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Frode carosello: se l’Agenzia delle Entrate non fornisce la prova che il contribuente “sapeva”, l’avviso deve essere annullato

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Massima: “A fronte dell'esibizione della fattura, spetta all'Ufficio provare il difetto delle condizioni per la detrazione o la deduzione, e, secondo i principi generali in materia, tale dimostrazione può essere fornita con presunzioni semplici (Conf. Cass. n. 9108/2012). Spetta all'Amministrazione finanziaria dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in un'evasione commessa dal fornitore (Conf. Cass. nn. 23560/2012 e 24426/2013)”.

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Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo

Sentenza del 29/06/2017 n. 367 - Sezione/Collegio 2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi, ritualmente notificati, il XXX (di seguito, solo: XXX) ha impugnato gli avvisi d'accertamento notificatigli dall'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Bergamo, per gli anni d'imposta 2010 e 2011, con i quali, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza dell'ottobre XXX, gli è stato contestato di essere parte di un ampio sistema frodatorio, attuato con la costituzione di società e cooperative, dedite alla di mano d'opera a terzi, tutte gestite da meri prestanome. In base a detto presupposto, la contribuente è stata oggetto di dettagliate indagini finanziarie, all'esito delle quali è emerso che le movimentazioni bancarie in accredito e in addebito sulle relazioni intrattenute dal XXX non erano state considerate nella determinazione del suo reddito. Più in particolare, l'Amministrazione finanziaria ha eccepito che negli anni d'imposta in discussione erano state accreditate ingenti somme sui conti del ricorrente per le quali questo non era stato in grado di documentare la provenienza; e che, parimenti, anche in relazione ai prelievi di denaro contante e alle altre operazioni registrate nella posta dare, il XXX aveva mancato di fornire l'indicazione dei beneficiari finali di detti flussi. Sicché, in forza della presunzione voluta dall'art. 32 del D.P.R. n. 600/73, tutti i prelevamenti e i versamenti sono stati imputati dall'Agenzia resistente a ricavi, con conseguente rideterminazione del reddito d'impresa ai fini IRES, accertamento del maggior valore della produzione e dell'IVA. Con riferimento al solo anno d'imposta 2011, l'avviso impugnato ha altresì contestato al contribuente di aver dedotto costi sulla base di fatture emesse dalla s.r.l. XXX per operazioni soggettivamente inesistenti, e l'Amministrazione finanziaria ha conseguentemente proceduto al recupero dell'IVA esposta nelle relative fatture della predetta società. Con gli atti introduttivi del giudizio (dei quali è stata disposta la riunione per connessione oggettiva e soggettiva), il XXX ha contestato sotto ogni profilo il fatto costitutivo della pretesa erariale. In particolare, ha eccepito l'illegittimità degli avvisi impugnati, in quanto: (i) fondati sul mero richiamo al processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, non allegato agli atti d'accertamento, e comunque privi di una compiuta motivazione, evincibile solo attraverso il riferimento al citato verbale; (ii) sottoscritti da un soggetto diverso dal Direttore Provinciale di Bergamo dell'Agenzia delle Entrate; (iii) basati su elementi indiziari privi del requisito della precisione e concordanza, nonché su una erronea applicazione del disposto dell'art. 32 del D.P.R. n.600/ 1973, essendo tutti gli importi giudicati non giustificati dalla Guardia di Finanza regolarmente registrati in contabilità; e, da ultimo, (iv) affatto infondati nella parte in cui è stata recuperata a tassazione l'IVA sulle fatture emesse dalla s.r.l. XXX, che è soggetto costituito nell'anno XXX e regolarmente operante. Per queste (così sinteticamente riassunte) ragioni, il XXX ha domandato la dichiarazione d'illegittimità di tutti gli atti impugnati e il loro conseguente annullamento. Con note ritualmente depositate, si è ritualmente costituita in giudizio l'Agenzia resistente, la quale ha confutato, partitamente, ognuno dei motivi d'impugnazione, dei quali ha domandato la reiezione, sostenendo: che gli avvisi d'accertamento erano congruamente motivati attraverso il legittimo richiamo al contenuto del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza di XXX, ritualmente notificato al legale rappresentante del XXX, il quale ha così potuto esercitare pienamente il proprio diritto di difesa; che inesistente doveva dirsi l'eccezione circa la mancata sottoscrizione dell'atto da parte del Direttore dell'ufficio competente, in base al testuale disposto dell'art. 42 del D.P.R. n. 600/1973; che, nel merito, il contribuente non era stata in grado di dimostrare di aver considerato nella determinazione del proprio reddito né i movimenti in accredito né quelli in addebito risultanti dall'esame delle relazioni bancarie ad esso intestate: dimodoché, il XXX non aveva assolto l'onere probatorio su di esso gravante, anche perché aveva omesso in sede di verifica di esibire alcun documento, libro e registro, dei quali non poteva pertanto tenersi conto nella presente sede contenziosa; che, in ogni caso, la documentazione depositata con i ricorsi non era sufficiente per provare che la contribuente ha considerato le movimentazioni bancarie in discussione. Quanto invece alle pretese operazioni soggettivamente inesistenti rese a favore del XXX dalla s.r.l. XXX, l'Amministrazione finanziaria ha rilevato che quest'ultima società si palesava un mero soggetto interposto, utilizzato quale “contenitore di forza lavoro al fine di eludere gli obblighi contributivi e fiscali”. L'Agenzia delle Entrate ha (per i motivi sopra sommariamente esposti) conseguentemente domandato la conferma degli atti impugnati.

