decisione sul punto, di impugnare specificamente, davanti alla Corte di cassazione, la pronuncia della CTR che abbia ritenuto la ricorrenza dei presupposti per il versamento dell'importo ex articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R.' — n. 115 del 2002, non potendo la Suprema Corte, stante il carattere del giudizio che si svolge davanti ad essa e la struttura impugnatoria dello stesso, valutarne la legittimità d'ufficio.

4. Il ricorso principale va, quindi, respinto, mentre va accolto quello incidentale. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata senza rinvio, in relazione all'accoglimento del ricorso incidentale, limitatamente al capo ove è scritto "dichiara che la O. è tenuta al pagamento del doppio del contributo unificato".

5. Le spese di lite seguono la soccombenza, ai sensi dell'articolo 91 c.p.c., e sono liquidate come in dispositivo. Non ricorrono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'articolo 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all'articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell'obbligo di versamento, da parte dell'amministrazione ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di amministrazione statale non tenuta a corrispondere tale contributo.

P.Q.M.

La Corte, - rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa senza rinvio la sentenza impugnata, in relazione all'accoglimento del ricorso incidentale, limitatamente al capo ove è scritto "dichiara che la O. è tenuta al pagamento del doppio del contributo unificato"; pone le spese del giudizio di legittimità a carico dell'amministrazione ricorrente e le liquida in complessivi € 6.000,00, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, da distrarsi in favore del difensore della società contribuente, dichiaratosi antistatario. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5^ Sezione Civile, il 19 febbraio 2019.

 

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