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Confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato al socio. A prescindere dal fatto che la società abbia usato fatture false, comunque non è provata la distribuzione di utili. Agenzia delle Entrate rimborserà le spese processuali. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “la C.T.R., nel rigettare il ricorso per revocazione dell'Agenzia delle Entrate, perviene ad un dispositivo conforme a diritto, sia pure con una motivazione errata, suscettibile di correzione. (…) la C.T.R., con la sentenza oggetto di revocazione, pur ritenendo che l'accertamento nei confronti del socio della società di capitali a base ristretta (una s.r.l.) fosse un presupposto indefettibile per l'accertamento nei confronti del socio, aveva poi concluso nel senso che l'Ufficio non avesse dimostrato la distribuzione degli utili ai soci”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 24270 del 30 settembre 2019

FATTI DI CAUSA

1. L'Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo avverso PA per la cassazione della sentenza n.363/2/2015 della Commissione Tributaria Regionale del Molise, depositata in data 18/11/2015 e non notificata, resa sull'impugnazione per revocazione di una sua precedente pronuncia.

2. Con la sentenza impugnata, la C. T. R. del Molise (di seguito C.T.R.), per quanto di interesse in questa sede, dopo aver affermato in generale l'ammissibilità della revocazione delle sentenze delle Commissioni tributarie Regionali per tutti i motivi di cui all'art. 395 c.p.c., ha ritenuto che nel caso di specie non fosse passata in giudicato la sentenza n.225/04/14, sulla quale era fondato il ricorso per revocazione. Il giudice di secondo grado rigettava, quindi, il ricorso, poichè "era venuta meno l'asserita contrarietà della sentenza n. 61701/05 con un precedente giudicato".

3. A seguito del ricorso, PA resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con l'unico motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione, in relazione all'art.360, comma 1, n.3, c.p.c., dell'art. 64, comma 1, d.lgs. n.546/92, vigente ratione temporís, nonché dell'art.395, comma 1, n.4 c.p.c.

1.2. Il motivo è infondato e va rigettato.

1.3. Nella fattispecie in esame, quale si evince dallo svolgimento del processo riportato nella decisione impugnata e dagli atti delle parti, l'Ufficio di XXX aveva emesso un primo avviso di accertamento nei confronti della società P. s.r.I., con cui rettificava il reddito d'impresa, a seguito della verifica dell'esistenza di operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere dalla società A. di XXX, nonchè di acquisti con il "regime del margine" presso l'operatore francese C. Nel giudizio di impugnazione di tale avviso di accertamento, vi era stata sentenza della C.T.R. n.225/4/14 favorevole all'Agenzia, contro la quale la società P. s.r.l. aveva proposto ricorso in Cassazione. Successivamente, con un secondo avviso, relativo alla stessa annualità 2003, l'Ufficio accertava nei confronti della P. s.r.l. costi fittizi per operazioni inesistenti con la N. s.r.I., indeducibili ai fini delle imposte dirette ed indetraibili ai fini dell'IVA. Anche tale avviso era stato impugnato ed il relativo giudizio era pendente in Cassazione, su ricorso dell'Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 21/3/2015, sfavorevole all'Ufficio. Sulla base del primo avviso di accertamento era stato emesso un ulteriore avviso di accertamento nei confronti del socio, PA, per il recupero a tassazione degli utili distribuiti extrabilancio. Nel giudizio conseguente all'impugnativa di tale avviso, la C.T.R., con la sentenza n.61/01/15, respingeva l'appello dell'Ufficio (nonostante con la sentenza n.225/04/14 avesse accolto l'appello dell'Ufficio nel giudizio intentato dalla società sull'identica fattispecie oggetto di accertamento), richiamando, nella propria decisione, la sentenza n.21/03/15, relativa all' altra controversia della società, con diverso oggetto. La stessa C.T.R., adita per la revocazione della sentenza n.61/01/15, con la sentenza impugnata, dopo aver affermato in generale la possibilità della revocazione ordinaria avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali e dopo aver qualificato l'azione de qua come una revocazione per errore di fatto, ai sensi dell'art.395, n.4, c.p.c., ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, rilevando l'insussistenza della contrarietà ad un precedente giudicato, non essendo definitiva la sentenza n.225/04/14 invocata dall'Ufficio. Tale requisito (la contrarietà ad un precedente giudicato), come giustamente rilevato dall'Agenzia ricorrente, non è richiesto dall'art. 395 n. 4 c.p.c., ma piuttosto dalle differenti ipotesi contemplate nei successivi nn. 5 e 6 dell'art.395 c.p.c., che non si attagliano alla fattispecie in esame.