In ordine logico, e in via preliminare, va subito escluso che gli avvisi d'accertamento siano carenti nell'esposizione della pretesa erariale, avendo al contrario assolto la loro funzione tipica (di provocatio ad opponendum), essendo in essi dettagliatamente enunciato il fatto costitutivo dei rilievi dell'Amministrazione finanziaria, e risultando in tal modo consentito al contribuente di assumere un'adeguata difesa in sede giudiziale. Secondariamente, e sempre preliminarmente, la Commissione osserva che il potere di firma in capo al soggetto che ha sottoscritto gli atti d'accertamento è nel caso di specie certamente sussistente, giacché quelli in epigrafe potevano essere emanati, a mente dell'art. 42 del D.P.R. n. 600/1973, dal “Capo dell'Ufficio”, ovvero da funzionari che siano dallo stesso validamente delegati. E siccome non è in discussione, perché non espressamente eccepito, che il Funzionario che ha sottoscritto gli avvisi impugnati rivestiva la qualifica voluta dalla legge, l'eccezione della contribuente deve essere rigettata.

Quanto invece ai suoi rilievi di merito, va ricordato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 consente al contribuente di vincere la relativa presunzione anche attraverso indizi semplici, e quindi mediante la prova contraria specifica e analitica. La relativa verifica compete a questo Collegio, il quale è tenuto a individuare i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare, e nel contesto complessivo. Ebbene, il particolareggiato esame di ognuna delle movimentazioni bancarie oggetto di rilievo da parte dell'Agenzia delle Entrate consente di affermare che a fronte di ogni versamento e prelievo è stata data dal XXX idonea e completa giustificazione. I prospetti redatti dalla ricorrente per identificare dettagliatamente i soggetti beneficiari di ciascun addebito e la causale delle operazioni d'accredito in discussione è invero completa e specifica. E permette pertanto al XXX di vincere la presunzione che conforta la pretesa dell'Amministrazione finanziaria. Né può affermarsi che la produzione in questa sede contenziosa della documentazione comprovante detti fatti oggettivi debba essere considerata nuova, e quindi inammissibile, perché non depositata dalla contribuente nel corso della verifica della Guardia di Finanza. Invero, l'Agenzia resistente ha omesso di produrre in giudizio il processo verbale di constatazione, impedendo così a questo Collegio di verificare nel dettaglio se effettivamente la parte ha mancato di mettere a disposizione dei verificatori specifica documentazione. Ma a parte ciò, può certamente dirsi che nel presente giudizio la contribuente ha legittimamente versato agli atti documenti utili per dare giustificazione di ognuna delle movimentazioni contestate, offrendo all'esame della Commissione, consentendo la dovuta collazione, un documento ove sono riassunti: l'elenco dei movimenti contestati; il mastrino riferito ad ognuno degli istituti di credito con i quali ha operato il XXX; nonché di estratti del libro giornale ove è indicata, per ognuna delle operazioni in accredito e in addebito, la relativa annotazione. Così operando, la contribuente ha consentito di sottoporre a dettagliata verifica il fatto costitutivo della pretesa dell'Amministrazione erariale, e di rilevare che nella fattispecie l'assunto secondo il quale i movimenti in avere non sarebbero stati considerati nella determinazione del reddito del XXX si palesa affatto erroneo e infondato; nonché di accertare, per quelli (movimenti) individuati nella posta 'dare', che ognuno di essi indicava specificamente il relativo beneficiario. In tal modo, il ricorrente ha fornito la prova contraria alla presunzione legale di cui al richiamato art. 32 del D.P.R. n. 600/1973. E ciò ha fatto mediante una prova analitica che individua specificamente ogni operazione bancaria, e consente di dimostrare che ciascuna di esse deve dirsi oggettivamente estranea a fatti imponibili. Venendo ora a esaminare le prestazioni fatturate al XXX dalla s.r.l. XXX, va pregiudizialmente precisato che la fattura è un documento idoneo a rappresentare un costo dell'impresa, lasciando presumere - quando è regolarmente emessa - la veridicità di quanto in essa rappresentato (cosicché, la stessa costituisce titolo ai fini del diritto alla detrazione dell'IVA o alla deduzione del costo indicato). A fronte dell'esibizione della fattura, spetta dunque all'Ufficio provare il difetto delle condizioni per la detrazione o la deduzione, e, secondo i principi generali in materia, tale dimostrazione può essere fornita con presunzioni semplici (in termini, tra le molte, Cass. n. 9108/2012). Nel caso in discussione, gli elementi indiziari allegati dall'Agenzia delle Entrate non sono rilevanti e concludenti ai fini del decidere, giacché la contribuente, come le era consentito, ha superato le presunzioni che confortano il fatto costitutivo della pretesa erariale mediante allegazioni e prove documentali neppure contestate dall'Ente resistente.

