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Contestazioni in materia di prezzi di trasferimento / transfer Price. 3 esempi di sentenze che hanno annullato avvisi fondati sulla normativa antielusiva sui prezzi di trasferimento.

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In questa guida analizzeremo insieme 3 (tra tante altre) sentenze che si sono concluse con l'annullamento degli avvisi di accertamento basati sul richiamo della normativa antielusiva riguardante i prezzi di trasferimento.

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La disciplina italiana in tema di transfer pricing è contenuta nell'art. 110, comma 7, del DPR n. 917/86, prevedendo come : “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono determinati in base alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili , se ne deriva un aumento del reddito”.

La stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito.

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Tieni presente che secondo tale previsione, le operazioni tra imprese associate, si considerano effettuate al valore normale e non al prezzo concordato tra le parti.

Di seguito 3 (tra tante altre) sentenze che hanno annullato gli avvisi di accertamento fondati sulla normativa antielusiva riguardante i prezzi di trasferimento:

1) Accertamento nullo se basato su un indice diverso da quello utilizzato in sede di processo verbale di contestazione (pvc). 

È quanto è emerso con la sentenza n. 2629/2018 della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia che ha annullato l'accertamento stabilendo come, in tema di transfer pricing, l'emissione di un avviso di accertamento  sulla base di un indice diverso da quello utilizzato in sede di contradditorio preventivo senza ulteriore contestazione, concreta la violazione degli artt. 10 e 12, comma 7, della legge 212/2000 che rende nullo l'accertamento.

In questo caso l'Ufficio aveva inizialmente utilizzato l'indice ROS (*risultato operativo medio per unità di ricavo) per poi in sede di emissione dell'accertamento ed a seguito delle osservazioni della società, utilizzare l'indice ROA (*utile operativo sul totale attivo).

Pertanto, è stata dichiarata illegittima la sostituzione dell'indice utilizzato in sede di contradditorio con un indice diverso in fase di accertamento.

I giudici della CTR lombarda hanno dato ragione ai giudici di prime cure che già si erano pronunciati per l'annullamento dell'avviso di accertamento impugnato, rigettando quindi il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate e condannandola al pagamento delle spese processuali e rilevando come il metodo prescelto utilizzato dall'Ufficio sia stato applicato in modo inadeguato poiché “è stato utilizzato un campione non rappresentativo, perché insufficiente a dimostrare il tranfer pricing applicato dalla società. Le vendite infragruppo dei prodotti presi in esame dall'Ufficio sono dell'ordine di pochi punti percentuali sul totale delle vendite menzionate e, quindi, non sono rappresentative; infatti il campione, preso in esame, è troppo ristretto per consentire la ricostruzione presuntiva del valore di tutti i beni trasferiti infragruppo”. 

2) Accertamento: il transfer pricing domestico e la nozione di “valore normale”. 

Con la sentenza n. 16948/2019 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di secondo grado che accoglieva la richiesta della contribuente di annullamento dell'avviso di accertamento con cui era stato determinato maggior reddito della società atteso l'avvenuto acquisto di energia elettrica da società svizzera e la successiva vendita della stessa energia a società appartenente al medesimo gruppo, trattandosi di operazione effettuata ad un prezzo ritenuto al di sotto  di quelli praticati a soggetti terzi e quindi, considerata come antieconomica poiché non aveva determinato alcun utile e anzi era stata produttiva di perdita commerciale di euro 3.727,00.

Le questioni centrali del giudizio furono la configurabilità, nel nostro ordinamento, dell'istituto del tranfer pricing domestico nonché la nozione di “valore normale”.

Quanto alla nozione di tranfer pricing domestico dalla pronuncia emerge come nella valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni, ossia tra società appartenenti al medesimo gruppo operanti sul territorio nazionale, deve essere applicato il principio stabilito dall'art. 9 Tuir «che non ha soltanto valore contabile e impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi, presi in considerazione dal contribuente» e discende dal divieto di abuso del diritto (...) precludendo «al  contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere agevolazioni o risparmi d'imposta, in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. 

La Corte ha concluso rilevando l'insussistenza di elementi  che portino a ritenere configurabile una condotta elusiva affermando che le transazioni infragruppo interne non sono soggette alla valutazione del valore nominale ex art.9 tuir, né un eventuale alterazione rispetto al prezzo di mercato può, di per sé, fondare una valutazione di elusività dell'operazione” e che:“lo scostamento dal valore normale del prezzo di transazione può assumere rilievo, anche per operazioni infragruppo interne, quale elemento indiziario ai fini della valutazione di antieconomicità delle operazioni.

Pertanto, la Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia. 

3) Non è valido l'avviso di accertamento basato sul criterio empirico non previsto dalle Linee Guida OCSE.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza n. 129/2011 si è pronunciata su appello presentato dall'Agenzia delle Entrate, rigettandolo.

L'Ufficio contestava a una s.p.a maggiori componenti positivi di redditi derivanti da cessioni infragruppo di prodotti a prezzi inferiori rispetto a quelli applicati nei confronti di terzi; nonché costi indeducibili relativi a spese di rappresentanza.

La società proponeva ricorso avverso l'avviso di accertamento e i giudici di primo lo accoglievano, rilevando l'insufficiente motivazione resa dall'Agenzia delle Entrate. In particolare, precisando che l'Ufficio avrebbe dovuto procedere ad “un esame del metodo utilizzato dal contribuente per la determinazione dei prezzi, anche attraverso un'analisi comparativa degli stessi con prodotti similari in un regime di libera concorrenza”.

I giudici d'appello, pronunciandosi sul ricorso hanno confermato la decisione dei giudici di primo grado, precisando che la società contribuente ha fornito tutti gli elementi per dimostrare di non aver violato la disciplina del transfer pricing e quindi hanno rigettato il ricorso ritenendo che l'amministrazione finanziaria ha commesso un evidente errore di comparazione dei prezzi applicando un criterio empirico, non previsto dalle Linee Guida OCSE.

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Questi sono solo alcuni esempi di sentenze che si sono concluse a favore delle società contribuenti. Tuttavia, le variabili possono essere molte di più, richiedono un’analisi ben più approfondita e l’esame di copiosa giurisprudenza, che non possono essere esaminati ora. Però è possibile visionare le tante sentenze, articoli o stralci di atti, pubblicati in questo sito per un primo inquadramento.

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Le informazioni sopra riportate sono state scritte da un giurista che collabora occasionalmente con professionisti del nostro studio ma la loro rispondenza al sistema vigente non è garantita da DLP Studio Tributario, né nessuno dei suoi avvocati, né nessun altro, non rispecchia la professionalità media di DLP Studio Tributario e non sono state sottoposte ad ulteriori controlli da parte del nostro studio.

Ulteriori approfondimenti sono comunque dovuti in dipendenza delle specificità dei singoli casi concreti. 

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