Deve però rilevarsi che la C.T.R., nel rigettare il ricorso per revocazione dell'Agenzia delle Entrate, perviene ad un dispositivo conforme a diritto, sia pure con una motivazione errata, suscettibile di correzione. Invero, l'Ufficio aveva chiesto la revocazione della sentenza n.61/1/15 (emessa nei confronti del socio) per errore di fatto del giudice, consistente nella circostanza che la C.T.R., con la sentenza oggetto di revocazione, pur ritenendo che l'accertamento nei confronti del socio della società di capitali a base ristretta (una s.r.l.) fosse un presupposto indefettibile per l'accertamento nei confronti del socio, aveva poi concluso nel senso che l'Ufficio non avesse dimostrato la distribuzione degli utili ai soci, richiamando erroneamente la sentenza n.21/03/15, relativa ad un diverso accertamento nei confronti della società per la stessa annualità 2003, e non la sentenza n. 225/04/14 (oggetto di ricorso in Cassazione), che aveva riconosciuto la fondatezza (sebbene non in via definitiva) dell'accertamento nei confronti della società (sulla base del quale era stato emesso l'accertamento nei confronti del socio). Secondo l'Agenzia ricorrente, quindi, la C.T.R. sarebbe incorsa nell'errore di fatto, consistente nell'aver fondato la decisione, relativa alla mancata prova della distribuzione degli utili extrabilancio al socio della società a ristretta base, sulla sentenza n. 21/03/15, relativa ad un diverso accertamento nei confronti della società per la stessa annualità 2003, e non sulla sentenza n.225/04/14, che si riferiva alla fattispecie oggetto di esame. Deve, però, rilevarsi che, ai fini dell'accoglimento della domanda di revocazione, è necessario che "il fatto, oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza, non abbia costituito un punto controverso, sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi (vedi, ex multis, Cass. sent. n. 11/27094).

Inoltre, "a norma dell'art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., una sentenza può essere oggetto di revocazione solo quando sia effetto del preteso errore di fatto e cioè unicamente nell'ipotesi in cui il fatto che si assume erroneo costituisca il fondamento della decisione revocanda o rappresenti l'imprescindibile, oltre che esclusiva, premessa logica di tale decisione, sicché tra il fatto erroneamente percepito, o non percepito, e la statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa" (Sez. U, Ordinanza n. 1666 del 23/01/2009). Nel caso di specie, anche a voler ritenere che costituisca "errore di fatto" il riferimento della C.T.R. alla sentenza emessa nel giudizio di impugnazione di un diverso accertamento nei confronti della società, esso non costituisce il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione, che si basa sulla valutazione di plurimi elementi, tra i quali la ritenuta carenza probatoria relativamente all'avvenuta ripartizione degli utili.

La C.T.R., infatti, ha affermato che "la possibilità che si fosse realizzata una distribuzione di utili societari" doveva intendersi "oggettivamente" esclusa in considerazione delle risultanze del bilancio 2003, nonchè per la mancanza di un rapporto di parentela tra i soci, che, secondo il giudice di appello, avrebbe comportato il reciproco controllo dei soci stessi. Indipendentemente, quindi, da ogni ulteriore valutazione sulla fondatezza o meno delle argomentazioni del giudice di appello, non si rinviene la decisività dell'errore di fatto (ove esistente), che non sostanzia l'unico elemento posto a base della decisione oggetto del ricorso per revocazione.

3.1. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, sia pure con diversa motivazione, con condanna della ricorrente Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 oltre il 15% per spese generali, accessori di legge ed euro 200,00 per esborsi. Così deciso in Roma, il giorno 29 aprile 2019.

 

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