Quest'ultimo, del resto, per negare il diritto alla detrazione, avrebbe dovuto provare in questa sede contenziosa che la ricorrente, alla quale sono stati forniti i servizi posti a fondamento del diritto alla detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio 'acquisto', partecipava a un'operazione che si iscriveva in un'evasione commessa dal fornitore, non potendo in materia operare il sistema della responsabilità oggettiva e neppure l'obbligo in capo al soggetto passivo di verificare che l'emittente della fattura correlata ai servizi per i quali essa è stata emessa fosse effettivamente in grado di fornirli. Questi assunti, consacrati nelle pronunce del Supremo Collegio e della stessa Corte di Giustizia Europea, portano a ritenere che il diniego del diritto alla detrazione è un'eccezione all'applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, e che spetta conseguentemente all'Amministrazione Tributaria " ... dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un'evasione commessa dal fornitore ... " (cosi, Cass., n. 23560/2012; Cass., n. 24426/2013).

Questi essendo i principi ormai pacifici in materia di detrazione dell'IVA pagata su fatture soggettivamente inesistenti, il Collegio osserva che l'Agenzia delle Entrate non ha potuto dimostrare che la ricorrente, nel momento in cui ha i servizi dalla s.r.l. XXX, avrebbe dovuto sapere che il soggetto formalmente cedente aveva, con l'emissione delle relative fatture, inteso evadere l'imposta o partecipare a una frode, e cioè che la contribuente disponeva di indizi idonei a avvalorare un tale sospetto e a porre sull'avviso qualunque imprenditore mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente. Oltre a ciò, va comunque osservato che la ricorrente ha fornito rilevanti e conferenti elementi indiziari per contrastare la pretesa erariale. In particolare, ha documentato che la s.r.l. XXX aveva un'effettiva capacità organizzativa, ciò emergendo dal fatto che essa aveva una regolare posizione previdenziale e fiscale, e operava da tempo (almeno dall'anno 2008), in base a lavori commissionatile dallo stesso XXX, a favore di terzi soggetti cui forniva prestazioni di 'movimentazioni merci': come hanno accertato gli ispettori dell'Inps. Per le ragioni sopra esposte, i ricorsi della contribuente devono essere accolti, e la pretesa erariale giudicata illegittima. La particolarità e la complessità dell'indagine demandata a questa Commissione, correlata alla assoluta originaria legittimità dei rilievi formulati contro il XXX in base a presunzioni legali, fanno ritenere sussistenti le gravi e eccezionali ragioni volute dalla legge per disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M . la Commissione, accoglie i ricorsi riuniti. Compensa tra le parti le spese di lite. Così deciso in Bergamo il 16 novembre 2016

 

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